Consigli di lettura per il 2025 – Seconda parte
Left Behind: Decline and Rage in Rural America, di Robert Wuthnow
Questo libro racconta l’indignazione dell’America rurale, quella delle 14mila comunità in cui vivono tra i 30 e i 40 milioni di americani, situate lontane dalle aree urbanizzate. Il sociologo di Princeton Robert Wuthnow riporta i risultati di mesi di lavoro sul campo, fatto di osservazione, ascolto, interviste.
Pubblicato nel 2018, l’obiettivo del libro era quello di spiegare la prima ascesa e vittoria di Trump. Wuthnow chiarisce che dalla bolla di Princeton è difficile comprendere l’indignazione di questa America remota; meno che mai trovare punti di accordo con essa. Nondimeno, vale la pena cercare di immedesimarsi e capire.
Queste “comunità morali”, così definite dall’autore, vivono un misto di paura e rabbia. Paura perché stanno scomparendo (i negozi chiudono, i figli se ne vanno, la chiesa in cui c’è un prete a dire messa la domenica è sempre più lontana). Rabbia perché sono sotto assedio, in parte dal governo di Washington, che impone tasse per finanziare lo stile di vita della gente di città (auto elettriche e studi prestigiosi, per esempio), e in parte dai mercati globali, che obbligano a cambiare lavori e abitudini in luoghi che sono a loro agio nella conservazione e nel cambiamento lento e incrementale.
Una lettura ricca di spunti di riflessione, anche per chi è cresciuto nella provincia italiana e non sente la stessa distanza di Wuthnow dai valori che la provincia rappresenta.
Paolo Belardinelli, research fellow dell’IBL
Due lingue, due vite. I miei anni svizzeri, 1943-1945, di Franco Debenedetti
Il libro ha origine da un diario scritto ottant’anni fa, nel centro dell’Europa e delle vicende che avrebbero cambiato il corso della Storia. È probabilmente da considerare come il primo libro di Franco Debenedetti: quello che dà inizio, in maniera del tutto inconsapevole, a una carriera che è un connubio irripetibile di esperienze ai vertici di grandi imprese e di impegno civile. A legarli sarebbe stata la curiosità intellettuale che è nota agli amici dell’Istituto Bruno Leoni, specie per l’intensa produzione di saggi e interventi nel dibattito pubblico dell’Ingegnere in Senato, ma che qui si mostra evidente già negli anni della scuola, all’interno di pagine che il lettore può apprezzare come vere e proprie fonti storiche.
Sarebbe dunque riduttivo consigliare Due lingue due vite come si trattasse (soltanto) di un libro. Le cure dell’autore e della sezione Arte dell’editore Marsilio ne hanno fatto un’operazione editoriale straordinaria, per il suo valore storiografico quanto per la forte espressività dei contenuti, soprattutto in chiave visuale.
Le pagine scritte da Debenedetti nei suoi “anni svizzeri”, quando la sua famiglia ha cercato rifugio dalla persecuzione degli ebrei, sono infatti “un” libro, che in questa edizione è diventato il cuore di un patrimonio da condividere nella dimensione pubblica. Il lettore troverà all’interno alcune riflessioni ispirate dall’attualità dell’Europa e un prezioso monito per la nuova epoca di antisemitismo su cui i terroristi di Hamas hanno squarciato il velo, con il pogrom del 7 ottobre: pagine che ci guidano tra documenti personali, fotografie, ritagli di giornale selezionati in un’eredità di carte e memoria ancora più vasta.
Due lingue due vite assume così il valore di un’antologia, riprodotta con una tecnica (l’anastatica) che sembra azzerare la distanza con gli originali custoditi in casa Debenedetti.
“Perché ricordare?”, è l’interrogativo aperto dell’autore, che è diventato cittadino del mondo imparando il tedesco così come, spiega nel libro, impara oggi l’intelligenza artificiale basata su Large Language Models (LLM). L’inizio di un pellegrinaggio laico, mai poi interrotto, in una cultura conosciuta ed amata attraverso la sua lingua. Due lingue, due vite in cui il ricordo privato della persecuzione dei regimi diventa una testimonianza intensa e profonda per il nostro tempo.
