26
Mar
2015

Corruzione: c’è una via più efficace dell’orgia manettara, ma lo Stato non la pratica

Un rapporto fresco fresco dell’OCSE rilasciato ieri attesta che l’Italia, tra i paesi avanzati, vanta – si fa per dire – la più alta soglia di “corruzione percepita”. Ben il 90%, rispetto a un tasso bassissimo di fiducia, dio poco superiore al 30%, nel governo in quanto istituzione. Mentre in Svezia, che ha il più basso tasso di corruzione percepita al 15%, la fiducia nel governo sta al 55%. Attenzione: questo ranking dice solo che noi ci riteniamo e siamo considerati un paese molto corrotto. Non è affatto una misura quantitativa attendibile. Ancora ieri il Financial Times ricordava che, nell’ultimo mese, se il ministro italiano Lupi si è dimesso scandali di corruzione politica altrettanto se non ancora ancora più gravi sono in corso in Spagna, Regno Unito e Romania. Certo, la corruzione è difficile da stimare. E per favore non ripetete la cifra spesso ricorrente nel dibattito pubblico sui 60miliardi di euro l’anno che la corruzione costerebbe all’Italia: nasce da un report della Corte dei Conti di anni fa, nel quale in realtà la stima veniva definita del tutto nasometrica e inattendibile. Ma spesso in Italia nulla più di un numero inattendibile diventa invece acquisito e ripetuto.

Tuttavia una cosa è certa. In Italia di corruzione ce n’è troppa. Uno Stato che assorbe oltre il 50% del Pil, con una presenza invadente dei partiti, una pubblica amministrazione che spesso deve carriere e potere ai partiti stessi, una normativa iperbolicamente bizantina che appare volta a impedire e che induce politici e funzionari pubblici a farsi pagare da privati corrotti o corruttori per aggirarne i veti: queste le ragioni strutturali della corruzione diffusa, non certo un’atavica predisposizione italica a delinquere più elevata che negli altri popoli. C’è chi lo crede, io no: è la tesi di chi poi pensa che spetti allo Stato creare “l’uomo nuovo” virtuoso, un antico e temibuilisso retaggio dell’idealismo hegeliano e dei suoi tanti discepoli rossi e neri.

Con tale premessa, la vera cura anticorruzione consisterebbe in una drastica purga della spesa e dell’intermediazione pubblica, nella cessione di migliaia di società pubbliche greppie del malaffare, nella separazione tra partiti e pubblica amministrazione, nella rotazione dei dirigenti pubblici. Tranne quest’ultimo punto, a cui stiamo piano piano e con fatica arrivando (confondendo ovviamente l’obbligo che deve valere nel settore pubblico con l’imposizione anche ai privati..), è esattamente ciò che la politica italiana non fa e non farà.

Ci sono allora due strade concettualmente diverse. La prima è quella imboccata dal travagliato disegno di legge anticorruzione che è in cottura da un anno, ora all’esame del Senato dopo l’accelerazione avvenuta con l’approvazione alla Camera. E’ la via, sostanzialmente, dell’inasprimento delle sanzioni penali, principali e accessorie, alle diverse forme che la corruzione e la concussione, indebita induzione e peculato e falso in bilancio, possono assumere. E’ un testo sulle cui inasprite pene si sono alternate le divergenti pressioni dei magistrati da una parte e di Forza Italia dall’altra fino a che esisteva il Patto del Nazareno, e oggi di Ncd rispetto al Pd. Con il ministro Orlando dedito a un paziente lavoro di tessitura. E’ un testo che ci porta al massimo europeo delle pene sia per la corruzione sia per il falso in bilancio, e su quest’ultimo argomento ho molte volte scritto che non sono d’accordo. E’ un testo a cui si aggiunge la pressione sovrapposta del distinto ddl giustizia, che riguarda temi importanti come la riforma della prescrizione dei reati, testo nel quale l’altroieri è apparso l’allungamento a fisarmonica della prescrizione fino alla bellezza di 21 anni e 6 mesi per un procedimento di corruzione. Una proposta che accontenterà pure piazze e magistrati, ma che a un liberale non può che fare ORRORE. Per punire i corrotti occorre una giustizia che, perché sia efficace, deve essere rapida: non ancora più lenta di quanto già lentissima sia oggi in Italia.

