Contro la mistificazione su Thyssen e Confindustria
Eh no, cari lettori, a mio giudizio è assolutamente sbagliato mistificare gli applausi di Confindustria all’assise Nazionale di Bergamo riservati ad Harald Espenhahn, l’amministratore delegato di Thyssen Krupp Italia. Tutti i sindacati sono immediatamente insorti, per una volta in assoluta unità, rilanciando il dolore dei familiari delle sette vittime come se quell’applauso fosse in insulto indecoroso a chi ha perso la vita e alla scia di dolore irrimediabile che ciò ha prodotto. E’ una mistificazione prodotta dal fatto che l’assise si è svolta a porte chiuse, senza politici né sindacalisti né economisti ospiti esterni, e per una volta anche senza giornalisti. Di conseguenza, ha titolo per parlare e spiegare più di tutti chi all’Assise c’era. In piccolo, io non solo c’ero, ma mi è stato chiesto di gestire dal palco l’evento. E dunque, nella lunga sessione plenaria del pomeriggio in cui seimila imprenditori si sonno riuniti dopo aver passato la mattina divisi in otto gruppi tematici, ciascuno grandi come piccoli parlando solo tre minuti a testa, sono stato proprio io a chiamare a un certo punto su uno dei due podi Espenhahn. Sono stato io a pronunciare alcune parole introduttive, deliberatamente scelte da chi qui scrive al fine di evitare ogni fraintendimento.
Ho detto e ripeto che la scelta di dare la parola all’ad di Thyssen non poteva prestarsi a equivoci. Non era e non è in discussione in alcun modo al piena, totale e assoluta condivisione del cordoglio e del dolore dei familiari delle vittime. Non era e non è in discussione il fatto che le imprese debbano fare sempre di più e sempre di meglio per tutelare la sicurezza sul lavoro. Come del resto è testimoniato dal numero degli incidenti mortali, che è in calo e non in aumento, ma anche una sola vittima è di troppo. Quel che è in questione, ho detto presentando Espenhanh, è che per la prima volta in Italia è stata accolta da un giudice di primo grado la richiesta di una Procura di applicare agli incidenti sul lavoro la fattispecie dell’omicidio volontario, condannando dunque i vertici aziendali e i responsabili della sicurezza come assassini volontari. E’ un unicum sinora in Italia, un unicum in Europa, ho aggiunto. E a quel punto ho aggiunto: la mia personale opinione è che questa svolta giudiziale della volontarietà omicidaria apra una strada per la quale, cari imprenditori, vi sarà sempre più difficile trovare manager in grado di accettare l’idea di esporsi a vent’anni di galera come se volessero assassinare i vostri e loro dipendenti.
E’ a quel punto, che si è scatenato un fortissimo applauso. Che si è ripetuto, al termine del discorso di Espenhahn che, anche lui in tre minuti, si è ben guardato sia dal mancare di rispetto alle vittime, sia dall’esprimere opinioni sulla sentenza. Ha solo ringraziato dell’invito, esprimendo il personale suo sgomento di fronte a una tragedia tanto grave, nella quale se la sentenza sarà confermata nei gradi successivi di giudizio egli figurerà come un deliberato stragista.
Quando, a conclusione dell’Assise, Emma Marcegaglia è tornata sull’argomento, ha voluto personalmente spiegare che si era posta il problema dell’opportunità se dare o meno la parola all’ad di Thyssen. Poi ho deciso di sì, ha detto, perché intendo innanzitutto ribadire a nome di tutta Confindustria che ogni singola vittima sul lavoro è una sconfitta per noi industriali, oltre che una tragedia per chi muore e per i suoi cari, amici e colleghi. Ed è per questo – ha aggiunto – che nella mia presidenza ho istituito sin dall’inizio una delega specifica per la sicurezza sul lavoro, e facciamo tutto il possibile per collaborare con gli ispettori del ministero e con i sindacati, su questo tema essenziale alla vita e alla dignità del lavoro e dell’impresa tutta. Non è entrata nemmeno lei nel commento di una sentenza di cui si attendono le motivazioni, non ha pronunciato alcuna parola sui giudici o sui pm di Torino. Ha solo detto che l’omicidio volontario applicato alla sicurezza sul lavoro è una svolta che apre un grande problema. E gli applausi ancora una volta sono venuti, caldi e copiosi dai seimila in sala: ma su questo e solo su questo.
Questa è la mia testimonianza diretta, e ho seimila testimoni per comprovare che le cose sono andate esattamente così. Nessuno si è permesso neanche per un solo secondo di sottovalutare l’emergenza sicurezza, né di mancare di rispetto ai caduti sul lavoro e ai loro familiari. Pensare il contrario fa parte del solito giochino italiano, ridurre tutto ad anfiteatro Flavio e a scontro gladiatorio contrapponendo fiere e vittime.
Non è così. Il dolore è irrisarcibile, e la giustizia può e deve condannare le responsabilità. Ma affermare che le imprese devono solo stare zitte, se un amministratore delegato viene condannato come deliberato attentatore alla vita dei suoi dipendenti, significa avere del confronto sociale un’idea da tribunale speciale dello Stato. Cioè un’idea fascista, lo dico senza mezzi termini.
Caro Oscar,
la strumentalizzazione di cui parli è l’unica possibile (e ridicola) risposta che può dale la politica alla critica del presidente di Confindustria (che vorrei ringraziare per l’equilibrio e la decisione, e che ci fa sentire così ben rappresentati – sì, industriale anch’io!).
Marcegaglia incita i politici a lavorare meglio e ci rispondono “fate voi”. Marcegaglia ribatte: “guardate che già facciamo molto per l’Italia”, e quindi loro producono l’immenso Calderoli (ma vi rendete conto?) che ci spiega che noi industriali sfruttiamo il lavoro degli operai e degli impiegati, tanto è vero che applaudiamo l’AD della Thyssen. Scusate, ma riprendo il concetto del Presidente Marcegaglia: gli industriali fanno il PIL, ed i politici fanno il debito pubblico!!!!
Che risposta vuoi che diano a questa banale evidenza? Meglio coprirla strumentalizzando i morti della Thyssen!!! (e complimenti a Calderoli).
Un saluto.
Come giustamente dice bisognerà leggere la sentenza per capire bene. In attesa della sentenza appunto, sarebbe stato più opportuno non invitare Espenhahn.
Ma intanto le pongo il problema: se un’amministratore, un imprenditore decide a scopo di lucro, di violare deliberatamente una o più norme di sicurezza, consapevole di aumentare il rieschio di incidente per i suoi dipendenti, si può ancora parlare di colpa? A me pare che logicamente ci siano gli estremi per il dolo piuttosto. In caso di incidente mortale, si avrà quindi necessariamente l’omicidio doloso cioè volontario. Molto lineare secondo l’ordinamento penale italiano. Se nel caso Thyssen è dimostrato che così stanno i fatti, allora i giudici non hanno scelta.
Che poi, in conseguenza di questa sentenza, per le aziende “sarà sempre più difficile trovare manager in grado di accettare l’idea di esporsi a vent’anni di galera come se volessero assassinare i vostri e loro dipendenti”, implicitamente lei sta affermando che le aziende lavorano come la Thyssen cioè violando deliberatamente le norme di sicurezza a scopo di lucro e metteno in pericolo la vita dei dipendenti!
Beh in quel caso ben venga la sua preoccupazione. Queste aziende devono rimane fuori dal mercato, e non per ragioni fasciste bensì liberiste a lei tanto cara: per non fare concorrenza sleale alle aziende invece che con attenzione e intelligenza, rispettano scrupolosamente tutte le norme di sicurezza richieste non solo per obbligo ma per convinzione e poi, perchè se liberismo deve essere, che lo sia fino in fondo, e le aziende si assumano in pieno la responsabilità dei danni che provocano. Sa meglio di me che la tendenza di tanta imprenditoria è di tenere per se i profitti e di scaricare i costi sulla società.
Buongiorno Dr. Giannino. Se ho ben compreso, gli applausi erano contro la decisione di condanna per omicidio volontario, decisione che avrebbe, a vostro dire (suo e della Sig.ra Marcegaglia), le potenzialità di inibire l’attività imprenditoriale nel nostro paese. Quindi, poichè rifiuto l’ipotesi di una ricerca di assoluzione, quegli applausi si devono intendere come riconoscimento della “colposità”. Io ritengo che sia stato dimostrato che quel dirigente avesse la consapevolezza che i sistemi di sicurezza erano insufficienti e questo basta, a mio avviso, per dimostrare l’intenzionalità e quindi la responsabilità grave . Forse anche altri avrebbero potuto essere coinvolti nel giuizio. penso agli RLS o agli RSPP, tuttavia la giurisdizione ritiene, secondo me a ragione, che il responsabile della sicurezza sia colui che detenga il potere di spesa. Giudico gli applausi di confindustria un pessimo avvenimento che pregiudicherà, questo si, il potenziamento delle misure di prevenzione e sicurezza di cui moltissime aziende italiane hanno necessità.
Ma alla fine, secondo voi, che dovrebbe pagare per queste morti alla thyssen? perche la colpa è di qualcuno giusto?. O è per l’enesima volta non dovevano essere li, sti poveri cristi?. a confindustria credero quando farà delle proposte vallide sulla siqurezza! che viene prima di ogni guadagno!
I filmati con le facce di quelli che applaudirono sono acquisiti e si sta ricostruendo il loro identikit, che insieme a quello di chi ha redatto il presente articolo, sarà prossimamente pubblicato, con la prefazione di un famoso Maiale (Calderoli), sotto il titolo: LA FECCIA D’ITALIA, e il sottototilo “Assassini in Libertà. Postfazione del famoso giornalista Nome in Codice Betulla.
