Corruzione: tanto potere a pochi non è la soluzione. Commento a Cassese su Mafia capitale
L’inchiesta sulla “mafia capitale” mette in luce non tanto l’esistenza della corruzione, quanto la sua pervasività. Per questo è importante interrogarsi sulle sue cause, prima ancora di individuare strategie di risposta che siano efficaci. Sul Corriere della sera di oggi Sabino Cassese fornisce un importante contributo. Purtroppo, però, almeno una parte del suo ragionamento non ha fondamento empirico.
In generale, se si vuole contrastare un’attività, bisogna alzarne il costo e/o ridurne il beneficio. Corrotti e corruttori sono agenti razionali i quali ritengono che, in termini attesi, il beneficio dell’illegalità (la stecca e il favore corrispondente) sia superiore al suo costo (l’entità della sanzione moltiplicata per la probabilità di essere catturati). Ne segue che, per rendere la corruzione meno attrattiva, bisogna intervenire o sulla generosità dei favori, o sull’entità della sanzione, o sulla probabilità di essere catturati. Il governo, attraverso un videomessaggio di Matteo Renzi, sembra intenzionato a procedere su questo secondo fronte, inasprendo le pene (con l’incremento da 4 a 6 anni della pena minima, la confisca dei beni, l’obbligo di restituzione delle somme percepite) e aumentando la probabilità della cattura (con l’allungamento dei termini di prescrizione, anche se questo si può portare dietro altri problemi).
Cassese interviene in quest’ambito ampliando il ventaglio delle misure che, a suo avviso, andrebbero considerate. Curiosamente, il suo commento ne segue uno di Mauro Magatti che, riprendendo l’editoriale di lunedì dell’Istituto Bruno Leoni, argomenta che la corruzione è figlia dell’onnipresenza dello Stato. Cassese, al contrario, individua quattro driver che nulla hanno a che vedere con questo aspetto a mio avviso ovvio (il presupposto per rubare la marmellata, è che la marmellata ci sia…). Almeno in parte, però, l’analisi del giudice costituzionale sembra contraddire quelli che ormai, dopo 40 anni di ricerca nell’economia della corruzione, rappresenta il mainstream in questo campo. (Sul tema ho anche scritto su Il Foglio).
Vediamo uno per uno i punti di Cassese.
1) “Il decentramento porta con sé maggiore corruzione: questo risulta da tutti gli studi compiuti nel mondo sulla corruzione”. Questo non è vero. Infatti è vero il contrario. Il paper di riferimento su questo aspetto è Shleifer e Vishny (1993): in pratica, la loro tesi è che, per aumentare il costo della corruzione, bisogna aumentare il numero di funzionari o politici che il corruttore deve “comprare”. Supponiamo che la probabilità che un funzionario si lasci corrompere sia del 50%: se, per ottenere lo stesso favore, devo corromperne due simultaneamente, la probabilità di successo sarà del 25%. E così via. Naturalmente questa è solo una parte della storia: la decentralizzazione mal fatta (e il nostro Titolo V ne è un esempio) crea una marea di problemi addizionali, tra cui le lungaggini, lo scarso coordinamento delle amministrazioni, un certo grado di incertezza, ecc. Ma se l’obiettivo è sconfiggere la corruzione, occorre moltiplicare, non ridurre, i centri decisionali e le loro sovrapposizioni. Del resto, anche le vicende recenti sembrano confermarlo: “Mafia capitale” è senza dubbio una vicenda di vaste proporzioni, ma non dimentichiamo che l’attuale assetto moderatamente decentrato non casca dal cielo, ma è figlio di un’evoluzione politica messa in moto da un’altra vasta rete di malcostume, cioè “Mani pulite”. Nel derby tra i mariuoli il 1992 vince alla grande contro il 2014…
2) “Si è fatto troppo ricorso ai privati, cooperative e società per azioni. Le amministrazioni locali non fanno, fanno fare ad altri”. Questo argomento è di un’ingenuità spaventosa: a meno che Cassese non ritenga che un’amministrazione possa fare inhouse tutto, inclusa la fabbricazione di matite e articoli di cancelleria, è inevitabile che ci sia un’interfaccia tra il pubblico e il privato, in corrispondenza della quale un fornitore può sollecitare i favori di un funzionario amico. Non è un caso se, per esempio, Mauro (1997) e Rose-Ackerman e Truex (2012) diano una grande enfasi alle politiche di liberalizzazione, privatizzazione ed esternalizzazione come strumenti anti-corruzione. E’ intuitivo che il ricorso a gare e altri meccanismi di affidamento relativamente più trasparenti renda più difficile la corruzione, sia perché obbliga a strutturare una governance più efficace, sia perché, ogni volta che c’è una procedura competitiva, c’è sempre almeno un concorrente scontento, pronto a segnalare la puzza di marcio se la percepisce. E nessuno più del concorrente insoddisfatto ha interesse a vigilare sul buon funzionamento delle procedure.
