Consigli di lettura per il 2025 – Prima parte
Cosa regalare o regalarsi per le feste di Natale? E cosa leggere? Anche quest’anno, qualche consiglio arriva dallo staff e dai collaboratori dell’IBL.
Napoleon: A Life, di Andrew Roberts
Napoleone non è certo un eroe liberale. A volte addirittura accostato a Hitler per i suoi disegni egemonici sul Continente europeo e fortemente avversato dalla liberale Gran Bretagna che ha visto in lui un nemico a tratti caricaturale, Napoleone continua a dividere il mondo in critici e ammiratori e anche noi posteri siamo ben lontani dall’emettere quell’ardua a cui Manzoni ci invitava.
In questa biografia lo storico inglese Andrew Roberts ci regala un ritratto minuzioso e accurato che copre interamente la vita di Napoleone, dalle origini in Corsica fino alla morte in esilio a Sant’Elena sotto la scorta vigile e preoccupata degli inglesi. In mezzo ci sono le sue conquiste, le battaglie, le riforme civili, le politiche economiche, gli amori e le amanti, le sconfitte e i rimpianti. Il modo in cui Napoleone conquista il potere, la rincorsa verso forme sempre più autoritarie di gestione, la guerra come mezzo di espansione e la centralità onnipresente dello Stato sono tutti elementi che certamente concorrono a non farlo amare ma è anche vero che sono i principali mezzi con cui il potere si conquistava nel periodo in cui Napoleone ha vissuto.
Roberts ammira chiaramente Napoleone e gli elementi positivi nella biografia superano le critiche seppure il lavoro appare molto serio e lo storico inglese supporta le proprie considerazioni sempre con dovizia di particolari storici e documenti. È vero che gli anni di potere di Napoleone coincidono con anni di guerra ma è altrettanto vero che nella maggior parte dei casi è stato attaccato dalla coalizione decisa a restaurare il Re sul trono di Francia. Le sue riforme sociali e giuridiche hanno consentito a larghe fette delle popolazioni dei paesi occupati di migliorare la loro condizione e le sue posizioni sulle libertà individuali erano certamente meno odiose di quelle di molti dei sovrani che lo hanno combattuto. Ha consentito alle classi borghesi di occupare cariche di rilievo impensabili sotto la monarchia e la gestione dell’esercito è stata sempre improntata a una generale meritocrazia che vedeva salire di rango e coprirsi di gloria chiunque si distinguesse sul campo da battaglia.
La lettura del libro restituisce molto bene questo quadro articolato e complesso, pieno di sfumature, di luci e ombre e dà l’idea della grandezza di un uomo che aveva doti fuori dal comune e può essere certamente definito “larger than life”. Ciò che resta per un liberale è apprezzare la forza e l’impatto dell’individuo sulla storia. È vero che Napoleone ha vissuto e agito in un mondo dove i singoli individui, monarchi e aristocratici, avevano un potere enorme capace di condizionare la vita di tantissimi però è anche vero che, a partire dai suoi natali con caratteristiche peculiari, Napoleone scardina moltissimi paradigmi consolidati e davvero sembra piegare il destino alla sua volontà grazie a doti intellettuali e morali non comuni.
Forse, alla fine della lettura, continuerete a considerare Napoleone un nemico della libertà ma, per farlo, avrete comunque ragionato criticamente e con attenzione su una delle figure più grandi della storia.
Carlo Amenta, direttore dell’Osservatore sull’economia digitale dell’IBL
Le strutture del potere, di Sabino Cassese
Le strutture del potere è il libro-intervista a Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale, scritto da Alessandra Sardoni, giornalista de La7. È un testo sui poteri visibili e invisibili che muovono il nostro Paese, nonché sulle reciproche interazioni. I primi sono le istituzioni ufficiali che agiscono in trasparenza. I secondi, invece, sono quelle strutture che possono influenzare la società in modo non palese: basti pensare ai conglomerati industriali e al peso che hanno su economia, PIL e occupazione; alle lobby e alla pressione sulla politica; ai gruppi religiosi e alle modalità con cui possono condizionare politica e collettività.
Il tutto si dipana attraverso eventi degli ultimi sessant’anni, che rendono il libro quasi una sorta di autobiografia di Cassese. Il professore, tra le altre cose, parla degli uomini di potere che ha incontrato, da Enrico Mattei ad Antonio Giolitti, raccontando aneddoti e retroscena; tratta del potere della Democrazia cristiana e della crisi dei partiti nel biennio 1992/94; critica il potere giudiziario italiano, e l’invasione dell’ambito dell’esecutivo e del legislativo; e dice di Berlusconi che ha rappresentato “un politician da 100 e lode e un policy-maker da meno di zero, che è stato al Governo per dieci anni, ma non ha governato”.