Non sono solo gli imprenditori a fare il “PIL” ma anche chi lavora per loro.
egregio giannino, si trova da qualche parte un filmato (o anche solo l’audio) dell’intervento suo e dell’ad di TK? sarei curioso di ascoltarvi.
saluti,
castellini
PS: il “problema” di non trovare ad disposti ad assumersi responsabilità del genere è un non-problema.
@Giuseppe
Intanto quoto in toto, e poi aspetto la replica di Giannino.
Come giustificare i tagli alla sicurezza, da cui dipende l’incidente?
Se dobbiamo diventare una nuova Cina, meglio stare a casa con i figli, no?
Non scherziamo: se Espenhahn sapeva che c’erano violazioni delle norme di sicurezza, è omicidio volontario.
Unicum o non unicum.
Trovo che gli applausi scroscianti e calorosi, anche se è andata come scrive Giannino, siano del tutto fuori luogo.
Personalmente poi sono completamente d’accordo con chi scrive nei commenti che non trovare manager che si assumano responsabilità del genere è un non-problema.
Si prevede un futuro di manager ultraottantenni per l’industria italiana, politica solidale per i pensionati che hanno difficoltà economiche: due piccioni con una sentenza.
gianni roma
Egr. Sig. Giannino
Rispettabilissime le Sue opinioni sul fatto che la sentenza della Corte d’assise di Torino abbia creato un precedente a livello non solo nazionale ma europeo sulla responsabilità per dolo eventuale ripeto per dolo eventuale dell’Ad della Thissen. Io credo che la discussione deve essere fatta tenendo seperato il profilo penale da quello politico e se vogliamo industriale. Sul piano penale non ho sentito un solo parere che abbia confutato criticamente le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Torino. Tenere attivo un impianto in mancanza di alcuni sistemi di sicurezza significa accettare il rischio che la morte di alcune persone si possa verificare se accade un incidente o un guasto all’impianto industriale. Il nocciolo della questione è tutto qui. Il resto è la ricostruzione di quanto accaduto in quella notte tremenda e i mancati investimenti in tema di sicurezza da parte dei tedeschi. E’ sintomatico l’atteggiamento di grande insofferenza di confindustria e anche di altri soggetti nei confronti di questa sentenza. Premesso che la sentenza verrà sicuramente appellata e successivamente sarà investita anche la Cassazione a conferma che la strada per ottenere quello che chiamiamo giustizia è ancora lunga, credo che la ricchezza economica e culturale di un paese ricomprenda anche il rispetto per la vita umana. La partecipazione alla creazione del PIL non è riconducibile unicamente alla figura degli imprenditori ma investe anche le persone dei lavoratori che con il loro lavoro quotidiano contribuiscono alla nostra ricchezza economica. Un paese moderno e civile non può tollerare che la vita umana sia messa in pericolo soprattutto sul posto di lavoro. Non può essere tollerato che un carneade qualsiasi affermi che l’investimenti in Italia sono a rischio se viene sancita una responsabilità penale che sulla base di prove oggettive dimostra che gli investimenti in sicurezza non sono stati fatti perchè troppo onerosi con buona pace di chi ci ha rimesso la vita per un portare a casa un pezzo di pane. Se la sentenza rappresenta un precedente unico in Europa io non me la sento di gridare allo scandalo, al contrario, io sono dell’avviso che dobbiamo salutere positivamente il coraggio di chi prove alla mano ha fatto valere la responsabilità di chi ha pensato ai suoi interessi disinteressandosi del fatto che la produzione deve avvenire anche nel rispetto di quella utilità sociale sancita dalla nostra carta costituzionale che nell’affermare questo principio include necessariamente anche le norme si sicurezza. Avere infortuni sul lavoro significa perdita di vita umane, invalidi, costi sociali ed economici incompatibili con un paese moderno. Quello che mi rattrista è il solito piagnisteo di chi vuol far credere che i suoi investimenti producono ricchezza per il paese e per questo non può essere assoggettato alla responsabilità delle sue azioni quando producono danni alle persone. Invesitire significa non solo comprare macchinare e capannoni ma garantire che coloro cha arrivano sul luogo di lavoro al mattino facciano ritorno a casa con le proprie gambe, un paese ricco è anche questo.
la mistificazione è il pane quotidiano di certa gente, ma in questo caso (e forse per la prima volta in vita mia) non sono d’accordo con Lei, Giannino: il comportamento dell’AD di TK, per come è stato ricostruito nel corso del processo (e con tutti i CAVEAT e le presunzioni di innocenza del caso), a me sembra del tutto passibile di una condanna per omicidio volontario, senza nessuno scandalo o intento persecutorio.
Come detto da altri commentatori, si tratta dell’applicazione pura e semplice dell’istituto del dolo eventuale, lo stesso per cui se uno guida a duecento all’ora in una strada pedonale e ammazza qualcuno (caso estremo, ma tanto per fare chiarezza a chi non mastica diritto tutti i giorni) l’omicidio è da considerarsi doloso e non colposo, perché, anche se nuocere a qualcuno non è il suo obiettivo primario, il guidatore è consapevole dell’elevata probabilità che qualcuno finisca per farsi male in seguito alla sua condotta, e nonostante questo accetta questo rischio, questa eventualità.
Poi è vero che questa sentenza può essere considerata un unicum, ma ben venga un unicum quando rappresenta (come in questo caso) un passo avanti in tema di civiltà giuridica, e forse la prima pietra per un sistema in cui comportamenti come questo vengano puniti con la giusta severità.
@stefano tagliavini
Finché in Italia ci sarà un Ministro della Repubblica che dichiara: “…. dal palco del Berghem Fest ad Alzano Lombardo, affermava che “robe come la 626 sono un lusso che non possiamo permetterci”. (Agosto 2010) La 626/94 e 81/2008 hanno le firme di Romano Prodi, ma la 106/2009 reca anche la Sua firma. Evidentemente, dopo solo un anno, l’aveva già dimenticata…..
@stefano tagliavini
In Italia c’è un Ministro della Repubblica, Giulio Tremonti, che dichiara: “…. dal palco del Berghem Fest ad Alzano Lombardo, affermava che “robe come la 626 sono un lusso che non possiamo permetterci”. (Agosto 2010) La 626/94 e 81/2008 hanno le firme di Romano Prodi, ma la 106/2009 reca anche la Sua firma. Evidentemente, dopo solo un anno, l’aveva già dimenticata…..
L’altro ieri mentre Silvio Berlusconi arringava i suoi al Palasharp di Milano sostenendo che certi «pm sono un cancro da estirpare», a Bergamo la platea di seimila imprenditori convocati da Emma Marcegaglia tributava un convinto applauso a Harald Espenhahn, il top manager della ThyssenKrupp condannato a 16 anni per la strage della fabbrica di corso Regina Margherita a Torino dove persero la vita sette operai. La coincidenza è probabilmente solo fortuita, forse non c’è relazione tra le parole di Berlusconi e gli applausi degli industriali, non vogliamo nemmeno sospettare che il presidente Marcegaglia convivida i giudizi del premier sulla magistraura italiana.
Eppure quanto è avvenuto a Bergamo, in un incontro sapientemente organizzato dai vertici di Confindustria (l’amministratore delegato della ThyssenKrupp non passava di lì per caso…), non può esser derubricato come un semplice tributo di «umana solidarietà» da parte di migliaia di industriali a un manager condannato per omicidio volontario da un tribunale italiano dopo un regolare processo che seguiva un’inchiesta precisa e approfondita. La solidarietà è comprensibile e la giustizia offre a tutti gli imputati la possibilità e la speranza di veder corretti i giudizi di primo grado. Il manager della ThyssenKrupp può difendere le sue ragioni nel processo di appello e puntare a un ribaltamento della sentenza ritenuta ingiusta. Si vedrà.
Però, in attesa che la giustizia faccia il suo corso, non si può far finta di niente su quanto è successo alle Assise confindustriali. Quello di Bergamo non è stato un incidente. Quello che allarma non è solo l’applauso convinto al manager condannato, che fa trasparire un desiderio di impunità e di prevalenza degli interessi dell’impresa su tutto il resto, ma sono le parole del presidente Marcegaglia che ha giustificato quella manifestazione di vicinanza sostenendo che «dalle Assise c’è stato un grande applauso all’amministratore delegato di Thyssen perchè la condanna a 16 anni e mezzo per omicidio volontario rappresenta un unicum in Europa. Se dovesse prevalere questo allontanerebbe gli investimenti esteri dall’Italia».
Che dire? Come commentare le parole del leader degli imprenditori privati che richiama le stesse argomentazioni di Berlusconi sulla magistratura che sarebbe responsabile di allontanare gli investitori stranieri? Ma si rende conto la signora Marcegaglia di cosa sta dicendo? La sentenza di un tribunale italiano contro i responsabili di una fabbrica di una multinazionale in cui sono arsi vivi sette operai sarebbe la causa dello scarso appeal del nostro tessuto economico. E allora cosa dovremmo dire di Calisto Tanzi, che finanziava le Assise di Parma della Confindustria, del crac Cirio, del Banco Ambrosiano, delle performance di certi gruppi privati come Ferruzzi, Montedison, Ligresti, delle schedature degli operai alla Fiat, dei 3000 morti della Eternit di Casale Monferrato, dello scippo della Mondadori da parte di Berlusconi, della commistione indebita tra politica, pubblica amministrazione e imprese? Episodi di una lunga storia che il presidente Marcegaglia avrà avuto modo di conoscere sui giornali e sui libri e che certo non si possono definire come fattori di attrazione di capitali stranieri.
