Contro l’enciclica Laudato si’—di Tomaso Invernizzi
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Tomaso Invernizzi.
L’enciclica di papa Francesco si presenta come un caloroso invito a curare la terra e custodirla, e a far un uso responsabile dei beni che essa offre all’uomo, coerentemente con quanto prescritto almeno a partire dal libro della Genesi. Ben presto lo scritto del pontefice si rivela un attacco sferzato contro l’economia liberale di mercato, che sarebbe responsabile del degrado ambientale del pianeta e della povertà di tanti suoi abitanti. La lettura del testo permette di affermare che Bergoglio non fa altro che proporre come soluzione dei problemi una teoria della decrescita alla Serge Latouche[1] e l’applicazione di un principio di responsabilità come quello suggerito dal filosofo Hans Jonas ormai più di trent’anni fa.[2] Sembrerebbe che trasformare di meno, produrre di meno, consumare di meno possa aiutare ad aumentare il benessere del mondo, a ridurre la povertà e la disuguaglianza. In realtà, mostreremo come, oltre ad essere del tutto discutibili alcuni presupposti del discorso del pontefice, la direzione additata rischierebbe di condurre ad esiti del tutto opposti a quelli desiderati.
Molti sono i riferimenti alla necessità di sfruttare di meno la terra e le sue risorse. Un primo riferimento di tal genere si trova quando Francesco riporta un’indicazione del santo di Assisi che invitava a lasciare una parte dell’orto non coltivata [12]. Sembrerebbe che per affrontare il problema della povertà nel mondo non sia opportuno coltivare più terra, ma lasciarne una parte incolta! Qui emerge una contraddizione che accompagna tutta l’enciclica: da un lato l’invito a custodire la terra, ad accogliere ed apprezzare tutti gli esseri del creato, erbacce comprese, riducendo le attività di sfruttamento del suolo, dall’altro il grido contro la povertà. Basti ricordare come la rivoluzione neolitica, con l’introduzione dell’agricoltura, abbia potuto comportare un aumento della popolazione mondiale dagli 8-15 milioni di abitanti di 10.000 anni fa ai 250 milioni nel I secolo dopo Cristo; un aumento di 30 volte! Ciò dimostra quanti individui in più possa sfamare ogni metro coltivato di terra, altro che lasciare una parte dell’orto incolta.
Uno dei capitoli più rilevanti è quello dedicato ai cambiamenti climatici. Diciamo subito che il papa scrive qui:
Esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico […] numerosi studi scientifici indicano che la maggior parte del riscaldamento globale degli ultimi decenni è dovuta alla grande concentrazione di gas serra emessi soprattutto a causa dell’attività umana. [23].
Va detto innanzitutto che i dati a disposizione indicano che nell’ultimo decennio la temperatura media del globo si è pressoché stabilizzata, inoltre che la causa del cosiddetto global warming sia l’azione umana è tesi controversa. Qui Bergoglio appare ideologico o poco informato sul dibattio più recente. Sappiamo che nel Medioevo le temperature erano circa quelle attuali, attorno al 1600 si è assistito a quella che i geologi chiamano una “piccola era glaciale” e negli ultimi centocinquant’anni le temperature stanno semplicemente ritornando ai valori precedenti al 1600. Al di là della constatazione che si potrebbe ritenere positivo un aumento della temperatura media del pianeta (perché no?), e quindi bisognerebbe appena dimostrare la desiderabilità del mantenimento di una temperatura costante, è completamente opinabile che la causa del riscaldamento sia antropica, di conseguenza non meriterebbero di essere nemmeno presi in considerazione gli argomenti a favore della riduzione di emissioni e quindi di consumi. Se proprio vogliamo trattare anche gli argomenti concernenti la presunta necessità di ridurre le emissioni, potrebbero valere le considerazioni portate da Francesco Ramella in un articolo de La nuova bussola quotidiana:[3] al contrario di quanto sostiene Francesco [51], non sono tanto i paesi ricchi a contribuire al riscaldamento globale con abbondanti emissioni di gas, ma i paesi in via di sviluppo. La sola Cina ogni anno aumenta la quantità di emissioni di una cifra pari al totale di quelle del Regno Unito. Nuovamente il conflitto tra ambiente e lotta alla povertà: la salvaguardia dell’ambiente comporterebbe la necessità di ridurre la crescita dei paesi emergenti.