Enzo Cartaregia, già responsabile comunicazione dell’IBL
L’uomo venuto dal futuro. La vita visionaria di John von Neumann, di Ananyo Bhattacharya
Christopher Nolan ha sprecato un’opportunità narrativa escludendo John (Johnny) von Neumann dai personaggi del film Oppenheimer. Il funambolico matematico ebreo ungherese sviluppò soltanto le equazioni matematiche per costruire meccanicamente una bomba in grado di dar luogo a un processo di fissione nucleare, e calcolò l’altezza a cui farla esplodere per ottenere il più vasto effetto distruttivo. I tentennamenti e i pentimenti di Oppie, che von Neumann giudicava un grande scienziato e capo progetto ma con idee politiche disdicevoli, erano probabilmente considerati da lui una forma di ipocrisia, cioè “confessare un peccato allo scopo di rivendicarlo”.
Ananyo Bhattacharya ha scritto sul massimo genio scientifico del Novecento un libro chiaro e completo.
Nel 1955 von Neumann pubblicò sulla rivista Fortune un saggio intitolato “Possiamo sopravvivere alla tecnologia?”. Presagendo un quadro che sarebbe diventato quasi emergenziale settant’anni dopo, il conservatore sosteneva che non era possibile fermare “la marcia delle idee” e che non ci fosse “cura” per il progresso. Qualunque tentativo di trovare automaticamente vie di fuga dalla varietà esplosiva di progresso porteranno solo “frustrazioni” a meno di coltivare “pazienza, flessibilità e intelligenza”.
Gilberto Corbellini, membro del comitato editoriale di IBL Libri
Tutto scorre…, di Vasilij Grossman
Un tempo pensavo che la libertà fosse la libertà di parola, di stampa, d’opinione. Ma la libertà è tutta la vita di tutta la gente; ecco cos’è: è il diritto di seminare quel che vuoi, di fare scarpe, soprabiti, di cuocere il grano che hai seminato, per venderlo o non venderlo, come vuoi tu; e anche se fai il meccanico, o il fonditore, o l’artista, vivi e lavora come vuoi tu, e non come ti ordinano.
Così dice Ivan Grigor’evič nello splendido libro di Vasilij Grossman. E non sorprende che, per l’autore del grandioso e terribile Vita e destino, la libertà sta proprio nella vita, nelle vite diverse di tutta la gente. Né che ogni qual volta ci si scontra con la pretesa di ridurre – in nome di pretesi principi supremi – la vita all’uniformità, si finisca con i campi di concentramento o con la carestia.
Ma la vita si riprende la sua libertà nel modo più sorprendente:
Stalin morì senza che ciò fosse pianificato, senza istruzione degli organi direttivi. Morì senza l’ordine personale del compagno Stalin. Quella libertà, quell’autonomia della morte conteneva qualcosa di esplosivo che contraddiceva la più recondita essenza dello Stato.
Sullo sfondo la domanda tragica e radicale: Era forse questo il socialismo, con i lager della Kolyma, con il cannibalismo all’epoca della collettivizzazione, con la morte di milioni di persone?
Sì, quello era stato già con Lenin, come spiega Grossman, quello era, come ci racconta sempre Grossman attraverso il viaggio Ivan Grigor’evič, quello sarebbe ancora stato, e la citazione di Tombstone di Yang Jisheng si fa obbligata.