3) “Il terzo fattore è quello dei sistemi derogatori”. Su questo punto Cassese ha pienamente ragione: più si deroga dalle procedure consuete, più si introducono fattori di rischio nel processo. Ma è anche necessario rendersi conto che le leggi, per essere rispettate, devono essere rispettabili: la burocratizzazione eccessiva è spesso un problema reale, e a volte non c’è alternativa alla deroga per “fare” le cose. Che questo fornisca l’alibi a tutta una serie di situazioni “grigie” è un dato di fatto, da cui dovrebbe discendere non meramente l’esigenza di evitare le deroghe, ma quella più sostanziale di ridisegnare i processi in modo tale da rendere non più sostenibile l’utilità della deroga.
4) “Troppi posti amministrativi sono coperti da persone scelte senza concorso, non per il loro merito ma per meriti politici”. Vero, ma parziale. Non è che il concorso in sé sia garanzia di onestà. Semmai il problema – e ancora una volta rimando a Rose-Ackerman e Truex (2012) e più in generale alla bibliografia citata da Melese (2007) – è quello di introdurre una serie di accorgimenti organizzativi. Oltre all’ovvia utilità della trasparenza, è fondamentale che la progressione di carriera dei funzionari sia dettata non dal mero passare del tempo ma da risultati misurabili, per esempio, legati alla qualità del lavoro svolto, al rispetto delle scadenze, ecc. Ma ancora più importante – nell’ottica del contrasto alla corruzione – è perseguire una dinamica che è esattamente opposta a quella implicita nelle parole di Cassese: i funzionari che occupano incarichi apicali devono “ruotare”, per evitare che si creino incrostazioni, relazioni sedimentate, o anche solo consuetudine coi beneficiari dei potenziali favori.
In sostanza, Cassese avrebbe ragione in un mondo dove gli individui non maturano aspettative e non agiscono sulla base di tali aspettative sul comportamento degli altri. In un mondo complesso, al di là degli interventi dal lato della sanzione, per ridurre la corruzione bisogna limitare le “occasioni di peccato”. Questo risultato non può essere ottenuto dando molto potere a pochi “ottimati” soggetti a procedure barocche, ma dando poco potere a una molteplicità di soggetti costretti a operare alla luce del sole.
secondo me questo è uno dei tanti frutti tossici della nostra società che aborrisce come la peste la MERITOCRAZIA che ovviamente pone dei vincoli alle conoscenze, alle raccomandazioni, e agli incompetenti messi a bella posta nei punti critici di controllo
se no come si potrebbero sottrarre tanti bei soldini?
non son le banche “criminali” che ingannano gli assessori alle finanze lombardi o i manager Parmalat ma i Formigoni e i Tanzi con la fondazione Monte Paschi o Carige che mettono ubbidienti incompetenti che sottoscrivono derivati che non conoscono nemmeno come etimologia
Ma la nostra magistratura condanna le Banche e non i Monager o ancor meglio chi li ha posti in quei nodi decisionali senza vagliarne le capacità
Ma le battaglieimpopolari non piacciono agli opinion makers che preferiscono le conferenze remunerate dove si va a far sfoggio del nulla comportamentale
Sul punto 1 mi sovviene che corrompere i funzionari di Bruxelles (o, più correttamente, fare lobbing) costa molto meno che stare appresso ai funzionari di 25 stati…
Massima stima per l’ottimo Stagnaro, ma per eliminare la corruzione non servono tecnicismi, o le disposizioni di legge di cui vaneggia Renzi. Siccome è squisitamente una questione di potere, l’unica soluzione è la “società partecipativa”, secondo Dottrina sociale:
http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2014/06/07/corruzione-su-expo-mose-tav-eccetera-la-soluzione-e-solo-la-societa-partecipativa/
Non sono d’accordo. Diluire il potere porta a tutti colpevoli, nessun colpevole. E nessuno paga. Ristabilire ad ogni livello il principio di autorità, così da rendere responsabile ciascuno del proprio operato, in un ordine piramidale. I costituenti hanno voluto diluire il potere in tanti rivoli per paura, giustificata, del risorgere di una dittatura: oggi è tempo di voltare pagina.