Altri errori compaiono quando Bergoglio scrive di
effetti occupazionali delle innovazioni tecnologiche […], aumento della violenza” e che “l’orientamento dell’economia ha favorito un tipo di progresso tecnologico finalizzato a ridurre i costi di produzione in ragione della diminuzione dei posti di lavoro, che vengono sostituiti dalle macchine. È un ulteriore modo in cui l’azione dell’essere umano può volgersi contro se stesso [46], [128].
Che le macchine portino via occupazione è un’idea sbagliata che già il grande economista francese Frédéric Bastiat aveva brillantemente confutato:[4] in seguito all’invenzione, la produzione al capitalista costa di meno, ci sono meno operai occupati, ma anche più soldi risparmiati (dal capitalista se il prezzo del prodotto rimane inalterato, dai consumatori se il prezzo viene ridotto), che verranno impiegati in altri settori creando altri posti di lavoro. Inoltre costando di meno il prodotto ai consumatori, probabilmente aumenterà la sua domanda e quindi la sua produzione e quindi il numero di operai richiesti. La diminuzione dei costi di produzione è un’azione che va sempre a vantaggio di tutti i consumatori. Anche per quanto riguarda l’aumento della violenza si può facilmente argomentare contro: secondo l’Organizzazione mondiale della sanità il tasso di omicidi è diminuito negli ultimi 15 anni circa di almeno il 16%; non si fatica a pensare che nel 1600 o 1700 la violenza fosse molto più diffusa e pervasiva.
Il papa continua a sostenere che “la crescita degli ultimi due secoli non ha significato in tutti i suoi aspetti un vero progresso integrale e un miglioramento della qualità della vita” [46]: egli specifica “non in tutti i suoi aspetti”, ma se guardiamo perlomeno alla ricchezza, tema che pare gli stia molto a cuore, i dati della Banca mondiale indicano che dal 1980 al 2010 la popolazione mondiale che vive in condizioni di povertà assoluta è diminuita dal 52% al 21%. Inoltre, ormai sono molti anche i dati che indicano una diminuzione della diseguaglianza economica su scala globale.[5] Nonostante ciò i paesi più ricchi sono accusati di essere responsabili della povertà di altre regioni del mondo:
una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare […] i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le risorse più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro […] un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere [50], [52], [95].
Come già accennato, ad essere presi di mira sono i modelli di produzione e di consumo, oltre che in generale la tecnologia (per la quale l’enciclica parla addirittura di paradigma tecnocratico dominante) e la finanza. Il papa pare non capire che proprio la tecnologia rappresenta ciò che può permettere di aumentare il numero di bocche che possono essere sfamate e di intervenire a tutela dell’ambiente. Si pensi all’energia nucleare e agli organismi geneticamente modificati, per i quali Francesco stesso mostra un certo interesse, seppur mescolato a diffidenza, specie per il loro controllo da parte di oligopoli.
Per quanto concerne i modelli di produzione e consumo, Bergoglio pare far sua la teoria della decrescita di Latouche: “è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita” [193]. Non è accettabile sostenere che diminire la produzione ed il consumo possano migliorare le condizioni di vita di chi oggi è povero. In molte parti del mondo le condizioni di vita sono migliorate proprio perché noi utilizziamo materie prime che provengono da quelle regioni, proprio perché produciamo delocalizzando dove la manodopera costa meno, proprio perché consumiamo velocemente e chiediamo di produrre di nuovo. La ricchezza, come i socialisti ancora non riescono a capire, non è una torta sempre delle medesime dimensioni, per cui se il soggetto X mangia una fetta più piccola, il soggetto Y può mangiarne una più grande; ma è qualcosa le cui dimensioni possono aumentare e nella storia sono aumentate già di varie volte. A questo riguardo abbiamo già citato l’aumento demografico reso possibile dall’introduzione dell’agricoltura; la rivoluzione industriale ha permesso un’ulteriore moltiplicazione della popolazione, tale per cui a partire dai 250 milioni del I secolo dopo Cristo, ormai abbiamo raggiunto i 7 miliardi, a fronte, come già indicato sopra, di una diminuzione della povertà assoluta e della disuguaglianza. Certo, si può sempre pensare, che questa volta abbiamo veramente raggiunto il plateau, e le risorse a disposizione non basteranno; nel migliore dei casi infatti l’enciclica Laudato si’ si riduce ad un’etica della responsabilità come quella auspicata dal Jonas, ossia un invito prudente ad attuare scelte che permettano la continuazione della vita del genere umano nel futuro. Tale invito però trascura l’effetto delle imprevedibili innovazioni e trasformazioni che accadono nei secoli. L’applicazione della teoria della decrescita, così come quella del principio di responsabilità di Jonas, richiedendo un rallentamento della crescita di chi più sta crescendo, danneggerebe proprio i paesi in via di sviluppo.