Natale D’Amico, membro del comitato d’indirizzo dell’IBL
Visions of Order: The Cultural Crisis of Our Time, di Richard M. Weaver
Che cosa è la cultura in un mondo in cui non esistono più standard di eccellenza? Mantiene ancora un proprio valore che va al di là del presente massificato? In quale rapporto sta essa con l’uomo? Questi sono solo alcuni degli interrogativi a cui Richard M. Weaver (1910-1963) cerca di rispondere in un classico di sessant’anni fa da poco ripubblicato. Weaver è stato un importante pensatore del sud degli Stati Uniti, erede dei cosiddetti “Southern Agrarians” orbitanti intorno alla Vanderbilt University di Nashville. La sua critica alla modernità industrialista ricorda non poco ciò che si può leggere nel manifesto agrarian del 1930, I’ll Take My Stand.
Visions of Order si focalizza sul significato della cultura, in modo particolare in un tempo di crisi. Per Weaver una società non può esistere senza un’idea forte di cultura: questa non è un prodotto per le masse, né può ridursi al conformismo dilagante del presente. Piuttosto, essa ha un valore che va oltre il tempo: è il cemento di una comunità, giacché fornisce un alto standard di eccellenza che serve da orientamento per le generazioni a venire.
Cultura, per Weaver, è il contrario di tecnica: mentre quest’ultima serve in vista di una funzione, poniamo fornire le istruzioni per aggiustare una macchina, la cultura forma il carattere, perfeziona la persona allevandone la capacità di immaginazione ma anche ancorandola alla realtà e ai propri limiti costitutivi. La cultura ha dunque una missione: quella di conservare l’uomo come esso è e preservare, così, un ordine naturale che certa hybris vorrebbe invece trasformare e corrompere.
Carlo Marsonet, redattore di Lisander
Le categorie del «politico». Saggi di teoria politica, di Carl Schmitt
Carl Schmitt non è certo un autore liberale, anzi è un grande critico del liberalismo, ma il suo grande merito è quello di svelarci i meandri più profondi, reconditi e realisti del potere politico e della sovranità.
Nel 1927 fa una scoperta fondamentale, le categorie del politico. È una concezione, quella di Schmitt, in base alla quale ovunque c’è politica c’è conflittualità, laddove conflittualità ha esattamente il significato della contrapposizione amico/nemico.
Per fare politica ed esprimere il senso della sovranità è fondamentale mantenere viva la paura dell’altro, di un nemico individuato come nemico pubblico. Produrre una tensione politica è una rendita per il potere perché individua uno stato di eccezione nel cui ambito l’autentico sovrano sarà in grado di prendere decisioni al di fuori della cornice del costituzionalismo, del diritto. Lo stato di eccezione fa emergere il vero sovrano e il suo ruolo salvifico per la comunità degli “amici”.
Roberta Modugno, membro del comitato editoriale di IBL Libri
Over Ruled: The Human Toll of Too Much Law, di Neil Gorsuch e Janie Nitze
Il termine nomorrea, coniato da Francesco Carrara (1805-1888) per descrivere l’inflazione delle leggi, potrebbe offrire l’abbrivo per una traduzione italiana del nuovo libro di Neil Gorsuch, giudice della Corte suprema degli Stati Uniti, e Janie Nitze. Diciamo l’abbrivo, perché, facendo riferimento solo alla dimensione quantitativa dell’espansione legislativa, si lascia in ombra l’aspetto qualitativo di questo fenomeno, che gli autori mettono invece in primo piano grazie a un gioco di parole: over-ruled, infatti, richiama tanto l’essere “sovra-normati”, quanto il rovesciamento o superamento del giudizio individuale determinato da un fattore esterno, che in questo caso è, per l’appunto, l’eccesso di normazione.
In un contesto di nomorrea, la certezza del diritto è ridotta a una garanzia di “breve termine”, come notoriamente ha sostenuto Bruno Leoni: sicché la scelta che si compie oggi non è detto che terrà al riparo da sgradite ripercussioni domani, se il quadro normativo di riferimento non resta sufficientemente stabile. Ma c’è di più.
