7
Ott
2016

I conti del Campidoglio: non 1 buco, ma 4. Cercasi Mandrake

L’emergenza dei conti di Roma non è una scoperta. Purtroppo. E ieri il neo assessore al Bilancio Mazzillo ha dovuto esordire ammettendola. L‘8 ottobre sarà passato un anno, dalle dimissioni dell’ex sindaco Marino. Un anno senza governo cittadino è un guaio aggiunto a un disastro, quando la situazione ereditata è strutturalmente compromessa come quella della finanza pubblica capitolina. E a questo punto non c’è più tempo da perdere, perché dal risultato elettorale sono passati 100 giorni.

Il neo assessore ha escluso l’ipotesi del default, ma i problemi più rilevanti sono quattro. C’è un debito finanziario di 1,2 miliardi, gestibile a seconda dei flussi di entrate proprie del Campidoglio. C’è il nodo della rata annuale di ammortamento del debito da 13 miliardi circa, in gestione separata commissariale. C’è inoltre uno squilibrio patrimoniale di oltre un miliardo del Gruppo Roma Capitale, creato dal saldo netto tra crediti e debiti delle società partecipate comunali che al Gruppo fanno riferimento, e che può rapidamente chiamare all’esigenza di ricapitalizzazioni, anche a prescindere dal finanziamento ai piani industriali delle società da risanare. E infine c’è un quarto problema: la continua emersione dai conti ereditati di debiti fuori bilancio, residui attivi e passivi. Per somme che, ogni volta, testimoniano la disinvoltura con cui per anni e anni è stata gestita la finanza capitolina.

Facciamo un passo indietro. L’assestamento di bilancio 2016 votato a fine luglio in Campidoglio e impostato dall’allora assessore Minenna è stato un puro atto dovuto. Per rispettare la scadenza di legge, senza avere il tempo né l’intenzione di compiere alcuna scelta strutturale. La voce più rilevante era lo stanziamento di 90 milioni previsti per il salario accessorio nel 2017 e 2018, una delle gravi questioni createsi in passato tenendo gli occhi chiusi sui finti salari di produttività spalmati per tutti fino, in alcun i casi, a oltre il 50% della retribuzione ordinaria. Altre voci apparivano in singolare e inesplicato contrasto con la situazione certificata dall’ex commissario Tronca solo 60 giorni prima, a fine maggio. Secondo il rendiconto finale della gestione Tronca in cassa allora risultavano solo 13 milioni di euro, mentre a luglio secondo il documento Minenna erano saliti a ben 800, computando però per cassa poste non traducibili in liquidità immediata se non a patto di susseguenti azioni molto incisive e spesso di esito dubbio. Qualche giorno fa il sindaco Raggi ha disposto ad alunni disabili e municipi l’assegnazione di 9 milioni su 11 “trovati”, ha detto, nelle disponibilità di tesoreria. Lodevole, ma il problema da affrontare è purtroppo di tutt’altro ordine di grandezza. Il Campidoglio non potrà impostare di qui a 10 settimane il preventivo 2017 senza una ricognizione a 360 gradi dei diversi fattori che concorrono al suo squilibrio strutturale. E poiché per farlo occorre tempo, con tutto il rispetto i 100 giorni sin qui persi sono un cattivo inizio.

Per avere un’idea di quanto temibilmente ballerine siano le scoperte speleologiche, per così dire, che continuano ad avvenire scavando nei conti di Roma, basti pensare che secondo la Ragioneria capitolina nel primo semestre 2106 già erano emersi 46 milioni di euro non computati nel preventivo 2016, tra nuova spesa corrente e debiti fuori bilancio. A seguito dell’assestamento votato dall’attuale giunta a fine luglio l’Oref, cioè l’Organo di Revisione Economico-Finanziaria del Campidoglio, ha innalzato vertiginosamente la stima fino a 234 milioni di debiti fuori bilancio.

La nuova giunta partirà probabilmente dall’esame di sostenibilità della rata annuale di ammortamento dovuta a Cdp per l’anticipazione di cassa del debito di 13 miliardi, affidato alla gestione separata commissariale guidata da Silvia Scozzese. Che ha avvisato per tempo, a fine 2015, che dal 2017 i flussi prevedibili di cassa generati non saranno tali da sostenerne più la gestione ordinaria e il rientro. Perché, appunto, il bilancio del Campidoglio resta strutturalmente squilibrato. Incapace cioè di generare risorse proprie – al netto di trasferimenti e anticipazioni dallo Stato – tali da far fronte a tutte le esigenze ordinarie. I romani sono già al massimo delle sovra aliquote Irpef e Irap sommando Comune e Regione, pagano oltre 750 euro l’anno oltre la media nazionale.