Particolarmente interessante è la parte sul “notevole” potere dei media, che “svolgono un ruolo importante, ma non quello che tutti si aspetterebbero da loro, formatori dell’opinione pubblica”. Sono infatti “capaci di prendere la palla che è stata lanciata, ma non sono in grado di lanciarla”.
Un libro ricco di spunti che, tra passato e presente, consente di capire meglio le dinamiche dell’epoca in cui viviamo.
Vitalba Azzollini, fellow dell’IBL
La vittoria dell’Occidente. La negletta storia del trionfo della modernità, di Rodney Stark
Pubblicato una decina d’anni fa, questo libro di oltre seicento pagine rappresenta una sorta di antidoto salutare rispetto a tutto ciò che oggi viene derubricato sotto la voce Wokeism o Cancel Culture.
Al centro di tutto sta la fondamentale importanza che l’Occidente, grazie soprattutto ai greci e al cristianesimo, ha saputo attribuire alle idee, alla ragione e alla libertà. Sono le idee che muovono la storia, che producono conoscenza, nonché l’uso che se ne potrebbe fare. Un sostanziale grado di libertà è inseparabile dalla modernità occidentale, ma lo stesso non si può dire per il mondo non occidentale.
Di qui tutta una serie di prese di posizione controcorrente, che pongono Rodney Stark tra gli autori più originali e urticanti del nostro tempo. Faccio soltanto un paio di esempi.
Quelli del Medio Evo furono “secoli bui”? Neanche per sogno; secondo Stark, furono secoli di progresso e innovazione. La rivoluzione scientifica del XVII secolo fu semplicemente il culmine di un progresso scientifico iniziato nel XII secolo con la fondazione delle università da parte dei filosofi della natura.
L’Europa si sarebbe arricchita a spese delle sue colonie sparse per il mondo? Assolutamente no. Secondo Stark sono state le colonie ad aver drenato ricchezza dall’Europa, acquisendo nel contempo i benefici della modernità. Semplici provocazioni? Non mi sembra. Parlerei piuttosto di buone ragioni per leggere questo libro.
Sergio Belardinelli, membro del comitato editoriale di IBL Libri e di Lisander
Dolore e furore. Una storia delle Brigate rosse, di Sergio Luzzatto
Con Dolore e furore, Sergio Luzzatto scrive un capitolo fondamentale della storiografia sulla lotta armata in Italia. Al centro del racconto c’è Genova, teatro delle prime azioni organizzate alla fine degli anni ’60 e del tragico epilogo del 1979: l’omicidio di Guido Rossa.
Per Luzzatto, Genova è il ricettacolo delle tensioni che condussero alcuni, in un terribile fraintendimento, a portare lo scontro “al cuore dello Stato”: dalle fabbriche, strette intorno al PCI, fino alle “istituzioni totali” come la nave-riformatorio Garaventa (in cui ha inizio la storia di Riccardo Dura, capo della colonna genovese), passando per le aule della facoltà di lettere. Un contesto composito, ben lontano dal mito dell’“operaio sociale”, del soggetto collettivo pronto a seguire un’avanguardia proletaria nell’assalto al cielo.
Questo libro è una lettura imprescindibile anche per chi (come me) si interroga sul legame tra idee politiche e fatti storici. Luzzatto dedica pagine memorabili al ruolo di intellettuali come Fenzi, Senzani, Faina e Adamoli nell’elaborazione del progetto brigatista. Furono loro a codificare i fermenti scomposti di “una cultura variamente anti-istituzionale, terzomondista, operaista, nichilista, oltranzista” e a trasformarli nel motore della violenza politica. Questo non significa attribuire nuovamente responsabilità giudiziarie sul modello del “teorema Calogero” (anticipato a Genova da Dalla Chiesa). Tuttavia, dal punto di vista della responsabilità storica, nella vicenda delle Brigate rosse “le parole sono diventate pietre”.
Giacomo Brioni, dottorando e autore del libro Anthony de Jasay pubblicato da IBL Libri
Chiudo la porta e urlo, di Paolo Nori
Paolo Nori è un bravissimo scrittore che scrive delle biografie che non sono proprio delle biografie. Dopo quelle dedicate a Fëdor Dostoevskij e Anna Achmatova (Nori è un esperto di letteratura russa, insegna all’università IULM e ha tradotto diversi autori, tra i quali Puškin, Gogol’, lo stesso Dostoevskij, Tolstoj, Gončarov, Chlebnikov e altri), ora è la volta di Raffaello Baldini, che russo non era ma che anzi scriveva versi in dialetto romagnolo, per la precisione nel dialetto di Santarcangelo di Romagna.
Baldini, nato proprio cent’anni fa e morto nel 2005 a Milano, dove ha lavorato a lungo nella redazione di Panorama, scriveva delle poesie che non erano proprio delle poesie. Questo è sicuramente uno dei motivi, ma non l’unico, della simpatia di Nori per Baldini e della loro affinità.