L’applauso di Bergamo e la giustificazione di Emma Marcegaglia sono un segnale preoccupante, testimoniano che, al di là del merito e delle ragioni della sentenza su una tragedia che ha segnato la vita di una comunità intera, c’è qualcuno nella classe dirigente, o che si ritiene tale, poco disponibile alle regole, alla giustizia, al riconoscimento di interessi generali superiori a quelli dell’impresa, capace di difendere l’etica e la morale solo in ridondanti e inutili convegni in riva al mare. E per questo che Confindustria, proprio come Berlusconi, vorrebbe cancellare l’articolo 41 della nostra bella Costituzione.
Le parole di Emma Marcegaglia e gli applausi di Bergamo sono, infine, il segno di una profonda insensibilità, di una grande povertà culturale, di un’arroganza tipica di chi è abituato a dare ordini e a esercitare un potere incontrastato. Nessuno di loro ha letto gli atti dell’inchiesta e la sentenza di primo grado della strage di Torino. Alla signora Marcegaglia preoccupata per gli investimenti esteri in Italia vorremmo suggerire di leggere qualche passo: «Non è un caso che i lavoratori siano morti a Torino, non potevano che morire lì in uno stabilimento che rientrava nella categoria di industrie ad alto rischio ma sprovvisto di certificato antincendio, in stato di grave e crescente insicurezza. (…) Harald Espenhanh aveva decretato la morte dello stabilimento di Torino e aveva abbandonato lo stabilimento e gli operai a se stessi». Ora applaudite, signori della Confindustria, applaudite.
le sentenze non si commentano, si contestano in tribunale.
contestare una sentenza dall’alto di un palco , perdipù di confindustria, è, haimè questo sì, un gesto assai fascista.
e non venitevi ad ergere a salvatori della patria, perchè di manager di questo tipo ne facciamo veramente a meno.
ps: quanto guadagnava al mese il manager in questione per le sue responsabilità? o è forse meglio dire “irresponsabilità”?
Caro Oscar, questa volta (stranamente) non riesco a essere d’accordo con lei. Io a quelle assisi ho partecipato e conosco benissimo l’atmosfera che vi si respira. Se qualcuno agisce cosciente di mettere a repentaglio quotidianamente la vita di altre persone è un delinquente: chiuso. Non metto minimamente in dubbio che l’applauso fosse a “favore” di Espenhahn, ma, a meno che le conclusioni a cui è giunta la corte siano completamente errate, Espenhahn li non doveva proprio esserci
Ma caro Giannino, anch’io ho inteso la cosa esattamente come lei. Avevo solo due dubbi. Uno me l’ha parzialmente chiarito la tua testimonianza. Prendo cioè per buona l’affermazione che nessuno voleva entrare nel merito della sentenza. Il secondo rimane: perché applaudire?
Penso che se anche stavolta iniziamo a dividerci su questioni come le vittime sul lavoro dimostremo ancora una volta di essere un paese in preda al delirio.
Sono sicuro i fatti di Bergamo sono andati come li racconta Giannino. E siccome considero una persona seria il paralmentare Boccuzzi , l’operaio della Tyssen sopravvissuto al rogo mi domando per quale motivo ma soprattutto sulla base di quale informazioni, stasera in tv ha fatto quelle dichiarazioni piene di sdegno insieme ai familiari di quelle vittime. Forse a fatti conclusi sarebbe stato opportuno non invitare Espenhah perchè se è vero che l’assise confindustriale era a porte chiuse è pur vero che oggi tra iphone e bbarry è come avere un migliaio di telecamere che registrano tutto e dopo qualche secondo possono divulgare via mail il contenuto audio e video. A questo punto se qualcuno ha il filmato , lo cacci fuori e lo faccia girare così la verita sarà ripristinata (vicenda Osama docet).
@Giovanni Bravin
ERRORE !
la 626/94 è del 1994 e riporta la firma di SIlvio Berlusconi!!!
La testimonianza ridimensiona la vicenda, comunque può essere che gli applausi fossero di troppo, ma certamente i n questa triste vicenda anche la voglia di protagonismo e le dichiarazione degli inquirenti mi sono sembrate fuori luogo. In queste vicende non ci possono essere vincitori perché tutti, imprenditori, sindacati, organi ispettivi, ed anche, sia pure in maniera minore, gli operatori, hanno qualche cosa da rimproverarsi.
@pietro
le buone leggi vanno aprezzate a prescindere dal colore politico di chi le approvate. La legge 626 del settembre del 1994 ha rappresentato un passo avanti nella tutela della sicurezza dei lavoratori nei posti di lavoro. Peccato non sia stata sempre applicata.
La 626/1994 prima e il dlgs 81/2008 poi, sono sicurezza di carta! sono oneri astrusi e costosi, sono la responsabilizzazione assurda di tutte le figure che rientrano nel ciclo produttivo, financo alla committenza nel caso dell’edilizia, sono la proliferazione di pagliaccesche figure professionali che in cantiere si fan vedere sì e no una volta. Sono il modo perché nessuno possa sentirsi indenne da colpe, senza avere nessuna possibilità di imporre a chicchessia l’osservanza delle misure di sicurezza davvero necessarie, sono l’assoluzione del dipendente a prescindere dalla sua irresponsabilità ed incoscienza. Se siamo consci di questo allora poi possiamo discutere di sicurezza e lavorare perché si faccia sicurezza, nei cantieri e nelle aziende. Il resto è propaganda.
qualcuno de fenomeni che contestano l’ articolo di giannino ha una minima idea della differenza tra il concetto di colpa cosciente ( omicidio colposo) e dolo eventuale ( omicidio volontario)? prima di parlare è pregato di scriverlo qua sotto in poche righe .o è disposto a prendersi 16 anni perchè si è messo al volante con una birra di troppo ed ha provocato un incidente mortale . sapendo di non poter guidare ha accettato il rischio di ammazzare qualcuno. accendere il cervello prima di parlare. la sentenza di torino è una mostruosità giuridica ed è il punto di arrivo di un idea fascista dello stato.
Finalmente un commento sensato. Grazie.
Sulla sentenza Thyssen Krupp
Riflessioni sulla sicurezza del lavoro, sulla responsabilità sociale e delle aziende.
Sicuramente la sentenza è severa, molto severa. Da manager e, per giunta, con tutte le deleghe alla sicurezza, sono anche un po’ preoccupato. L’idea che un incidente, per quanto serio e grave, sia giudicato “doloso” mi sembra un po’ punitiva. Questo è però il responso della corte di Torino sul caso Thyssen Krupp, che, per certi versi, ritengo esemplare e sul quale, passato il clamore mediatico, mi sento di fare qualche riflessione.
Certamente negli ultimi anni abbiamo tutti preso maggior coscienza della centralità della persona e della sicurezza nella società e nell’industria. Chi come me, ormai da anni, si occupa di operations sa bene che, forse a seguito di una normativa più puntuale ed esigente, o forse per una naturale maturazione professionale e sociale, le cose sono cambiate parecchio, almeno nei gruppi industriali di certe dimensioni. La statistica dice che gli incidenti in Italia sono calati negli ultimi sette anni del 34% e del 18% dal 2003 al 2007, qualche punto in più della media europea. Sta di fatto che da noi, oggi, esiste all’interno delle aziende un’organizzazione preposta alla vigilanza ed alla attuazione delle regole, corsi obbligatori, responsabilità diffuse, statistiche, dati, e, per quanto mi riguarda, anche un canale di comunicazione messo in piedi dall’azienda nei confronti dei lavoratori attraverso, fra l’altro, indicatori direttamente nelle fabbriche per informare su quanti e quali incidenti si sono verificati, le azioni intraprese, l’esito delle verifiche periodiche eseguite nell’area. Un modo cioè di veicolare il messaggio chiaro e forte che la sicurezza è centrale per l’organizzazione e che non è assolutamente solo un mero fatto burocratico. Cose a volte semplici ma assolutamente inesistenti solo dieci anni fa.
Ho letto in questi giorni critiche anche feroci alla sentenza Thyssen, critiche, a me sembra, più dal sapore della scusante che non di vere e fondate ragioni, e che, peraltro, sono assolutamente deleterie per la già fragile cultura sociale verso questi temi. Non si può dire che le pratiche per la sicurezza non vengono correttamente applicate per eccessiva burocrazia, per un approccio repressivo del sistema, perché non ci sono controlli, perché si devono sostenere costi eccessivi, perché le leggi e regolamenti sono inefficaci o sbagliati o, come dice il presidente degli industriali torinesi Carbonato, perché la sentenza “crea un clima intimidatorio” o perché “la stragrande maggioranza degli accadimenti infortunistici dipende dal fattore umano”. In tutta coscienza credo che fare sicurezza sia meramente un fatto di cultura e di serietà professionale, credo che la maggior parte delle situazioni di pericolo si possano sanare prestandovi l’attenzione necessaria e attuando le dovute azioni. I peggiori nemici sono la superficialità, l’incuria, la non cultura, la paura delle proprie responsabilità. Certo non esiste la sicurezza assoluta, esiste invece un rischio legato certamente al fattore umano, a impianti a volte un po’ datati e che quindi non assicurano lo stesso livello di rischio di quelli moderni, ma è anche vero che tale rischio residuo deve essere attentamente, seriamente, valutato, e che il prodigarsi perché sia minimizzato è un dovere primario, assoluto.