Non pesa solo la rata annuale di ammortamento del debito. Come ha puntualmente dovuto ammettere ieri l’assessore Mazzillo, è la macchina comunale a essere divenuta incapace di entrate proprie in percentuale accettabile delle entrate. Perde oltre 100 milioni di affitti l’anno sul suo patrimonio immobiliare, sconta 7,1 miliardi di crediti non incassati dal 2008 tra entrate tributarie, multe, tariffe per servizi e canoni. Non riesce a processare l’anno più del 10% degli arretrati IMU. E dal 2008 si sono aggiunti 2,3 miliardi di spese correnti non liquidate ai fornitori, che il commissario Tronca ha iniziato a ridurre. Da asili, mense, affitti e mercati, il Campidoglio riesce a incassare solo 900 milioni l’anno aggiuntivi ai trasferimenti centrali e alle tasse: rispetto ai 4 miliardi di euro di Milano, che ha meno della metà degli abitanti di Roma. La riscossione dei crediti nel 2014 e 2015 ha viaggiato sulla media di poche decine di milioni di euro l’anno, rispetto al mezzo miliardo di Milano.

Intervenire sul conto economico ordinario postula avere idee estremamente chiare sul riordino del perimetro e dell’organizzazione dell’intera macchina capitolina. Purtroppo a tutti i livelli, dagli assessorati centrali ai Municipi, c’è un problema di gestione e controllo dei dati, di regole, e di risorse umane. Se ci fermiamo alle maggiori stazioni appaltanti gare per lavori e forniture, nel perimetro capitolino e delle sue controllate maggiori siamo a quota 150, che sfiora addirittura le 300 unità se comprendiamo anche quelle per modesti importi. Occorre integrare i sistemi informatici oggi non interfacciati e usati da ogni Dipartimento e Municipio per gestire appalti, gare e affidamenti, che compartimentano e ostacolano ogni processo centralizzato di controllo. E superare la prassi invalsa di attribuire ogni singolo affidamento alla valutazione del dirigente responsabile del procedimento, senza omogeneità di criteri. Bisogna cessare di aggirare gli obblighi di gara attraverso il frazionamento degli importi che ha eternato gli affidamenti diretti, e scongiurare la protrazione per anni e anni, in alcuni casi addirittura venti, degli affidamenti scaduti.

Nel 2015 Milano ha realizzato alienazioni di beni patrimoniali del Comune per 950 milioni, Roma per 33.  Numeri che parlano da soli. In compenso, il Campidoglio oggi gestisce anche aziende agricole come Castel di Guido e Tenuta del Cavaliere, volte alla produzione di carni, salumi e formaggi. Naturalmente, il conto è in perdita. Malgrado le 72 mila unità immobiliari destinate a canone sociale nel Comune di Roma (di diversa proprietà pubblica, non solo comunale), il Campidoglio spende oltre 20 milioni di canoni sociali in proprio.

Quanto al miliardo di squilibrio delle partecipate, non è purtroppo nemmeno esso una sorpresa. Oltretutto il più dei contratti di servizio delle società scade a fine anno, e andranno riscritti con criteri di efficienza del tutto diversi. Di sicuro, il Campidoglio oggi non ha la disponibilità finanziaria adeguata per gli investimenti che sono necessari in ATAC e AMA. E comunque una stima almeno approssimativa delle disponibilità non si può credibilmente fare, prima di aver definito come s’intende aggredire gli squilibri strutturali che gravano sul conto economico capitolino.

ATAC ha ottenuto in 5 anni sussidi pubblici per 4,3 miliardi di euro, riuscendo tuttavia a sommare deficit per 1,1 miliardi. Ha 12 mila dipendenti con un costo medio lordo annuo di 46mila euro che è ai vertici di settore nazionale. Con oltre 20mila appalti assegnati senza gara tra 2010 e 2015, cioè il 90% delle commesse senza un bando, e con biglietti e abbonamenti che coprivano solo un quarto dei costi aziendali, prima della cura avviata sotto Tronca e ora interrotta.

Per l’AMA, siamo ancora al punto in cui sono le cronache giudiziarie a dettare l’agenda. Non si è ancora minimamente capito quale sia l’idea di fondo, con 1,7 milioni di tonnellate annue di rifiuti da raccogliere, per chiudere il ciclo industriale del loro trattamento. A oggi, AMA riesce a ottenere dalla vendita al mercato delle diverse componenti dei rifiuti trattati fino a solo un ventesimo per unità di peso rispetto ai migliori concorrenti. Senza una precisa scelta industriale il trattamento dei rifiuti prodotti a Roma continuerà a essere, come oggi avviene, un affare per altre parti d’Italia.

Ci fermiamo qui. Non c’è alcun pregiudizio verso la giunta Raggi. Che finora non ha operato, vista la fatica e gli incidenti per trovare gli assessori nei ruoli più delicati. Il duro compito che l’attende era chiaro da prima delle elezioni. La condizione di Roma impone scelte molto ma molto impegnative, che richiedono grande risoluzione, raffinata competenza, visione e padronanza certa di un’infinità di dettagli normativi, amministrativi e organizzativi, sia pubblici sia privati. Cento giorni dicono che il tempo per addossare le colpe agli altri è finito. Ora è il tempo delle scelte e delle soluzioni.

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