Baldini aveva esordito con una raccolta di versi, pubblicata a sue spese, quando aveva già passato la cinquantina. Ma ben presto la sua originalità venne riconosciuta da critici e grandi editori. Oggi le sue raccolte sono tutte pubblicate da Einaudi, così come i monologhi che scrisse per il teatro. Nella prefazione al volume Ad nòta (1995), Pier Vincenzo Mengaldo disse che Baldini era “uno dei tre o quattro poeti più importanti d’Italia”.
La poesia di Baldini (sempre in dialetto ma con traduzioni in italiano dell’autore, poste a pie’ di pagina) ha un incedere narrativo, antilirico, che intreccia comicità e amarezza, stravaganza e realismo. Baldini racconta vicende minute, quotidiane, senza intenti “sociali”, i personaggi a cui dà voce sono per lo più piccolo borghesi, e piccolo borghese era anche il suo ceto di provenienza: i suoi genitori gestivano il centrale Caffè Trieste di Santarcangelo. Proprio da ciò che accadeva e si dicevano gli avventori di quel bar ha probabilmente preso ispirazione per le sue poesie.
Il libro di Nori racconta di Baldini solo in parte, parla soprattutto di Nori e poi di Baldini, e del “rapporto” del primo col secondo. Questo libro è però il miglior modo per accostarsi al grande poeta Baldini, prima di passare alla lettura delle sue raccolte di poesie. Ulteriore stravaganza: il sottotitolo del libro è “romanzo”. Ma è un romanzo che non è proprio un romanzo.
Filippo Cavazzoni, direttore editoriale dell’IBL
The Denial of Death, di Ernest Becker e A Passion for Ignorance: What We Choose Not to Know and Why, di Renata Salecl
Quest’anno, invece di un solo libro, ne propongo due complementari. Il primo è un classico: The Denial of Death di Ernest Becker (1973). Questo libro è citato in una scena del film Io e le donne (Annie Hall) di Woody Allen (1977). Un po’ per gioco e un po’ per curiosità, mi sono immerso in quest’opera che, sebbene a tratti complessa, riesce nell’intento di illuminare alcune riflessioni di tipo esistenzialista.
Quale modo abbiamo per affrontare l’inevitabile? L’immagine di sé proiettata in una missione (ideologica) che l’autore definisce come “eroismo”: l’unico mezzo che ci consente di avvicinarci all’impossibile, ovvero l’immortalità. Questo meccanismo è descritto come un “meccanismo di difesa”. Un delicato equilibrio che, se non ben bilanciato, può risultare disastroso dal punto di vista psicologico: da una parte, se non sviluppato, c’è il rischio di incorrere nell’assenza di un senso; dall’altra, se troppo sviluppato, può portare a un’immagine di sé eccessivamente idealizzata e distaccata dalla realtà.
In questo affannarsi continuo, ciò che siamo e ciò che vogliamo essere si rivelano aspetti estremamente delicati, che necessitano di un’adeguata protezione. In questo senso, in A Passion for Ignorance: What We Choose Not to Know and Why (2020), Renata Salecl esplora l’innata capacità auto-protettiva dell’essere umano di ignorare ciò che è scomodo o sconveniente.
Questi due libri mi hanno suggerito nuovi modi per affrontare me stesso e ciò che mi circonda – colleghi urbanisti inclusi, anzi, soprattutto . con maggiore ironia e, forse, consapevolezza. Il tema è molto divertente.
Stefano Cozzolino, fellow dell’IBL
L’Europa in crisi. Visioni politiche tra le due guerre, a cura di Carmelo Calabrò
Offrendo “una spigolatura volutamente composita”, conforme allo “specchio frantumato in cui si rifletté la coscienza europea” negli anni tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, il volume raccoglie una serie di saggi che esplorano l’idea di Europa quale è venuta delineandosi tra le due guerre mondiali nelle riflessioni politiche di alcuni autori “non ascrivibili al filone classico del pensiero europeista e federalista”, ma rappresentativi di una “realtà plurale e dissonante di voci” – la voce di José Ortega y Gasset, di Thomas Mann, di T.S. Eliot, di Raymond Aron, di Élie Halévy, tra le altre.
Il volume riesce a cogliere quella complessità di significati attribuiti all’Europa che, aggravatasi con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, era stata colta pure da Federico Chabod, quando, tra il 1943 e il 1944, in occasione della redazione del Corso su L’idea di Europa, che tenne alla Facoltà di Lettere dell’Università di Milano, ebbe a scrivere: “In questi ultimi anni […] il nome “Europa” è stato con insolita frequenza tirato in ballo, a torto o a ragione, per diritto e per rovescio”. E tuttavia – proseguiva, intenzionato a dare a quel nome un vòlto – “quale sia il valore esatto di tale termine, rimane nascosto: e si potrebbe proprio ripetere il ‘che ci sia ognun lo dice, dove stia nessun lo sa’”.