La diffidenza del papa per l’economia liberale di mercato, additata di fatto come la responsabile dei mali in cui incorrerebbe il pianeta, diventa evidente quando scrive:
La cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati, o riducendola in schiavitù a causa di un debito. È la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi. È anche la logica interna di chi afferma: lasciamo che le forze invisibili del mercato regolino l’economia… [123].
Insomma chi crede nell’economia liberale di mercato adotterebbe la medesima logica di chi sfrutta sessualmente i bambini o abbandona gli anziani.
Tale critica al capitalismo si accompagna ad una notevole fiducia riposta nel ruolo dello stato: “Tutta la società – e in essa specialmente lo stato – ha l’obbligo di difendere e promuovere il bene comune” [157]. Qua esce alla luce il volto più statalista di Bergoglio, che si aspetta che sia l’istituzione statale ad occuparsi di difendere e promuovere il bene comune. Per risolvere i problemi che affliggono il pianeta viene auspicata da Bergoglio, sulle orme di suoi predecessori, un’Autorità politica mondiale [175], la quale dovrebbe evidentemente essere dotata di sufficiente potere coercitivo sulle altre istituzioni pubbliche. Se il dibattito politico liberale riflette sempre più sull’opportunità di dissolvere gli stati centralisti in entità statuali più piccole che possano trovarsi in una condizione di virtuosa concorrenza istituzionali, il Vaticano immagina nuove autorità politiche planetarie che possano governare l’economia mondiale, promuovere la sicurezza alimentare e la pace, garantire la salvaguardia dell’ambiente… Secondo papa Francesco il diritto pubblico dovrebbe occuparsi di “previsione e precauzione, regolamenti adeguati, vigilanza sull’applicazione delle norme, contrasto alla corruzione, azioni di controllo operativo sull’emergere di effetti non desiderati dei processi produttivi, e intervento opportuno di fronte a rischi indeterminati o potenziali” [177]. Soffermiamoci soltanto sull’opportunità che lo stato di occupi di controllare l’emergere di effetti indesiderati dei processi produttivi: chi giudica se e quanto certi effetti sono indesiderati? Quanta coercizione è necessaria per limitare tali eventuali effetti? Si considera la possibilità che effetti indesiderati possano essere prodotti proprio dall’intervento pubblico? Il discorso di Bergoglio cozza contro quanto prodotto dalla riflessione politico liberale di Hayeck, di Nozick, di Rothbard, per citare i principali autori.
Abbiamo visto come papa Francesco, partendo dal presupposto che il mondo stia andando incontro ad un gravissimo degrado ambientale, non risolvibile mantenendo i medesimi modelli di produzione e consumo, ritenendo che la parte ricca del pianeta stia esaurendo le risorse disponibili rendendo impossibile la futura generalizzazione della ricchezza, proponga una teoria della decrescita accompagnata da un approccio socialista e statalista all’interpretazione dell’economia del mercato. Con l’enciclica Laudato si’ il pensiero liberale, e aggiungerei quello scientifico, hanno un nuovo agguerritissimo avversario.
Note
- Latouche S. Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, Torino, 2008.
- Jonas H., Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, a cura di P.P. Portinaro, Einaudi, Torino, 1990.
- Francesco Ramella scrive un efficacissimo articolo rinvenibile qui.
- Bastiat F., Ciò che si vede, ciò che non si vede, a cura di Nicola Iannello, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005.