Se, come credo sia accaduto nel caso Thyssen, viene dimostrata la deliberata volontà, la piena coscienza di non garantire neppure i livelli minimi, ebbene allora bisogna anche subirne le conseguenze, che non possono essere che quelle viste. Credo che a fronte di una seria politica per la sicurezza, attuata con scrupolo e professionalità, nessuna azienda debba temere “ritorsioni” o “vendette”. La società intera ha tutto il diritto di “alzare l’asticella” sulla materia e non si tema che questo porterà le aziende ad abbandonare il paese. Stiano tranquilli imprenditori e manager, le società rimangono in Italia quando è conveniente farlo, quando le tasse sono adeguate e lo stato funziona, rimangono perché la produttività è alta, il sindacato aperto, le infrastrutture efficienti non certamente perché i morti sono a buon mercato. Di tutto il nostro paese ha bisogno ma proprio non di questo.
C.D. per Alfadixit.com
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Articolo pubblicato anche da Agoravox Italia
Quelli che parlano di mostruosità giuridica e fanno i garantisti con la pummarola ‘n gopp’ dovrebbero farci il favore di andare a leggersi le carte del processo e magari aspettare che vengano pubblicate le relative motivazioni, perché questa moda di fare i complottisti sull’operato dei giudici ha un po’ rotto. Abbiamo le carceri che scoppiano di mezze tacche beccate con due grammi di haschish in tasca e nessuno apre bocca, ma appena davanti a una condanna ci finisce uno che indossa la cravatta tutti a sbraitare pamphlet contro la cricca maleodorante dei giudici cialtroni e sanguinari, come fossero un esercito di Mordecai mangiabambini. La sentenza Thyssen è un “unicum” perché unici sono stati per gravità ed evidenza i comportamenti illeciti della dirigenza Thyssen. Qui non stiamo parlando della vecchia teoria del “non poteva non sapere” ma di decisioni ed atti formali decisi dagli alti papaveri in piena consapevolezza dei rischi e dei quali vi sono prove evidenti. Leggere gli atti. La sparata di Giannino sul rischio che non si trovino manager disposti a “rischiare di prendersi vent’anni” è di uno squallore incommentabile. La si può giustificare solo con l’ignoranza dei fatti o con la malafede. E visto che Giannino è tutto men che poco informato il cerchio si stringe. Qui siamo sullo stesso livello di un tale che sostiene che in Italia non c’è più libertà di parlare al telefono perché i magistrati comunisti intercettano tutti per trascinarli al banco degli imputati. Anche un bambino è in grado di capire che uno non viene incriminato per il sol fatto d’aver parlato al telefono ma, se è il caso, per quello che ha detto al telefono se questo prova o costituisce un reato. Altrettanto semplice dovrebbe risultare la comprensione del fatto che un manager non rischia vent’anni di galera per la sola ventura d’esser tale ma semmai nel caso usi il suo ruolo per commettere atti previsti dalla legge come reato. Tipo provocare la morte di alcuni uomini omettendo consapevolmente le misure di sicurezza minime di un impianto molto pericoloso, tanto per fare un esempio di fantasia. Che è poi la stessa pena che rischia uno che manager non è, guardacaso. Mettiamola così: in Italia vige una legge che dice che se metti a repentaglio la vita delle persone fregandotene di attenerti alle regole minime di prudenza meriti una punizione. Il codice di procedura penale descrive in modo piuttosto preciso cosa si intende per “fregarsene delle regole di prudenza” ed a quanto pare, dopo un paio d’anni di discussione, confronti e perizie è risultato che qualcuno in Thyssen sì, se ne è fregato. Se questo dovesse gettare nel caos il settore delle agenzie di head-hunting che si ritroveranno vuote perché tutti i loro potenziali candidati saranno scappati a casa tremanti per la prospettiva d’essere arrestati in una retata punitiva durante una riunione del CdA, mi sento di dar loro un consiglio da ignorante: per non di beccarvi vent’anni di galera evitate di mandare al macello i vostri dipendenti per fare bella figura sul bilancio d’esercizio. E’ facile. Lo fanno migliaia di manager onesti ogni giorno in ogni parte del mondo. E sono tutti ancora a piede libero.
Quante parole al vento.
– Dov’erano i sindacati, con il loro responsabile della sicurezza dei lavoratori PRIMA dell’incidente alla Thyssen?
– L’idea della volontarietà nel provocare l’incidente è una cavolata spaziale, significa anche volontarietà nell’incendiare lo stabilimento distruggendo macchinari e volontarietà nel provocare un fermo macchine pazzesco.
– Sicuramente la colpa c’è, in quelle condizioni avrebbero dovuto chiuderla prima quella fabbrica (che perchè se non aveva denari per rinnovarsi, come è lecito pensare vieppiù che era già in progetto la chiusura, mi domando a che scopo tenerla aperta, l’unico vincolo mi sa che era la trattativa sindacale…)
– Non è questo il caso, ma non è detto, come dice qualcuno, che in caso di incidente ci sia sempre un colpevole, il lavoro come tutte le attività umane ha dei rischi che non si possono annullare. Del resto avvengono più incidenti in auto o a casa che sul lavoro. (Ripeto, non è questo il caso)
Non sono d’accordo con la conclusione che, “sarà sempre più difficile trovare manager in grado di accettare l’idea di esporsi a vent’anni di galera come se volessero assassinare i vostri e loro dipendenti”.
I costi per la sicurezza fanno parte del business: il buon manager che accetta l’incarico non può non considerarli e deve quindi mettere in atto tutte le azioni a salvaguardia dei dipendenti. Se analizza le azioni per garantire la sicurezza come analizza le azioni per garantire il profitto, non ha nulla da temere. Viceversa si aspetti pure le conseguenze di una magistratura che, in questo caso, mi sento di difendere.
Avete mai provato a convivere con un mutilato del lavoro? sono eventi che ti segnano per una vita…
buongiorno Giannino, ho trovato il suo chiarimento opportuno. purtroppo in questo paese è sempre più difficile valutare le situazioni senza il filtro delle ideologie: come si vede, anche nel suo scritto odierno qualcuno riesce a trovare spunti per accusarla di giustificazione, per non dire istigazione a delinquere, mentre mi sembra che Lei non tenti in alcun modo di sminuire il problema sicurezza. visto che, dal suo chiarimento, il contesto appare diverso da quello riportato sui principali quotidiani, perchè non invia agli stessi il suo pezzo? magari qualcuno potrebbe starci a tentare di capire la verità.
gd
Carissimo Giannino,
per quanto riguarda Confindustria, che conosco benissimo, per fortuna che c’era lei. Per la sostanza del suo scritto lo condivido totalmente, Complimenti.
Pietro Barabaschi
Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno, Marco Pucci, Cosimo Cafueri, condannati nello stesso processo a 13 anni per omicidio colposo. Giannino perchè non provi a lavorare (almeno un giorno) in fabbrica e sentire cosa ne pensano gli stessi operai di quello che succede dentro le fabbriche e di quello che è già accaduto?
Fermatevi! State tutti quanti discutendo di aria fritta. Senza le motivazioni della sentenza sia gli applausi che il commento della Marcegaglia che l’articolo sono basati sul nulla. Tutto quanto scritto in questa pagina, sia a favore che contro, può essere corretto o meno a seconda di cosa motiverà la corte.
I soli veri assunti sono che spesso (non nel caso Thyssen) la legislazione sulla sicurezza si fa le pippe su stupidaggini assurde e non si concentra sui problemi di sicurezza reali e che su molte cose non fa distinzione tra un negozio di Swarowsky con due dipendenti e l’acciaieria rendendo, di fatto, la legge stessa una burla.
Non conosco l’ iter dell’ incidente, le cause e le colpe: chi non rispetta la sicurezza va stangato, ANCHE QUANDO E’ DIPENDENTE, PERO’; recentemente un responsabile di non so quale organizzazione di pronti soccorsi ha dichiarato: “non vi immaginate nemmeno quanti manovali ci portano, volati da un’ impalcatura, che, alle 11 di mattina, sono già molto alticci” (secondo la coglionata che l’ alcool aiuta a fronteggiare il freddo). E, come in passato ho già scritto, mi piacerebbe vedere non la statalizzazione anche della sicurezza, ma una gestione delle parti: medici, statistici, ingegneri, … pagati dai lavoratori, che controllano ed organizzano la sicurezza in contraddittorio con i consulenti degli imprenditori e degli assicuratori (già: belle polizze infortuni e, all’ INAIL, tutti a casa, tanto non fanno niente già così, almeno smetterebbero di fare danno). Ma quando i lavoratori si accorgeranno dei danni che subiscono dai sindacati e dallo statalismo ?
Io sono con Oscar Giannino, non ho dubbi. E provo un po’ di stupore nel leggere la maggior parte dei commenti precedenti.
“Dolo” implica volontà cosciente, non solo consapevolzza di una possibilità. L’aberrazione giuridica (posto che sia questo il contenuto della sentenza, non l’ho letta ma tutti gli articoli di giornale sembrano concordare sulla versione che riporto) consiste nel vedere un nesso tra il possedere un’informazione circa un evento stocastico, e l’agire con volontà in modo che tale evento si realizzi.
Se questa logica viene accolta per le imprese, allora va applicata in tutti i casi, visto che non abbiamo una norma specifica che attesta tale strana responsabilità penale “speciale” per gli imprenditori in aggiunta alle norme ex legge 626 e simili.