In un contesto di nomorrea, è persino illusorio avere contezza delle regole da rispettare, tale è il loro numero e il loro groviglio. Gorsuch e Nitze lo spiegano benissimo, presentando al lettore storie di ordinari cittadini, come si usa dire, finiti nell’ingranaggio giudiziario per aver avuto la “colpa” di fidarsi delle regole in vigore o per aver avuto la “presunzione” di considerare piccoli episodi della vita quotidiana al riparo dallo zelo regolatorio. Ed è questo il contributo più prezioso che gli autori offrono a un dibattito che – ne è prova il Carrara citato in apertura – non è novità recente: e cioè ricordando che il peso della nomorrea grava proprio su quei cittadini indifesi di cui il diritto vorrebbe invece essere garanzia e tutela.
Giuseppe Portonera, Forlin fellow dell’IBL
Il libro di Renzo. Engaged (Vol. 1) e Il segreto di Lucia. Engaged (Vol. 2), di Beppe Roncari
E se i Promessi Sposi non fossero un’invenzione di Alessandro Manzoni ma una storia vera? E se l’Anonimo di cui egli sostiene di aver trovato il manoscritto fosse stato qualcuno in carne e ossa e non un paravento dello scrittore? E se il contributo di don Lisander alla storia di Renzo e Lucia non fosse stato lo sciacquio dei panni in Arno, ma una attenta ripulitura della vicenda dai dettagli più oscuri, che il suo pubblico non sarebbe stato pronto ad accettare?
Beppe Roncari, scrittore prolifico ed eclettico, sostiene di aver trovato il manoscritto originale e si fa carico di rivelare ciò che Manzoni ha occultato. Il risultato sono due libroni. Le pagine sono tante ma scorrono veloci, tra citazioni dirette dei Promessi Sposi, allusioni ad altri cicli narrativi a partire da quelli tolkieniani, e un minuzioso lavoro di ricerca per restituire al lettore un’ambientazione e dei personaggi i più possibili aderenti alle loro controfigure storiche (incluso l’Innominato).
Nella fiction di Roncari, Renzo e Lucia non sono i due sprovveduti che tutti conosciamo, perseguitati dall’arrogante don Rodrigo e sballottati nell’insondabile disegno della Provvidenza. Sono i protagonisti di una partita molto più grande di loro, che coinvolge certamente la Provvidenza, ma che vede al centro lo scontro tra le potenze angeliche e quelle demoniache. Sono gli esseri celesti a combattere per far pendere la bilancia cosmica dal proprio lato, e per farlo non esitano a usare gli umani ora come pedine, ora come gusci da occupare e pilotare alla bisogna.
Come in ogni romanzo che si rispetti, ciascuno dei protagonisti sviluppa una propria personalità e finisce per smarcarsi dal ruolo che la sorte tenta di affibbiargli: sicché si trovano angeli mascalzoni e diavoli perbene, licantropi, persone abiette e altre nobili d’animo. Il gioco di Roncari consiste nell’effettuare una rilettura dei Promessi Sposi che vengono come dissezionati: il lettore rivive tutte le scene che ben conosce, ma le vede da una prospettiva diversa, che include ciò che prima rimaneva fuori dallo sguardo.
Ogni azione di fra Cristoforo e don Abbondio, dei bravi e di Agnese, di donna Prassede e dell’Azzeccagarbugli si inserisce in uno scenario più ampio in cui diventano evidenti non solo tutte le conseguenze, ma anche le cause che solo raramente sono riconducibili alla volontà del diretto interessato. Il racconto di Renzo e Lucia diventa quindi una travolgente corsa con (e contro) i quattro cavalieri dell’Apocalisse, che fanno ritorno sulla Terra e si preparano a sovvertirne l’ordine. Cosa pensavate che fosse la peste di Milano se non il primo dei cavalieri?
Come andrà a finire lo sappiamo tutti. Ma perché va a finire così, lo scoprirà solo chi avrà il coraggio di varcare le porte aperte da Roncari: dì, amico, ed entra se vuoi sapere cosa c’è davvero sotto ai Promessi Sposi.
Carlo Stagnaro, responsabile ricerche e studi dell’IBL