- In particolare, la disuguaglianza internazionale, intesa come divario tra i redditi pro capite dei diversi paesi del mondo considerando la numerosità della popolazione, è sempre scesa negli ultimi 60 anni. Si veda per esempio Milanovic B. (2012), Global Income Inequality by the Numbers: in History and Now, An Overview, World Bank Policy Research Working Paper 6259, November.
Commento pseudo scientifico in difesa dell’ideologia liberista. Perchè, egregio signore, il pensiero liberale è un’ideologia tale e quale alle altre. La libertà individuale è vista solo come egoismo e a scapito del prossimo. Riguardo al clima, troppo comodo negare l’evidenza. Prima dell’inizio della piccola glaciazione, che è ben prima del 1600 (per la precisione), l’Italia non era sottoposta a piogge di tipo tropicale o venti in stile uragano atlantico. E’ un caso? Può darsi ma non sia saccente, altimenti all’nfallibilità papale (x fortuna obsoleta) si sostituisce quella liberista.(che non va confusa con lo spirito laico e agnostico che deve accompagnare qualsiasi ricerca scientifica)
Che i mercati si regolino da soli è,infine, la cosa più disumana che si possa immaginare. Certo che si regolano da soli, ma in tempi lunghi e lasciando scie di miseria e morte. Anche una foresta in fiamme, ritornerà foresta, anche senza combattere il fuoco, ma in quanti secoli? La vita umana è breve e non può aspettare il “comodo” dei mercati. Che storicamente sono luoghi deputati al commercio e quindi regolamentati. Ovvio, no?
Cordialmente.
Con l’enciclica Laudato si’ il pensiero liberale, e aggiungerei quello scientifico, hanno un nuovo agguerritissimo avversario.
Speriamo! Speriamo sia più agguerrito di quelle pappe molli di comunisti!
Tutto bello, tutto giusto. Pero’ per favore, non diciamo baggianate sul riscaldamento globale: in ambito accademico le posizioni anti-riscaldamento globale sono equivalenti a quelle decresciste: espressione di una minoranza con forti interessi e cieca di fronte ai bias nei dati e nelle ricerche effettuate. Il 99% degli scienziati che se ne occupano sono concordi nell’affermare che una componente antropica nel riscaldamento sia un fatto estremamente probabile (per non dire sicuro)
Non e’ che, semplicemente perche’ una posizione e’ popolare tra i liberali americani, dobbiamo supportarla acriticamente. Non abbassiamoci al livello dei tifosi politici, almeno noi cerchiamo di mantenerci liberi da schieramenti, preconcetti ed ideologie
Per sfamare 7.200.000.000 di esseri umani o si fa ricorso alla tecnologia ed all’industria oppure serve ripetere il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci 3 volte al giorno, colazione, pranzo e cena. Capisco che il Pontefice sia un uomo di fede, ma… il suo mi sembra un “peccato di presunzione”.
Se non si sfama questa enorme massa di esseri umani, le conseguenze sono miliardi di morti, guerre e la distruzione degli habitat da parte di affamati pronti a tutto pur di non morire e di non far morire i figli. Elementare, ma il Papa non ci pensa neppure.
C’è anche chi usa le sue parole demagogiche per giustificare un mondo alla mercé dei signori della guerra, proprio come l’Africa oggi.
P.S.
Chi ha inventato il trading sulle emissioni di CO2 ringrazia ecologisti, pauperismi e pseudo-profeti; intanto si gode i lauti guadagni.