Allora facciamo un gioco di logica, un esempio: dal balcone di casa vostra si stacca un pezzo di marmo che finisce sulla testa di un passante, uccidendolo. Dato che voi, proprietari di casa sapevate che la mancata manutenzione del balcone avrebbe potuto ferire qualcuno, secondo la sentenza Thyssen diventate omicidi volontari? E se il passante viene solo ferito gravemente, verrete accusati di tentato omicidio doloso? Ma allora, il reato di omicidio colposo quando sarà applicabile?
Il fine di una maggiore tutela della sicurezza sul lavoro, sacrosanto e condiviso, non mi pare giustifichi il fare a pezzi col machete il diritto e la logica.
Ho letto con interesse le argomentazioni, ma continuo a pensare che un intervento come il suo non andava fatto; veramente gli industriali hanno bisogno di essere difesi con tali azzeccagarbugli di Manzoniana memoria? Sono in completo accordo con un post precedente, lo squallore si è impossessato anche di chi ha una testa per ragionare….
ma chi devi tenersi buono? Vendere l’anima al diavolo per cosa poi….
E se ci fosse morto lei in quell’inferno? Sarebbe felice di leggere quello che ha detto?
Non ho parole anche perchè lei usa molto bene le parole, peccato siano al servizio di qualcuno e comunque poco oneste.
“E’ un unicum sinora in Italia, un unicum in Europa, ho aggiunto. E a quel punto ho aggiunto: la mia personale opinione è che questa svolta giudiziale della volontarietà omicidaria apra una strada per la quale, cari imprenditori, vi sarà sempre più difficile trovare manager in grado di accettare l’idea di esporsi a vent’anni di galera come se volessero assassinare i vostri e loro dipendenti.E’ a quel punto, che si è scatenato un fortissimo applauso”. Un applauso di cui bisognerebbe vergognarsi, secondo me. Sono tutto meno che un sindacalista e/o un antiliberista, ma non comprendo l’assioma sottinteso all’affermazione: per “agevolare” l’individuazione dei manager, bisognerebbe consentirgli di non essere condannati per omicidio volonrario anche qualora (come pare, anche se occorrerà leggere le motivazioni della sentenza) se ne freghino scientemente di installare sistemi di sicurezza a norma di legge in un ambiente ad altissima pericolosità come una acciaieria? Mi sembra che si stiano già facendo troppi compromessi al ribasso per “agevolare” l’attività d’impresa (vedi “Fabbrica Italia”, in cui si ripete come un mantra che si fanno lavorare di più e peggio i lavoratori a fronte di maggiore salario detassato, mentre la quota di tale salario proporzionale alla produttività è circa del 3%, se non erro; il resto degli aumenti origina dagli straordinari e dal lavoro notturno … bella innovazione!). Questi compromessi, però, non possono arrivare a mettere sul piatto della bilancia, la sicurezza, l’incolumità e la vita del lavoratore.
Suggerisco di aspettare la sentenza definitiva che probabilmente cambierà quella di primo grado.Le ricadute sulla dirigenza,in caso di conferma,potrebbero esserci,ma sarebbero marginali.Ai miei tempi il problema non era tanto la responsabilità civile e penale,ma l’impossibilità di poteri discrezionali nell’adottare provvedimenti tesi alla diminuzione del rischio.Apprendo con favore (Francesco Turri)che la giurisprudenza imputi la responsabilità primaria a chi puo’ decidere la spesa.Non sempre è stato cosi’ e le figure intermedie proteggevano la dirigenza dalle conseguenze degli incidenti.Purtroppo è vero anche quanto affermato da Mirko e Francesco Turri.Le analisi sulla sicurezza sembrano semplici,ma non lo sono e coinvolgono o dovrebbero coinvolgere l’azione di molti.Fuori tema ed alla fine della storia sarebbe interessante conoscere la dinamica oggettiva dell’incidente,al di là dell’informazione ridicola che cita scandalizzata gli estintori scarichi.Certo la circostanza è grave,ma non capisco a cosa sarebbero serviti di fronte ad un mare di olio infuocato.
X Diego e per altri: “Dolo” implica volontà cosciente, non solo consapevolzza di una possibilità”. Temo Vi manchi qualche nozione di diritto. il cd. “Dolo eventuale” implica non la volontà che una certa cosa accada, ma la previsualizzazione del rischio che un determinato evento si vertifichi e l’accettazione del rischio (mi metto al volante ubriaco, previsualizzo la possibilità di investire qualcuno, e me ne frego). La “colpa cosciente” (stato psicologico che avrebbe mutato la figura di reato in omicidio colposo) consiste nella previsualizzazione del rischio che un determinato evento si vertifichi e nel rifiuto che tale rischio si concretizzi (mi metto al volante ubriaco, ma credo che riuscirò a schivare eventuali pedoni perchè sono bravo a guidare). Posto che è impossibile “stare” nella testa di qualcuno, la sussistenza dell’uno o dell’altro di tali stati psicologici dipende da una serie di fattori e di indizi, “indicatori” della volotà dell’agente. Uno dei quali (è possible dirlo sin d’ora anche non conoscendo le motivazioni) è certamente l’altissimo grado di pericolosità di un ambiente di lavoro come una acciaieria ed il fatto che la carenza dei sistemi di sicurezza fosse stata più volte segnalata ma ignorata perchè l’impianto avrebbe dovuto essere dismesso a breve (da cui consegue anche che chissenefrega se l’impianto prende fuoco, anzi magari mi intasco pure i soldi dell’assicurazione). Se i giudici hanno potuto, con un percorso logico corretto e rigoroso, ricostruire la sussistenza dello stato psicologico del “dolo eventuale” non sarà una sentenza esemplare, ma solo una sentenza giusta e corretta.
x Ronnie al commento #36:
comprendo il punto che sollevi. Ti riferisci alla pronuncia di Cassazione penale, sez. IV, del 24/3/2010 n. 11222, ed alla giurisprudenza che l’ha ispirata.
Rimane il fatto che questa linea interpretativa apre, secondo me, la via ad un’estensione della fattispecie dolosa molto ampia. Estensione che ad un certo punto richiederà necessariamente una riforma del Codice, per ripristinare la naturale gradazione delle pene (colposo-preterintenzionale-doloso) che la lettera del codice penale formalmente impone.
Non è possibile in concreto stabilire un valore di soglia oggettivo per la probabilità che si verifichi un evento gravissimo (qual è la probabilità che fa scattare il dolo? 10%? 1%? 0,00001%? Come calcolare tali valori?), quindi l’applicazione del “dolo eventuale” di fatto introduce un notevole arbìtrio interpretativo. Nel mio esempio precedente del balcone pericolante, si potrebbe facilmente passare dal colposo al doloso per il solo fatto che il proprietario di casa non ha desistito dalla condotta pericolosa (non ha fatto le manutenzioni). Le conseguenze di tale logica sono evidentemente aberranti.
X Diego #37:
Non vi è dubbio che il confine tra dolo eventuale e colpa cosciente è estremamente labile e si possa prestare a forzature tanto in un senso quanto nell’altro. Credo che un’analisi più oggettiva potrà essere fatta soltanto alla luce della lettura della sentenza, da cui si comprenderà su quali basi il Tribunale ha qualificato la fattispecie in un modo piuttosto che in un altro. Tuttavia, se reputo evidentemente corretto che l’AD della Thyssen contesti la decisione NEL processo, continuo ritenere del tutto fuori luogo un applauso a sottolineare che sulla base di un tale precedente sarà più gravosa la ricerca di managenemt (indipendentemente dalla correttezza della sentenza, che alla luce delle motivazioni potrebbe anche risultare ineccepibile, ma solo sulla base della sua “singolarità”). Allora trasferiamo tutte le azientea Shenzen vicino alla Fox-conn così di AD ne troviamo a frotte.
La sicurezza sul lavoro sta così a cuore a confindustria che nelle aziende della Sig.ra Marcegaglia la media degli incidenti è di 3 volte superiore a quella europea.
Secondo la logica di Giannino poi se un autista drogato uccide un pedone e viene condannato per omicidio volontario, il giorno dopo non si riuscirebbe più a trovare un autista, io penso che solo gli autisti drogati avrebbero di che lamentarsi, così oggi se un imprenditore o un maneger si comporta secondo quanto prevede la legge non ha nulla da temere, se invece non rispetta le regole e mette coscentemente in pericolo la vita dei sui dipendenti è giusto che paghi.
Certo Giannino che lei è davvero coraggioso. Ricordo ancora i suoi articoli su Fukushima: la prova del nove, il nucleare è sicuro. Perchè non compra casa lei, adesso, a 1 km dalle centrali? Vede, quando uno prende una topica come questa, e non si ritira a vita privata, ma continua a pontificare come fa lei, a me francamente un pochino di disgusto viene.
Sono un operaio della ThyssenKrupp e oltre a lavorare alla Linea 5 (quella in cui lavoravano i ragazzi che sono morti) dello stabilimento torinese ho seguito tutte le udienze del processo. Mi sento quindi in dovere, come parte in causa, di fare alcune riflessioni sulla sentenza. E di carattere più generale.
Ovviamente, per motivi legati all’appartenenza di classe, non posso che essere contrario con Oscar Giannino, il quale minimizza un fatto assai grave. Al di là dell’applauso degli industriali, scontato da parte di chi produce PIL sfruttando il lavoro rubato agli operai che si sacrificano, lavorando in condizioni difficili e precarie, rischiando continuamente la vita, per poche centinaia di euro al mese, insufficienti per vivere dignitosamente (questo sì meriterebbe un infinito e ininterrotto applauso per ogni lavoratore!) tributato ad Espenhahn il fatto grave è averlo invitato ad intervenire in quel consesso.