C’è poi una seconda strada, che riguarda la torta più sostanziosa della corruzione italiana: le opere pubbliche, grandi e piccole. Quelle che avvampano gli scandali del Mose, Expo, TAV, l’Aquila, e infine la struttura tecnica di missione diretta sotto 7 governi da Ercole Incalza, al Ministero delle Infrastrutture. La lotta alla corruzione nelle opere pubbliche, come ripete instancabilmente e solitariamente rispetto ai suoi colleghi magistrati quel gran galantuomo che è il procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, si fa molto più efficacemente a colpi di accetta sulla miriade di norme vigenti, e riformandone alcuni punti essenziali, non innalzando le pene a 10, 15 o 20 anni di galera.

La Legge Obiettivo – la culla delle deroghe al Testo Unico sugli appalti nel frattempo modificato da 54 diversi interventi legislativi in 622 punti – è clamorosamente fallita. Su 285 miliardi di opere cantierabili promesse, ne sono state realizzate in realtà l’8%. Con un sovraccosto del 40% rispetto alle prime stime. Dopo tanti scandali, ora sappiamo che cosa va cambiato, per contrastare la corruzione di sistema. E la grande occasione è il recepimento delle direttive europee, che chiedono una sostanziale DELEGIFICAZIONE delle norme sulle opere. Ma in parlamento sembra non rendersene conto nessuno…

Ma come: e i controlli, direte voi? Subito serviti. L’esperienza dell’Autorità Nazionale Anticorruzione affidata a Raffaele Cantone sta funzionando: facciamone tesoro. O meglio: sta funzionando la sua azione “preventiva”, quella che più mi interessa potenziare. Si operi allora un grande trasferimento di poteri di regolazione all’ANAC, che sia chiamata non solo a vigilare preventivamente, ma a redigere bandi tipo di gara. Abbassiamo il limite delle varianti in corso d’opera al 15%, che è il limite europeo. Aboliamo il general contractor che nacque con la TAV di Necci e che oggi nomina il direttore lavori delle stazioni appaltanti, dimostratosi connivente a corruzione e sovraccosti invece che vigilante. Modifichiamo radicalmente l’attuale regime di progettazioni esecutive, vinte da studi di comodo con ribassi di gara anche dell’80%. Subordiniamo la concessione di lavori al solo progetto definitivo : il che significa darsi uno standard tecnico di valutazione ex ante dei costi-benefici tale da evitare la sistematica sopravvalutazione di molte costose opere poi rivelatesi superflue (vedi il caso della BreBeMi in Lombardia). Applichiamo dovunque la messa in rete digitale di ogni particolare riguardante le opere, seguendo lo schema BIM (sta per Building Information Modelling) chiestoci dalla nuova direttiva europea approvata a inizio 2014 e che DEVE entrare in vigore a gennaio 2016. Tagliamo drasticamente la possibilità di affidi di opere a trattiva privata, invece che sempre con evidenza pubblica.

Infine, prendiamo finalmente sul serio la promessa inattuata dall’attuale governo: ridurre da 35 mila a 35 le stazioni appaltanti pubbliche. Trentacinquemila centri pubblici di affidamento lavori sono un universo incontrollabile per definizione. Lo Stato faccia il favore: oltre – se crede – a promettere secoli di galera, cambi faccia e corporatura. Perché un gigante Briareo dalle mille braccia è fatto apposta perché ogni mano non sappia quel che fa l’altra.

 

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9 Responses

  1. Giorgio

    Caro Giannino, sono quasi sempre dalla sua parte e in questo caso più che mai. Però non posso evitare di pormi laicamente una domanda, la cui risposta rischia di non far piacere né a me né a lei. Se fosse valida la correlazione fra corruzione e ampiezza della spesa pubblica in rapporto al PIL, com’è che il gradino più alto del podio è occupato da una Svezia il cui rapporto è ancora più alto di quello italiano (circa il 55%)?
    O tale correlazione non esiste, o l’Uomo Nuovo svedese è decisamente meglio formato di quello italiano. In ogni caso, non è una risposta piacevole per una visione “liberale” della società.