Oops: http://townhall.com/political-cartoons/2015/06/23/131492
È decisamente pericoloso e mistificatorio affermare che ci sia un dibattito in corso sui cambiamenti climatici: è come dire che ci sia un dibattito in corso sui vaccini, sulle scie chimiche, sui danni dei cattivissimi “campi elettromagnetici”. La comunità scientifica, in maggioranza assoluta, ha un’opinione precisa su queste cose elencate. Le linko un articolo di un professore di Ingegneria Idraulica che le potrà mostrare molto meglio di me quanto sul clima i dubbi non ci sono più. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/22/clima-la-falsa-pausa-lo-iato-inesistente/1802452/
Il problema che molti di quelli che io chiamo “fondamentalisti del cambiamento climatico” non capiscono, non è stabilire se il cambiamento climatico sia o meno in atto. Provocatoriamente, si potrebbe affermare che questa è la cosa meno importante. Quello che è DAVVERO importante stabilire è quali effetti (positivi e negativi) esso produrrà, e (cosa forse ancor più importante) quali azioni l’umanità sarà REALISTICAMENTE in grado di attuare per influire sui suoi effetti o limitarli. Faccio un esempio: è noto da molto più di un secolo che i combustibili fossili siano causa di inquinamento e malattie, ma REALISTICAMENTE è ovvio che sarebbe stato impossibile convincere l’umanità a non utilizzarli in maniera sempre più massiccia negli ultimi due secoli, poiché evidentemente i vantaggi (in termini di sviluppo economico) sono stati INFINITAMENTE maggiori degli svantaggi da essi arrecati.
Il problema è stabilire quali costi economici comporti limitare le emissioni di gas serra, e quanto realisticamente si potrà fare (chiunque dotato di un minimo buon senso capisce che le emissioni dei paesi in via di sviluppo non potranno che esplodere nel breve-medio termine). E’ possibile (secondo me molto probabile) che la “course of action” preferibile dal punto di vista complessivo (economico-ambientale) sia quella di stabilire un compromesso tra limitazione delle emissioni e sforzi di adattamento dell’umanità e degli ecosistemi.
Tale visione è proprio quella considerata inaccettabile dai “fondamentalisti” di cui parlavo prima, non a caso la Chiesa e gli ambientalisti più radicali, entrambi accomunati dall’adorazione di una inesistente “madre natura benigna” che l’uomo non dovrebbe in alcun modo contaminare né modificare.
Egregio Francesco, 24 giugno 2015,
Le presento un interessante grafico relativo all’andamento delle temperature dell’Olocene ricostruite mediante il “carotaggio” dei ghiaccia della Groenlandia, quelli più significativi per il clima dell’emisfero settentrionale : http://jonova.s3.amazonaws.com/graphs/lappi/Gisp-ice-10000-r..png
Nel corso degli ultimi 540 milioni di anni, dalla grande esplosione della vita del Cambriano, le temperature medie della Terra sono state notevolmente superiori a quelle dell’Olocene.
Non c’è dubbio che le attività antropiche hanno un impatto sul clima del nostro Pianeta, ma non sono certo il fattore principale che determina le variazioni climatiche che hanno origine da una serie complessa di interazioni fra il Sole, le correnti oceaniche, gli scambi gassosi fra atmosfera ed oceano (la grande macchina che “pulisce” l’atmosfera), l’azione della vegetazione, ecc.
Non esistono ancora misurazioni sufficientemente precise su quanto l’impatto antropico sia dovuto alle emissioni industriali nell’atmosfera, quanto alla pessima gestione dei rifiuti, quanto alle pessime pratiche agricole che sono ancora attuate in molte aree del terzo mondo, ecc.
Purtroppo la scienza è agli esordi in questo settore e il sistema climatico è estremamente complesso. Infatti esiste un grandissimo dibattito scientifico sulla climatologia ed in ogni ramo connesso alla materia.
Sta di fatto che senza industria e tecnologia non si possono risolvere i problemi degli oltre sette miliardi di esseri umani che devono essere sfamati, vestiti, istruiti, ecc.
Sta di fatto che sull’impatto antropico c’è tanta strumentalizzazione da parte di chi vuole inquinare senza limiti, ma – soprattutto – da parte dei malintenzionati che vogliono speculare finanziariamente oppure distruggere l’Occidente, incuranti dei disastri. Purtroppo c’è in giro tanta disinformazione.
Un interessante sito : http://www.realclimate.org
Scusate, il link che ho fornito nel mio precedente intervento non funziona per motivi di protezione.
Vi fornisco un link alternativo al grafico dell’articolo di David Lappi, che mostra il grafico delle temperature dei ghiacci della Groenlandia nell’Olocene : http://www.attivitasolare.com/wp-content/uploads/2014/01/gisp-last-10000-new.png . E’ solo a minore risoluzione.