Egregio,
comprendo la valutazione analitica, ma credo che la questione debba essere affrontata in termini pratici e contestualizzata nel paese in cui viviamo.
Non credo che un giurista anche con una certa esperienza possa afforntare una problematica solo dal punto di vista giuridico: siamo pieni di leggi che si contraddicono l’una con l’altra.
La questione è più ” operativa”: mettere le teste giuste nelle posizioni gestionali e dare le responsablità del caso con obiettivi chiari e dettagliati.
Si continuano ad afforntare i problemi con le opinioni senza fare quello che deve essere fatto.
Purtoppo il livello di degrado non si può più affrontare con le parole si devono fare fatti concreti, inoltre fino a quando ci sarà la MAFIA in parlamento perderemo un sacco di tempo a chiaccherare.
I pregiudicati non possono partecipare o fare parte della gestione pubblica .
I collusi provati o anche con compartementi di serio dubbio non possono essere compresi nelle gestione pubblica.
Allontanare le persone incapaci dalle posizioni di responsabilità se non danno risultati sia in termini di servizio che economici.
Il merito porta etica e di conseguenza risolve i problemi.
Se ancora stiamo a parlare se si può o non si può al questo punto in cui siamo, è come domandarsi ancora se in Italia la mafia c’è o non c’è ….
Leggete Confucio, LAo Tze etc, e troverete che già all’epoca i problemi erano gli stessi ma anche le soluzioni erano le stesse.
I Romani quando l’impero era in crisi eleggevano un “Dictatorum”” per un periodo limitato che rispondeva di quello che aveva fatto anche dopo il periodo di gestione. Da prendere come base di riflessione chiaramente.
Chiaramente ci deve essere la volontà di risolvere seriamente le cose, se manca quella, e permettetemi i seri dubbi sul fatto che ci sia, perdiamo solo tempo.
Da 150 anni siamo uniti, ma metà del paese non è sotto il controllo dello stato, di cosa stiamo parlando ?
Saluti
RG
Quando il Dictatorum governava Roma valeva anche la massima LEX DURA LEX SED LEX, almeno credo.Ci siamo dati regole, bene, rispettiamole! Se non sono più buone, il Parlamento le modifichi (dico il Parlamento, non il Governo).La corruzione esiterà sempre, d’altronde anche Gesù l’ha subita sulla sua pelle. Però, quando ci facciamo rappresentare da cotal personaggi, quando diamo una pacca sulla spalla del ladro e del disonesto, cioè quando la LEGGE non viene FATTA applicare, chiedo scusa, ma con chi ce la dobbiamo prendere? Il garantismo garantisce il corrotto, chi ha potere,denaro, mai un povero disgraziato.Ci riempiamo la bocca di dottrina, esegesi divinatorie, ma poi? Sartori diceva che noi Italiani non abbiamo spina dorsale… mica avrà ragione?
c’è da ex politico denuncia il malaffare della politia dicendo la verità:http://www.huffingtonpost.it/2014/03/13/tiziano-motti-europarlamentare-la-verita-video_n_4956684.html
Basterebbe mandare con regolarità controlli a sorpresa da parte della Guardia di Finanza nelle sede di tutti i comuni, provience e regioni italiane e anche in quelle dei ministeri.
Se non è possibile trovare un modo per ridurre il potere allora basta controllare il potere. In Italia mancano i controlli.
Alcune sezioni devono essere indipendenti dai partiti e rispondere solamente al capo dello stato che garantirebbe la regolarità
delle operazioni di controllo.
Se tutto è controllato dai politici allora tutto è corruttibile e condizionabile.
La classica conferma che la soluzione dei problemi non ci verrà dalle culture che hanno contribuito a crearli.
“…una governance più efficace, sia perché, ogni volta che c’è una procedura competitiva, c’è sempre almeno un concorrente scontento, pronto a segnalare la puzza di marcio se la percepisce. E nessuno più del concorrente insoddisfatto ha interesse a vigilare sul buon funzionamento delle procedure.”
è questo uno dei motivi per cui si può parlare legittimamente di tipologia mafiosa:
le denunce sono pochissime, per quel che ne so, piuttosto si smette di fare gare d’appalto
le aziende serie, che non sono disposte a corrompere non vincono e alla lunga rinunciano
e per giunta temono i ritardi di pagamento che possono arrivare a distruggere un’azienda sana.
così mi è stato detto 30 anni fa da imprenditori