  2. astolfo della sdrossa

    Il vero problema che i dirigenti statali sono sacerdoti del regolamento e non esperti con specifiche competenze tecniche ed economiche del settore in cui operano : la rotazione consente soltanto di creare nuovi problemi in un altro ministero .
    La vera soluzione liberalizzare ( non privatizzare , la soluzione italiana ) anche le prigioni e i cimiteri. E che i cittadini se non riescono da soli si uniscano in gruppi di azione : la stagione delle attività cooperative alla fine del XIX secolo ( banche,assicurazioni,società di sanità e previdenza,associazioni sportive etc.) è stato un grande momento di partecipazione e di libertà. E poi lo stato si è preso tutto.

  3. 50 Old Frank

    Egregio sig. Giannino è difficile non essere d’accordo con quanto dice. Ma fino a che in questo paese il sig. Nordio resterà una rondine solitaria non c’è speranza di cambiare. Sono troppi, variegati e potenti gli interessi che si muovono nel mare della spesa pubblica e i pescecani che vivono in quelle acque sono ben decisi a difendere lo status quo. A loro non interessa il domani ma solo l’oggi; sono come piranha, assetati di soldi e potere. Hanno nomi e ragioni sociali ben note e sono collegati tra di loro da una rete sotterranea al cui confronto quella massonica è roba da educande. Quale politico italiano sarà così pazzo da mettere a repentaglio la propria esistenza per far saltare in aria questo sistema? Il prpblema è che ormai il nostro sistema paese è arrivato al capolinea e il tempo che ci resta è veramente poco. L’obbiettivo prioritario è dare un futuro economico a questo paese perchè senza risorse per vivere nessun diritto ha senso; non si campa con l’ aria fritta che quotidianamente la politica ci propina. A questo punto può valere la pena di rinunciare a qualcosa in termini di libertà personale pur di veder spazzata via una volta per tutte questa moltitudine di malfattori che si ripara dietro alle più svariate situazioni. In altre parole spazio all’ Uomo solo al comando, meglio se con le stellette. Almeno sarà una base ferma (abbastanza….) da cui ripartire.

  4. adriano

    Dal romanzo ” Le promesse spese”.Perchè non limitarsi a tre parole?Aboliamo il contante.Senza un comodo e anonimo veicolo fisico di trasferimento di ricchezza tutto diventa più difficile.E comunque se i pagamenti illeciti restano,almeno pagano le tasse perchè queste possono essere prelevate alla fonte con procedimenti automatici ad ogni trasferimento patrimoniale fra soggetti diversi.

  5. captain_marlow

    Allora se l’inasprimento delle pene funziona, la pena di morte era un validissimo deterrente, no?

  6. Agostino

    La spesa pubblica facilita sia lo spreco (nel migliore dei casi) che la corruzione (nel peggiore). Il fatto che ci sia una correlazione non vuol dire che questi due elementi siano conseguenza deterministica del primo. Correlati vuol dire che c’è una relazione statistica, ma come tutte le relazioni statistiche valgono con i grandi numeri. A produrre la corruzione non c’è solo un’alta spesa pubblica, ma anche una moralità ed un’eticità che noi italiani abbiamo abbondantemente dimostrato di non avere, al contrario degli svedesi. E probabilmente, oltre che moralità ed eticità, abbiamo anche carenza di meccanismi che, anche in presenza di alta spesa pubblica, renda difficile la corruzione. Forse l’inasprimento delle pene potrà contribuire ad una riduzione della corruzione, ma mi aspetto che contribuisca anche ad aumentare lo spreco, ad aumentare le risorse che vengono tolte a chi produce, per andare ad ingrassare (in tutti i sensi) la macchina dello stato ed i suoi burocrati. La vera soluzione è solo la riduzione della spesa pubblica, una drastica riduzione che inizi proprio dove si annida maggiormente la corruzione e quindi lo spreco. E’ questo coraggio che i nostri governi dimostrano di non avere.