La verità è che se i protagonisti della crescita economica ( pubblici e privati) avessero pensato sempre ad accrescere la loro personale ricchezza nel lungo periodo anziché arraffare l’arraffabile molti dei disastri ambientali, sociali ed economici che conosciamo non ci sarebbero; che se i liberisti si comportassero davvero come tali favorendo sempre concorrenza e libera iniziativa anziché le posizioni di rendita non si osserverebbero le deprecate abissali differenze sociali che invece vediamo allargarsi anche nei paesi sviluppati.
Quello che veramente fa la differenza è la capacità culturale e creativa di immaginare ed in parte programmare il futuro e a mio parere la funzione politica dovrebbe essere quella che prima di tutti assolve questa funzione.
Insomma se è privo di senso auspicare una riduzione dello sviluppo è invece necessario auspicare una maggiore razionalizzazione delle modalità di sviluppo. É auspicabile che si lavori per massimizzare il profitto nel tempo, mirando a mantenere e sviluppare le ricchezze individuali e sociali al più alto livello possibile per un lungo periodo non per i prossimi 10 minuti.
Se di fatto il pensiero liberale è stato negli ultimi due secoli il massimo artefice dello sviluppo dell’umanità è logico ed adeguato pensare che non solo la tecnologia avanzi ma anche il pensiero, incominciando dal contabilizzare costi e ricavi globali di un’azione economica e finanziaria perché mi appare abbastanza evidente come l’esternalizzazione solo dei costi conduca nel tempo ad una forte limitazioni dello stesse possibilità di sviluppo.
LA CIVILTA’ DELL’AMORE.
Nell’Enciclica “Laudato sì”, Papa Francesco propone la sua visione filosofica e teologica dell’essere umano e della creazione. Il mondo proviene da una decisione, ammonisce il Successore di Pietro, non dal caos o dalla causalità. Vi è una scelta libera espressa nella parola creatrice. L’universo non è nato come risultato di un’onnipotenza arbitraria, da una dimostrazione di forza o di un desiderio di autoaffermazione. Il mondo, infatti, è il libro scritto dalla mano potente di Dio e in esso si manifestano la sua bellezza e il suo amore. La creazione appartiene dunque all’ordine dell’amore. L’amore di Dio è la parola fondamentale di tutto il creato, degli organismi che lo popolano, degli ecosistemi nei quali essi vivono in relazione necessaria tra loro, e dello stesso uomo, che è stato creato per amore, un amore che si dona, un amore gratuito, e dotato di intelligenza e amore proprio perché possa amare allo stesso modo tutto ciò che è nel mondo, seminando a sua volta bellezza e amore. Una singolarità, questo è l’uomo, che trascende l’ambito fisico e biologico, come mostrano la sua capacità di riflessione e di ragionamento, la creatività, l’interpretazione, l’elaborazione artistica, e altre singolari capacità, con le quali è chiamato a collaborare alla creazione divina. Una identità personale in grado di entrare in dialogo con gli altri e con Dio stesso (in questi termini, l’Enciclica “Laudato sì”).
Ma vi è un ma…
L’uomo non è soltanto natura e materia ma anche volontà e spirito. Non è soltanto necessità e causalità ma anche potere e libertà. Non è soltanto azione involontaria, istinto e follia ma anche amore, egoismo e malvagità in azione. Il mito di Adamo ed Eva, rei di aver ceduto nel loro cuore alla tentazione di una libertà senza responsabilità, di un potere e di una conoscenza illimitati, senza amore per sé e l’altro da sé, spiega la condizione umana e i molti mali, psicologici, individuali, sociali e persino ambientali, che affliggono il nostro mondo. Tanto più gravi quanto maggiori sono il potere e la conoscenza che l’uomo acquista grazie al crescente progresso tecnico-scientifico, illudendosi poter fare tutto quello che gli pare alla ricerca della propria felicità mondana. Si tratta di un vero e proprio delirio di onnipotenza. “La libertà umana, infatti, si ammala”, ammonisce il successore di Pietro, “quando si consegna alle forze cieche dell’inconscio, dei bisogni immediati, della violenza brutale, dell’egoismo”, che è un vero e proprio peccato: “il peccato dell’indifferenza, e “In tal modo è nudo ed esposto di fronte a suo stesso potere, che continua a crescere senza avere i mezzi per controllarlo” (ivi).