Emma Marcegaglia corre ai ripari troppo tardi e le sue argomentazioni (la promessa di un maggiore impegno delle imprese per la sicurezza nei luoghi di lavoro) appaiono assai deboli: rassicurazioni già sentite e puntualmente smentite, nei fatti, ogni sette ore, ogni qualvolta in Italia muore un lavoratore. E anche nelle fabbriche di proprietà della Marcegaglia, il più grande produttore italiano di tubi, non sono mancati i morti sul lavoro. Ed è pur vero che l’acciaio utilizzato nel produrre i tubi della Marcegaglia proviene in gran parte dagli stabilimeneti della ThyssenKrupp. Questo lo so per certo. Normale quindi la solidarietà corporativa e commerciale. Non mi sorprende affatto questa vicinanza della Confindustria ad Espenhahn. Chi è abituato a ritenere il lavoro ed i lavoratori come semplici voci spese e accessori della produzione non è certo nuovo a questo tipo di valutazioni. E poi Giannino dice che i morti sul lavoro in Italia sono in diminuzione: semplicemente fantascienza! Sono calati di pochissimo ma non dimentichiamo che milioni di lavoratori sono in cassa integrazione, esclusi da qualsiasi rischio disunire infortuni sul lavoro…le cose vanno dette
Questa sentenza è solo un primo piccolo passo per ricostruire la verità sulle responsabilità per la strage del 6 dicembre. Per anni altre stragi sono rimaste impunite, come se la colpa di quelle morti non fosse attribuibile ad alcun colpevole. Ma sappiamo tutti benissimo che non è così. E anche gli ad delle aziende lo sanno bene. Le scelte su investimenti, acquisti, scelte produttive, tutto ciò che riguarda l’impresa, quindi anche la sicurezza, ricadono, giustamente, su di essi. Eppure i commenti degli industriali, sono chiari e univoci: sentenza sconcertante, troppo dura, pene accessorie troppo onerose, allontanerebbero gli investimenti stranieri, ecc.
Una vera giustizia avrebbe già sbattuto in galera Espenhahn la mattina del 6 dicembre, quando l’Azienda, su iniziativa di Cosimo Cafueri (RSPP dello stabilimento torinese, imputato e indagato per i reati di istigazione alla falsa testimonianza e falsa testimonianza, oltre che per omicidio colposo con colpa cosciente e omissione di cautele antinfortunistiche) inviava in azienda un addetto della ditta responsabile della manutenzione degli estintori per tentare di sostituire quelli non funzionanti e non revisionati (come previsto dalla legge). Tentativo per fortuna sventato dagli operai in presidio, che hanno subito chiamato le forze dell’ordine.
Dalle prove irripetibili svolte dalla Procura è risultato poi che, oltre al fatto che molti di questi fossero del tutto vuoti o quasi, altri erano completamente vuoti nonostante fossero stati revisionati e ancora muniti di sigillo!
Non dimentichiamoci poi le 10 persone indagate (ex operai) indagati per falsa testimonianza, rinviati a giudizio per un processo che partirà in seguito, dove sono indagati anche 4 ispettori dell’Asl che avvertivano preventivamente l’Azienda dei sopralluoghi. Dulcis in fundo: indagato per omiciso colposo anche il consulente tecnico dell’Azinda, l’Ing. Berardino Queto, lo stesso che aveva stilato per la ThyssenKrupp l’ultimo documento di valutazione dei rischi.
Difendere queste persone già di per sè è vergognoso per la tenuta avuta prima e durante il processo. E questo per parlare solo della vicenda giudiziaria, senza dimenticare le ignobili discriminazioni, vessazioni e comportamenti arbitrari e illegali adottate nei confronti dei lavoratori costituiti Parte Civile nel processo, non ricollocati, come invece sancito da un accordo siglato da Azienda, Enti locali e organizzazioni sindacali.
Come vergognoso è il fatto che gli imputati siano ancora a piede libero. Ancora più vergognoso è invitare una persona simile ad intervenire formalmente, come un cittadino qualunque. Applaudirlo è altrettanto grave ma, come ripeto, dalla Confindustria non ci si poteva aspettare certo una presa di distanza. Di imprenditori come Espenhan, e anche peggio di lui, ce ne sono a centinaia. Vogliamo dimenticare Emilio Riva (Ilva di Taranto: 180 morti, 8 mila invalidi, 20 mila morti di cancro e leucemia) o Giorgio Del Papa (Umbria Olii di Campello sul Clitunno: esplosione di un silos, 4 morti; prima chiama in giudizio i consulenti della Procura per “danno”, poi ricusa prima i giudici del tribunale civile e poi di quello penale, infine, oltraggio finale, chiede 35 milioni di risarcimento ai familiri delle vittime e all’unico superstite; la Confindustria locale, ovviamente, è vicino alle famiglie però prende le difese di Del Papa, così come numerosi esponenti politici e sindacali locali. Prima di qualsiasi cosa viene la produzione!!! Chi se ne frega se crepano i lavoratori…)? E questi sono solo due casi. Ma ci sono tanti altri casi: Eternit, Mineo, Saras, MecNavi, Viareggio, Molino Cordero di Fossano, il terremoto dell’Aquila, ecc.
Tutti morti da profitto dei soliti industriali e imprenditori senza scrupoli e di chi li sostiene (politici, palazzinari, affaristi, mafiosi, ecc).
La questione non è, come vorrebbe far credere qualcuno, premiare i buoni e punire i cattivi. La questione è un’altra: semplicemente non ci sono padroni buoni e padroni cattivi. I padroni sono tutti uguali, il loro fine primario è valorizzare il capitale, poi viene tutto il resto. E anche quando applicano le norme di sicurezza lo fanno solo perchè sono costretti a farlo, non per convinzione o perchè tengano particolarmente alla vita dei lavoratori.
Il problema vero è un altro: superare questo modo di produrre, eliminando la proprietà dei mezzi di produzione nazionalizzando tutte le produzioni. Collettivizzando tutti i settori dell’economia, eliminando le produzioni nocive e inutili (tantissime), producendo solo ciò che serve per vivere dignitosamente e non ciò che fa fare profitto. E questo potrà farlo solo un governo in mano alle masse popolari, capaci di tramutare in leggi e piani nazionali le proprie rivendicazioni e aspettative.
Gli operai sanno già come si produce, senza bisogno che ci sia il direttore a spiegargli in che modo. E ormai sempre più persone, a causa della crisi e delle conseguenze funeste che stiamo pagando, si rendono conto che questo sistema sociale e produttivo che genera morti, malattie, abbrutimento, apatia, distruzione ambientale, emarginazione, omofobia, guerre, droga, ecc. è necessario e doveroso superarlo.
La Confindustria i suoi lacchè ovviamente (molti: il Vaticano, la mafia, i personaggi concertativi posti alla testa di movimenti, partiti, associazioni e sindacati buoni solo a fare i pompieri e spegnere le lotte, i vari rinnegati ed ex nei partiti della sinistra come i finti comunisti Vendola, D’Alema e Bertinotti, Bersani, ecc., solo per citarne alcuni tra i più insulsi e fastidiosi, veri e propri nemici della classe operaia) remano da tutt’altra parte, appoggiando il piano Marchionne che fa scempio dei diritti dei lavoratori, del CCNL, della rappresentanza sindacale, promette investimenti e crea solo cassa integrazione, opere pubbliche inutili (Tav, discariche come a Terzigno e Pianura, ecc), creando sfiducia e rassegnazione nelle masse.
Tuttavia il seme della lotta di classe in questo Paese è sempre fecondo: Terzigno, Val Susa, Innse, Movimento Pastori Sardi, Alcoa, immigrati sulla torre a Brescia e Milano, condanne nel processo ThyssenKrupp sono vittorie parziali ma sostanziali strappate alla classe (oggi) dominante ottenute con la lotta. Il che dimostra pero che si può fare, che la crisi non si deve necessariamente subire.
Conflitto sociale che la crisi rende sempre più acuto e il Paese sempre più ingovernabile: si tratta di rafforzare il coordinamento tra tutte quelle realtà che già oggi lottano (separatamente, purtroppo) in rispettivi ambiti, chi contro le morti sul lavoro, chi contro la devastazione ambientale, chi per il rispetto della Costituzione, ecc.
Superare quindi il settarismo, la logica dell’orticello, diffusasi come un cancro soprattutto a sinistra: perchè chi lotta contro le morti sul lavoro non deve lottare anche contro la devastazione ambientale prodotta dalle aziende (cito nuovamente il caso Ilva: morti, malattie, inquinamento e devastazione del territorio che coinvolge non solo i lavoratori ma tutti i cittadini dl territorio circostante, la società civile in generale)? L’intreccio tra le lotte è strettamente reale e necessario per renderle efficaci e vincenti.
Sconcertante, l’aggettivo usato per definire la sentenza ThyssenKrupp da parte del Pres. degli Industriali Torinesi G. Carbonato, è semmai vedere come nel 2011, con tutte le risorse e gli strumenti a disposizione e tutte le competenze tecniche e scientifiche esistenti, ci siano ancora morti per fame, per malattie perfettamente curabili, per lavoro. E vedere come una gran massa di lavoratori, in Italia e nel mondo, muoia per produrre profitti e ricchezze a cui (oggi) non ha accesso.
L’unico freno oggi esistente al superamento di queste ingiustizie è l’attuale ordine sociale, completamente appannaggio dei soliti potenti.