  7. Flavio

    Caro Giannino, è tutto sottoscrivibile e ben descritto quello che Lei propone; la sua competenza è riconosciuta, le sue ricette scomode ma fondamentali.
    Mi inserisco per sottolineare come il principio di fondo del sano contrasto di interessi fra attori nel processo di realizzazione delle opere pubbliche (progettista, direttore dei lavori ed impresa) sia stato sconvolto a partire dalla legge obiettivo con la quale il general contractor, impresa, nomina essa stessa il direttore lavori e questo vanifica il ruolo terzo di garante della committenza da sempre storicamente interpretato dalla Direzione del Lavori.
    Ma se per le grandi opere il tema è complesso è può assumere forme tecniche ed organizzative diverse, per le opere pubbliche correnti di medio-piccole dimensioni una soluzione facile, immediata anche se drastica, esiste e potrebbe dare effetti rilevanti. Sto parlando degli affidamenti diretti alle strutture interne della P.A. di progetti e piani a fronte di un beneficio economico del 2% corrisposto ai dirigenti o ai dipendenti dell’Ente partecipano al piano o al progetto. Non è chi non veda tutti i conflitti di interesse che si generano con questo sistema all’interno della P.A. (progetto e controllo di progetto, appalto e DL, organi politici che approvano piani e progetti fatti da dipendenti “su dettatura”) e all’esterno (mancanza di affidamento per gara, interessi locali e dipendenti P.A. troppo “vicini”, consulenze subordinate al progetto interno, ecc.); sono assetti strutturali che favoriscono quella “corruzione ambientale” anche di bassa lega ma invasiva che copre tutta la nostra penisola. La situazione sembra immodificabile perchè il 2% che va ai dipendenti P.A. non è revocabile in quanto corrisponde ad un’integrazione di paga a cui non vogliono e l’ente locale fa apparire economico l’affidamento interno rispetto ad affidamenti a progettisti esterni. Ma se si confrontano gli aspetti negativi derivanti dalla confusione di ruoli, di mancanza di controlli, dal dubbio livello di qualità di un progetto eseguito all’interno di un Ente burocratico con gli effetti positivi di una progettazione affidata al sistema delle società e ai progettisti esterni che sviluppano e fanno crescere competenze nuove, aggiornate e giovani non c’è dubbio che si può capire la grande portata riformatrice di una modifica dell’attuale regime.
    Quale modifica? Si tratta di vietare la progettazione interna agli Enti locali, eventualmente dirottando il compenso del 2% previsto per il personale interno dal progetto al controllo di qualità e ai particolari utili alla gestione futura delle opere alimentando una competenza di controllo di qualità ed orientata alla gestione ottimale delle opere pubbliche. Non solo; questo può anche impedire i conflitti di interesse interni all’Ente sia nel processo di approvazione di piani e progetti sia nella loro esecuzione.

  8. Pietro Barabaschi

    Carissimo Giannino,

    stavo per scrivere il commento del signor 50 old Frank, col quale mi congratulo, per cui mi limito a dire che lo condivido. Da imprenditore semplicemente liberale ed iper liberista (socio sostenitore dell’ IBL) sono costretto dalla realtà oggettiva a “bestemmiare” essendo ormai convinto che a questo punto non esiste altra soluzione che un novello “Cincinnato”, cioè un Dittatore nella rigida accezione della antica Roma.
    Questa soluzione avrebbe ovviamente un costo nella perdita temporanea (difficilissima cosa) di una parte di libertà…Giammai?…ma non debbo certamente io insegnare lei che “NESSUN PASTO E’ GRATIS”, e di fronte ai pasti pantagruelici che ormai infestano di corruzione l’intera Nazione le parole, lo tsunami di leggi orrende che ci sommerge, oltretutto scritte non coi piedi ma colle zampe, io penso non vi sia altra via. Chiudo ribadendo che la prima e più importante azione dovrebbe essere il quasi totale azzeramento dello Stato (Stato, regioni, Province, Comuni, Enti vari) perché là ove lo Stato si intromette nella economia là nasce la corruzione. lo Stato è la corruzione travestita da legalità.
    Coi più cordiali saluti.
    Pietro Barabaschi

  9. vast

    attenzione, perché la corruzione “percepita” è quella che si legge sui giornali, mentre quella “direttamente provata” (ovvero quella di cui si è stati personalmente testimoni) è invece molto più bassa, simile ad altri paesi. Il vero problema dell’amministrazione pubblica italiana è infatti a mio parere l’inefficienza, quella sì direttamente provata dai cittadini, inefficienza che crea danni molto maggiori, che però sui giornali compare di meno.
    Perché allora farsi del male così, ingigantire un problema minore e non vedere quello principale? Perché enfatizzare il tema “corruzione” giustifica la necessità delle strutture stesse e crea un alibi ai burocrati blocca-tutto, che così si possono dipingere come integerrimi. E’ quindi il rimedio la causa del male, non viceversa. Pompieri che accendono incendi per giustificare la propria esistenza, insomma.

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