Un delirio di onnipotenza che si annida negli stessi “modelli di pensiero” che governano il mondo della finanza e dell’economia, della tecnica e della scienza, e che sollecitano i singoli uomini a riempire di beni futili il vuoto esistenziale del loro egoismo, il non senso della loro vita, rendendoli impermeabili e sordi a ogni altra considerazione. Si badi, occorre riconoscere che la scienza e la tecnica, espressioni della creatività umana, che è un dono divino, non solo hanno posto rimedio a molti mali che affliggevano e limitavano l’essere umano, ma sono anche in grado di produrre cose utili a migliorare la qualità della vita e persino belle. Nondimeno, ammonisce il successore di Pietro, la potenza della tecnologia è oramai tale che ci pone di fronte a un bivio drammatico, il bivio delle scelte irreversibili. Fatto è che l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza, perché l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori, la coscienza dei propri limiti, a principiare dalla consapevolezza che è possibile usare male il proprio potere.
Tutto questo è a maggior ragione pericoloso in un mondo nel quale i falsi miti della modernità: progresso indefinito, inesauribilità delle risorse, individualismo egocentrico, consumismo sfrenato, concorrenza senza regole, libertà assoluta del mercato, massimizzazione del profitto, tecnocrazia, automazione esasperata della produzione, diritto alla proprietà privata quale valore assoluto e intoccabile, in uno alla concentrazione progressiva della conoscenza e del potere nelle mani di pochi uomini, dà a costoro, ai “padroni del potere e del denaro”, il dominio sull’insieme del genere umano e del mondo intero, minacciando la pari dignità umana, quasi che alcuni uomini abbiano più diritti di altri. Difatti, nel mondo del consumismo sfrenato e della svalutazione del lavoro umano, dell’esaurimento delle risorse naturali e del debito ecologico, coloro che hanno autonomia e libertà sono, in realtà, solo quelli che fanno parte della “minoranza che detiene il potere economico e finanziario”. Basti pensare alla disoccupazione di massa, alla chiusura progressiva delle piccole attività produttive e, in chiave globale, al crescente debito estero, divenuto infine sistema di controllo politico dei popoli nonché strumento di accaparramento delle risorse naturali altrui.
Ebbene, è l’ideologia neoliberista, questo modello di pensiero divenuto “pensiero unico dominante”, a riassume in sé tutti quei miti, il cui comune filo conduttore consiste nel rifiuto tendenziale che il “potere finanziario, economico e tecnico-scientifico” oppone a qualsiasi condizionamento, controllo e limite sociale, politico, istituzionale, giuridico, etico e morale. Le conseguenze sul piano pratico di tutto questo, di questa “adorazione del potere umano senza limiti”, sono evidenti. Da un lato, l’assoggettamento dell’individuo, della società e della politica – una politica preoccupata solo di conservare e accrescere il potere – all’economia, a un mercato che da solo non è in grado di garantire lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale, e dell’economia reale a quella finanziaria, entrambe alla ricerca ossessiva della massimizzazione del profitto, di una ricchezza artificiosa e di corto respiro che avvantaggia pochi. Dall’altra, il degrado psicologico, morale, culturale, sociale, urbanistico e ambientale che caratterizza il mondo moderno, sull’orlo di un precipizio senza fondo, un degrado che colpisce soprattutto i più deboli e pregiudica la vita delle future generazioni. Eppure, “i poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono a ignorare ogni contesto e i loro effetti sulla dignità umana e sull’ambiente, a dimostrazione che il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi” (ivi). Il nome di questo sistema mondiale è “Capitalismo globale”.