Occorre quindi lavorare per superare l’attuale sistema, quello marcio e corrotto in cui i valori di riferimento sono richezza e profitti, che genera i Berlusconi, i Marchionne, i Marcegaglia, i Bonanni, gli Angeletti, i Borghezio, e instaurarne un’altro che ponga al centro la dignità e il rispetto dell’uomo. Questo può farlo solo un sistema socialista, dove tutto è pensato, diretto, realizzato, organizzato dalle masse popolari e dai lavoratori in base alle proprie aspirazioni e rivendicazioni.
Si tratta quindi di cambiare musica, non i suonatori.
La sentenza che lei definisce un unicum è assolutamente sacrosanta: i vertici Tyssen sono stati condannati con la formula del dolo eventuale, che sta a significare che si sono assunti volontariamente e consapevolmente il rischio di provocare ciò che poi è successo(una strage), quindi i giudici, nell’emettere questa sentenza, hanno semplicemente preso atto dei fatti. Non le piace? Proponga al parlamento di eliminare la fattispecie del dolo eventuale. se si arrivasse a tantio allora sì che l’impunità della nostra classe dirigente e imprenditoriale costituirebbe un unicum!
C’è poco da aggiungere a tanti commenti che condivido. Omicidio volontario è
una valutazione esagerata? Forse, ma comunque quei dirigenti hanno commesso
ugualmente un’azione più che riprovevole, per la morale prima ancora che per
il diritto: hanno lucrato giocando sulla vita degli operai perchè, per
soldi, non hanno mantenuto in efficienza gli impianti di sicurezza. Un
dirigente ha tante responsabilità, gestionali, economiche, deve garantire il
futuro e l’utile all’azienda, ma ha anche il compito di rispettare le leggi e
le persone. Mi dispiace che Giannino si dimostri, in questo caso,
insensibile e fazioso arrampicandosi sugli specchi. In ogni caso,
quell’invito e quegli applausi erano ambigui. Sarebbe stato meglio evitare
tutto ciò. Anche al sito, che dovrebe essere di riflessione e
documentazione, non fanno bene certe derive estremiste e provocatorie.
Giannino ormai non sei più credibile, lascia stare, datti all’ippica. dove tocchi sbagli. l’ultimo caso è la sviolinata sulla gestione di Parma.
da parmigiano ti posso dire che non sai di cosa parli, come per il nucleare… cambia mestiere.
per “elfodellago”, commento #42:
> La sicurezza sul lavoro sta così a cuore a confindustria che nelle aziende
> della Sig.ra Marcegaglia la media degli incidenti è di 3 volte superiore
> a quella europea.
interessante statistica, mi riporti la fonte ché voglio controllare?
grazie e ciao
Castellini
PS: porco cane… ma usare un maledetto nome e cognome no? 🙂
I vertici tyssen sono stati condannati con la formula del dolo eventuale e si tratta di una sentenza giustissima: questi signori si sono assunti consapevolmente il rischio di provocare ciò che poi è successo(una strage). Questo e nient’altro è l’omicidio volontantario con dolo eventuale. Vogliamo abolire questa fattispecie di reato? E facciamolo, tanto ormai questo sta diventando il paese dell’impunità e della vergogna!
@carlo
In effetti, dal mio punto di vista chi guida in stato di ebbrezza o magari si è fatto una innocente “canna” andrebbe imputato per omicidio volontario nel caso provocasse un incidente mortale. Abdate a dirlo a quei genitori/padri/madri/figlio di persone ammazzate da un cretino che guidava ubriaco o drogato.
Ecco perchè il nostro paese naviga nella M. se questi sono i motivi per essere d’accordo o meno con qualcuno che Dio benedica l’Italia.
Ho visto le immagini della dichiarazioni della Mercegaglia sul sito di Repubblica e chiaramente diceva che fermo restando l’importanza che Confindustria dà al tema della sicurezza del lavoro, la condanna per omicidio volontario le sembra una cosa esagerata; per questo, solidarietà al manager della Thyssen.
Oggi invece arrivano le scuse di confindustria:
http://www.repubblica.it/cronaca/2011/05/11/news/thyssen_confindustria_chiede_scusa_sbagliato_quell_applauso-16076552/?ref=HREA-1
Da “La Stampa”: «L’applauso all’amministratore delegato di Thyssen è stato sbagliato, inopportuno, e colgo l’occasione per chiedere scusa a nome di Confindustria ai familiari delle vittime e all’opinione pubblica che si è sentita colpita e offesa». Lo ha detto il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli intervenendo alla trasmissione «Cofeee Break» su La7. Quindi se ne sono accorti anche loro. Caro Giannino, Ti seguo sempre con piacere su La7 per gli spunti critici che sai regalare, ma ultimamente ti incaponisci a difendere qualche causa “persa” di troppo (prima Fukushima, poi questo …), senza peraltro fare poi un minimo di autocritica. Questo non depone a favore la tua onestà intellettuale …
Ma Giannino non era un grande ammiratore degli Stati Uniti? E se in Italia sbattessero in galera un colletto bianco come Madoff per 150 anni Giannino cosa farebbe? Si darebbe fuoco sulla pubblica piazza? Giannino in realtà è molto Italiano e ama l’andazzo che da sempre vige in Italia: delinquenza e impunità garantita per lor signori!
Ehm, nel post sopra con “ti seguo sempre con piacere su La7” intendevo logicamente su Radio 24 … sorry
Ero proprio in attesa delle scuse…..Ma perchè non le fa la Marcegaglia ?
E magari anche lei Sig.Oscar Giannino ?
Ammesso e non concesso che fare delle scuse dopo 4 giorni significhi
qualcosa. Per me rimane inammissibile e non ci sono scuse che reggano.
egregio giannino,
il suo silenzio non è bello. parecchi commenti contrari al suo post contengono riferimenti a quelli che sembrano dati di fatto. perché non ci dice qualcosa a riguardo?
saluti,
castellini
@pietro
Lei ha ragione, e mi scuso:
Entrata in vigore del decreto: 27-11-1994. Gli artt. 33 ee 36 entrano in vigore il 13/02/1995. (Quindi fu firmata da Berlusconi)
Il resto rimane invariato…..
@operaio catena di montaggio
Lei ha perfettamente ragione. Purtroppo molti credono che sia normale per una persona, salutare i propri cari, uscire di casa per recarsi al lavoro, e morirvi perché qualcuno ha deciso di risparmiare sulla sicurezza. La sicurezza coinvolge il lavoratore ma anche il cliente o visitatore di quella fabbrica o ditta. Anche quelli che fanno un lavoro d’ufficio, seduti davanti ad un computer, farebbero bene a studiarne i dettami, e non lamentarsi per sciatalgie o difetti visivi (dovuti a cattive posture o collocazione errata di un monitor) e se proprio non bastasse auguro a costoro una bella scossa elettrica con un salvavita che non funzioni per assenza di manutenzione!
Ci si deve rendere conto , che le fabbriche di vecchia tecnologia, in Italia ,devono essere eliminate.
Se vogliamo competere dobbiamo creare fabbriche altamente robotizzate con pochi tecnici e quasi nulli operai. Se non riusciamo a fare ciò la nostra industria pesante è destinata a scomparire.
@Alex61
Caro Alex61, mi permetta di raccontarle una breve storia che smentisce la sua convizione.
Sedici anni fa ho trasformato la mia piccola aziendina di contoterzista di metalmeccanica, cun un salto nella robotica. Impianti di ultima generazione acquistati con sanguinosi leasing e ipoteche di prima casa per accedere ai finanziamenti.
Per i primi 5/6 anni le cose sono andate bene, fatturati decuplicati e 8 nuove assunzioni.
Poi i miei committenti hanno scoperto la Romania; con qualche sforzo organizzativo siamo riusciti a superarne la concorrenza, poi è arrivata la Cina. E lì non c’è stato nulla da fare. Nonostante la nostra altissima robotizzazione, i loro prezzi erano e sono 1/3 dei nostri, e questo perchè con il costo di un robot+un operaio italiano, il concorrente cinese poteva permettersi 20 operai che superano di efficienza qualsiasi robot in quella mansione.
Morale. Non è vero che dobbiamo alzare la qualità di prodotti e lavorazioni, perchè contro la schiavitù si perde sempre.
Mi domando solo quando i consumatori italiani, che oggi affollano gli OUT-LET di “made in china” finto italiano, si renderanno conto che approfittare dei prezzi in dumping e concorrenza sleale, alla lunga metterà a rischio anche il loro di lavoro.
Un altro mistero è la categoria degli imprenditori alla Matteo Colaninno, alto esponente di un partito che dichiara di lottare la precarietà e contemporaneamente tra i maggiori delocalizzatori italiani.
In ogni modo siamo alla storia che va al rovescio, i braccianti stanno rendendo obsoleta la macchina a vapore.
Le nostre aziende sono già in via di estinzione, che si rinnovino o no.
Dobbiamo esportare i sindacati e non le nostre aziende.
@Giovanni Bravin
Tutto giusto , non bisogna risparmiare o barare sulla sicurezza , ma condannare per omicidio volontario a 16 anni un “vero” amministratore ,significa solo voler dare un esempio , ma negativo , di come funziona la giustizia e non solo in Italia .
E’ giusta una condanna , ma omicidio volontario significa che l’amministratore voleva uccidere quegli operai , qualcuno lo crede veramente ?
L’amministratore va condannato e severamente se c ‘erano delle mancanze nei sistemi di sicurezza .
Non c’e’ misura in questa sentenza ; ma se questo e’ omicidio volontario , cosa dobbiamo fare dei nostri mafiosi ? Il giusto rapporto sarebbe squartarli sulla pubblica piazza .
Pero’ anche i giudici sono uomini , dai mafiosi ricevono pressioni pesanti , dall’amministratore della Tyssen sicuramente niente .