Urge, dunque, cambiare registro. Occorre adottare al più presto un nuovo atteggiamento, di condivisione dei beni e di cura dell’altro, che va verso l’altro abbandonando l’autoreferenzialità dell’io, e un nuovo “modello di pensiero”. Un modello di pensiero, associato a una conversione del cuore, in direzione del bello e del bene comune, che il successore di Pietro, rivolgendosi a tutti gli uomini di buona volontà, suggerisce loro di chiamare “ecologia integrale” o “ecologia umana” o più semplicemente “Umanesimo”. Consapevoli che una scienza parcellizzata, che non tiene conto di tutto ciò che la conoscenza ha prodotto nelle altre aree del sapere, compresa la filosofia e l’etica sociale, è priva di uno sguardo d’insieme e della necessaria profondità, e non è, pertanto, in grado di offrire soluzioni globali alle grandi questioni del nostro tempo; che una tecnica separata dall’etica difficilmente sarà in grado di autolimitare il proprio potere; che un potere finanziario autoreferenziale e fuori controllo tende a soffocare l’economia reale, come dimostrano le ricorrenti crisi del sistema monetario e il salvataggio a tutti i costi delle banche; che gli interessi del mercato, di un mercato “divinizzato” dal neoliberismo, quasi fosse in grado per magia di risolvere tutti gli squilibri sociali ed economici che ha generato, e di tutelare il bene comune, a cominciare dall’ambiente, non possono essere considerati una regola assoluta; che il principio di massimizzazione del profitto svincolato da ogni altra considerazione è una distorsione dell’economia. Consapevoli, in ultima analisi, che un potere senza limiti è un potere malefico. E che la libertà, come insegna il mito fondante dell’occidente cristiano, va coniugata con la responsabilità, figlia dell’amore. Solo su questa base sarà possibile fondare una civiltà, “La civiltà dell’amore”, davvero degna dell’uomo e conforme al progetto divino.
Queste considerazioni sul rapporto libertà-responsabilità, calate nella drammatica realtà del mondo moderno, dove emergono forme sempre più globali, impersonali e pervasive di potere, anche mass-mediatiche e informatiche, suggeriscono che il mito biblico del peccato originario è quanto mai attuale: un “tesoro di verità e di sapienza” che l’uomo di fede legge alla luce della natura trinitaria di Dio, una comunione perfetta di potere-intelligenza-amore, a immagine e somiglianza della quale l’uomo, secondo quelle stesse antiche scritture, è stato creato. Per amare sé e l’altro da sé. In modo gratuito. Facendo dono di sé. Altro che “adorazione del potere umano senza limiti”! Quanto più aumenta il potere e dunque la libertà di fare, e la conoscenza tecnico-scientifica è essa stessa potere, anzi il sommo potere, tanto più deve aumentare il senso di responsabilità verso l’altro da sé, vale a dire il senso del limite, il senso di ciò che non si deve fare per il bene comune e l’amore dell’altro. Un sentimento radicato nel cuore stesso dell’uomo, perché è espressione del principio morale dell’amore: “Posso farlo ma per amore dell’altro non devo né voglio farlo”. Un sentimento e un principio che però possono vacillare, sotto i colpi dell’incuria egoistica, indifferente alla sorte dell’altro, e della malvagità, che si nutre dell’altrui infelicità. Il peccato originale, originale in senso logico ed eziologico ancor prima che cronologico, sta dunque nel silenzio interiore del principio morale, nella mancanza di amore, nella privazione di questo bene supremo, di questo dono divino, che la ragione umana è in grado di comprendere, grazie alla riflessione, e che la fede chiama “Spirito Santo”, rivolgendosi a Lui con queste parole di preghiera: “Spirito Santo, che con la tua luce orienti questo mondo verso il Padre e accompagni il gemito della creazione, tu pure vivi nei nostri cuori per spingerci al bene. Laudato si” (ivi).
E’ la mancanza di amore che ci danna. E’ solo l’amore che ci redime. E con l’uomo salva il mondo intero. Il mito del peccato originale e l’immagine della natura divina, una e trina, si saldano, dunque, in un contesto di fede, al messaggio d’amore testimoniato, secondo i vangeli, da una delle tre persone divine. Quella Verità sovrannaturale che dopo essersi incarnata in un uomo chiamato Gesù, incamerando in sé una parte del mondo, divenuta essa stessa frammento di materia, ha rifiutato di adorare il demone del potere, resistendo alla tentazione demoniaca di diventare “padrone assoluto del mondo”, “il re di questa terra”, e ha indicato a tutti gli uomini la via della salvezza, sacrificando per amore di Dio e dell’uomo la propria vita. Il nuovo Adamo ha vinto, di fronte alla tentazione del potere assoluto, là dove il primo Adamo aveva fallito. Dentro il proprio cuore.