@Guido Montagna
La formula è quella di omicidio volontario con dolo eventuale, che significa solo che questi signori si sono assunti volontariamente il rischio di un grave incidente(cosa poi successa) e non c’entra nulla la volontà omicidiaria, altrimenti avrebbero preso trenta anni o l’ergastolo e non sedici!
Mamma mia…tutto giusto direi…manca solo una postilla per ricordare anche che, qualora qualcuno non fosse d’accordo, si dovrebbero (ri)costituire dei “campi di lavoro correttivi”, possibilmente in zone fredde e inospitali del paese, per tentare di riportare questi individui in linea con le “masse popolari”.
Certo che le ideologie non smetteranno mai di corrompere cervelli…
Francamente non ho le competenze giuridiche per definire corretta o meno la sentenza TK. Credo che sulla colpevolezza dell’AD e della struttura dirigenziale nessuno abbia dubbi, ma, anche in questo caso, è doveroso applicare in modo rigoroso le norme di legge. Si tratta di dolo eventuale o no? E’ responsabilità dei giudici stabilirlo. L’importante è che la sentenza non sia emessa in funzione del sentimento e delle aspettative delle masse popolari.
L’applauso al manager della Thyssen, purtroppo, non era sbagliato. Quando un paese arriva a una sentenza tanto assurda come quella emessa solo per dare ragione a una primadonna come il mitico Guariniello, una sentenza che va contro ogni logica, il meno che si possa fare è applaudire la vittima della malagiustizia fosse pure, come in questo caso, una persona colpevole, presumibilmente, di omicidio colposo. Se davvero fosse responsabile di omicidio premeditato, infatti, il malcapitato sarebbe anche un idiota dato che, premeditando l’omicidio dei suoi operai, avrebbe ovviamente danneggiato, e irrimediabilmente, quella produzione che avrebbe dovuto difendere. In tal caso lui sarebbe inequivocabilmente un omicida idiota e, perchè no, sarebbero guarinnellianamente complici e naturalmente idioti a loro volta gli azionisti Thyssen che lo hanno mantenuto al suo posto, non si comprende perchè mai non perseguiti nemmeno loro. C’è anche una terza via, naturalmente, ma in quel caso gli idioti non sono tra le persone precedentemente indicate…
Spiace constatare che Confindustria non abbia avuto il coraggio di difendere le proprie azioni e il buon diritto.
Condivido in modo pieno, anche alla luce della descrizione di come si sono svolti i fatti, le valutazioni di Giannino.
Lavoro da 40 anni nel settore delle risorse umane come consulente aziendale, e sugli infortuni sul lavoro constato una retorica e una disinformazione preoccupante.
Prima di tutto non viene spiegato che la classificazione di infortuni sul lavoro comprende in Italia,e non all’estero, gli infortuni “in itinere” quelli cioè che accadono andando o tornando dal lavoro, la cui responsabilità non può certo essere imputata ai datori di lavoro, e che rappresentano più della metà del milione di accadimenti italiani.
In secondo luogo vanno considerati gli infortuni dei lavoratori autonomi, agricoltori, pescatori artigiani ecc. ecc.per i quali si dovrebbe coerentemente parlare di suicidi volontari.
In terzo luogo ci sono le continue violazioni delle comuni regole di buon senso da parte degli stessi operatori:ne ho viste di tutte,dall’operaio che usa l’accendino per verificare il contenuto di un bidone ( che era pieno di infiammabili) a tutti quelli che entrano dentro le cisterne senza la maschera antigas pur avendola a disposizione, alla leggerezza di chi si muove sui ponteggi dei cantieri senza usare le protezioni.E questo atteggiamento, in calo fra gli italiani, è in crescita fra gli extra comunitari.Così come noi siamo indietro rispetto ad altri paesi nell’autotutela, spesso chi viene dall’estero è più disattento di noi italiani.
Non va poi dimenticatol’alto numero di incidenti di comodo, come il calciatore dilettante che si strappa in allenamento e poi dichiara l’incidente come avvenuto in azienda.
Credo che una seria analisi fatta da un organismo super partes non potrebbe addebitare la responsabilità degli infortuni che in modesta misura (dal 10al 20%) al datore di lavoro.
Certo si può migliorare e si deve farlo,ma considerando che i primi responsabili della sicurezza sono gli stessi operatori che devono e possono pretendere di avere ed usare le protezioni moltopotrebbe essere evitato conuna adeguata sensibilizzazione
Gian Luigi Capriz
Ho molta stima per Giannino, ma a volte credo che esageri in certe sue prese di posizione. Questa è senz’altro una di quelle.
Caro Giannino,
io ricordo che all’A.D di Thyssen fosse stata segnalata e motivata dai responsabili sicurezza di fabbrica la necessità di adeguare le misure di sicurezza del reparto e addirittura preventivata l’opera necessaria e la spesa. L’ammontare di quest’ultima, riportarono i giornali, causò il rifiuto da parte del principale condannato di procedere a tale adeguamento. Evidentemente accettando il rischio a cui esponeva le proprie maestranze. Essendo manager esperto del settore e conoscendo bene la suafabbrica. Non trovo quindi sbagliato che i magistrati abbiano ravvisato nel suo comportamento una volontà cinica disposta anche alla tragedia.
Quindi a mio avviso lei poteva risparmiarsi di fare l’Azzeccagarbugli in difesa di una classe imprenditoriale che in larga maggioranza é quasi sempre riuscita a scamparla per gli incidenti sul lavoro, come dimostra il numero delle morti cosiddette “bianche” che ancora insanguinano questo Paese. Saluti. P.E. Corsi
Vorrei commentare questa frase scritta dall’operaio della Thyssen:
“Il problema vero è un altro: superare questo modo di produrre, eliminando la proprietà dei mezzi di produzione nazionalizzando tutte le produzioni. Collettivizzando tutti i settori dell’economia, eliminando le produzioni nocive e inutili (tantissime), producendo solo ciò che serve per vivere dignitosamente e non ciò che fa fare profitto. E questo potrà farlo solo un governo in mano alle masse popolari, capaci di tramutare in leggi e piani nazionali le proprie rivendicazioni e aspettative.
Gli operai sanno già come si produce, senza bisogno che ci sia il direttore a spiegargli in che modo. […]”
Scusa operaio della Thyssen Krupp, ma la nazionalizzazione dei mezzi di produzione nella storia c’è già stata un sacco di volte!! In Russia (URSS) per esempio: gli operai avevano meno diritti, c’erano più incidenti sul lavoro di oggi.
Quella che hai scritto è una cosa falsissima! Non ha senso pensare che se le fabbriche sono di proprietà diversa da quella privata (dello Stato, di una cooperativa) allora per questo gli incidenti diminuiscono!! Ripeto: la storia ce lo ha insegnato!
Inoltre se la soluzione è quella di nazionalizzare le fabbriche mi spieghi perchè oggi i proprietari privati delle fabbriche dovrebbero investire in sicurezza a favore dei loro operai??? Tu lo faresti?
E poi i “padroni” come li chiami tu non sono tutti uguali: ci sono quelli – e ne conosco tanti – che sulla sicurezza investono eccome! Qualcuno è stato anche mio cliente.
Vai a vedere le statistiche: negli anni ’80 c’erano molti più morti nelle fabbriche di oggi perchè si investiva meno nella sicurezza.
Sedicente operaio Tyssen ne hai perse di puntate di storia.
Spero tu sia molto giovane e abbi la fortuna di vivere a lungo ed in salute.
Caro Oscar peccato per chi si sforza a non voler comprenderti.
Vorrei riprendere l’intervento di Fabio, perchè alcuni hanno fatto considerazioni scorrette a partire da un’idea inadeguata di omicidio volontario con dolo eventuale, ed è giusto invece focalizzare bene:
“La formula è quella di omicidio volontario con dolo eventuale, che significa solo che questi signori si sono assunti volontariamente il rischio di un grave incidente (cosa poi successa) e non c’entra nulla la volontà omicidiaria, altrimenti avrebbero preso trenta anni o l’ergastolo e non sedici!”
Ma vorrei anche riprendere e commentare Oscar Giannino:
“la mia personale opinione è che questa svolta giudiziale della volontarietà omicidaria apra una strada per la quale, cari imprenditori, vi sarà sempre più difficile trovare manager in grado di accettare l’idea di esporsi a vent’anni di galera come se volessero assassinare i vostri e loro dipendenti.”
Ma perchè? Qual è il problema? Basta attenersi agli standard imposti dalla legge, o alle specifiche fissate da chi ne ha titolo, e non si corre alcun rischio! E’ sufficiente che imprenditori e manager predispongano ambienti di lavoro altrettanto sicuri dei locali in cui mettono a giocare i loro figli e nipoti, e non andranno mai in galera!
Perchè, a questo passaggio, l’assemblea di Confindustria ha applaudito? Io non avrei applaudito, mi sarei alzato per dire: “Guardi che io posso trovare tutti i manager che voglio, perchè posso dimostrare loro che nella mia fabbrica la sicurezza è tutelata in modo maniacale, nè mai chiederò loro di pitoccare sulla sicurezza dei lavoratori per riparmiare qualche migliaio di euro!”
Se invece hanno applaudito, mi sorge il dubbio, è perchè molti di loro pitoccano da anni sulla pelle della gente, e intendono continuare a farlo.
Probabilmente c’è una discrepanza tra le dichiarazioni della Marcegaglia sullo spasmodico impegno di Confindustria per la sicurezza, e la realtà di moltissimi “cummenda”, per i quali la sicurezza è solo una rottura di c*******.