Arianna Liuti, redattrice di Lisander
Nodi. Esperienze di filosofia morale, di Pierpaolo Marrone
Nel corso degli ultimi decenni ha preso sempre più forza la convinzione che la filosofia, e in particolar modo la filosofia morale, non possa in alcun modo essere separata dalla vita e dal suo procedere lungo una serie di eventi e incontri, spesso anche banali. In effetti, è soltanto nel vivo delle esperienze più quotidiane che possiamo mettere alla prova i nostri convincimenti fondamentali, specie quando si tratta di rispondere al quesito “in che modo devo vivere?”.
A tale proposito il recente volume di Pierpaolo Marrone è davvero rappresentativo di un certo modo di riflettere – senza accademismi, e mirando al sodo – che sa intrecciare l’inferno ed Emanuele Severino, gli zombie e Ludwig Wittgenstein, Karl Popper e la monogamia.
Vivace e godibilissimo, sotto vari aspetti il testo trasmette per intero l’autore, che non mostra alcun timore nel gettare ogni maschera, dato che prima ancora che essere (come pure è!) una riflessione razionale sul modo in cui dovremmo comportarci, la filosofia morale è il frutto della nostra esperienza personale e delle intuizioni sul mondo che riusciamo a elaborare.
Evitando ogni dogmatismo apodittico e rifuggendo ogni scetticismo radicale, Marrone ci parla quindi del suo modo di vedere il mondo e di affrontare l’avventura della vita, a più riprese sfidando anche la pigrizia intellettuale del lettore: come quando difende la superiorità dell’Occidente o ci offre la sua visione della sindrome da Aids e di quanto le è stato costruito attorno, oppure quando (utilizzando Michael Huemer e altri libertari) s’interroga se coloro che rivendicano il diritto a comandarci meritino davvero la nostra obbedienza.
Carlo Lottieri, direttore del dipartimento Teoria politica dell’IBL
Superabundance: The Story of Population Growth, Innovation, and Human Flourishing on an Infinitely Bountiful Planet, di Marian L. Tupy e Gale L. Pooley
Ci hanno sempre insegnato che la crescita della popolazione umana rende più scarse le risorse della Terra, ma nel libro Superabundance gli autori spiegano che la realtà è esattamente l’opposto.
Dopo aver analizzato i prezzi di centinaia di materie prime, beni e servizi nell’arco di due secoli, Tupy e Pooley dimostrano che le risorse sono diventate più abbondanti proprio grazie all’aumento del numero delle persone. Questa conclusione può sembrare controintuitiva, ma risulta inoppugnabile dai dati presentati nel libro. Il metodo utilizzato è più preciso e affidabile di quelli tradizionali, perché il costo dei beni e dei servizi viene misurato non con i prezzi monetari, ma con i “prezzi temporali”, cioè le ore o i minuti di lavoro necessari per poter comprare qualcosa.
Partendo dal 1850, le cifre mostrano che nel corso di più di un secolo e mezzo le risorse, se misurate in prezzi temporali, sono diventate mediamente più abbondanti del 4 per cento ogni anno. Tra il 1980 e il 2020, mentre la popolazione cresceva del 75 per cento, i prezzi temporali di 50 risorse fondamentali a sostenere la vita sono scesi del 75 per cento. In altre parole, per ogni incremento della crescita della popolazione, le risorse globali sono cresciute di un fattore di 8.
Gli autori chiamano “superabbondanza”, la parola che dà il titolo al libro, questa situazione in cui l’abbondanza delle risorse aumenta più velocemente della popolazione. Ogni essere umano in più sul pianeta, quindi, ha creato mediamente molto più valore di quanto ne abbia consumato. In questo modo Tupy e Pooley confermano la rivoluzionaria intuizione dello scienziato ed economista Julian Simon, secondo cui le persone non pesano sulle risorse, ma sono la fonte dalla quale scaturiscono le risorse stesse.
Naturalmente, la crescita della popolazione non è sufficiente a sostenere la sovrabbondanza. Per innovare e vincere la scarsità, le persone devono poter pensare, parlare, risparmiare, investire, commerciare e trarre profitto dai loro sforzi. In altre parole, devono essere libere.
Guglielmo Piombini, traduttore e membro del comitato editoriale di IBL Libri
Lettre ouverte aux gens heureux et qui ont bien raison de l’etre, di Louis Pauwels
“Non è vero che la nostra civiltà è disumana. Non è vero che il progresso sia catastrofico. Non è vero che la nostra società è invivibile. Naturalmente ci sono pericoli, incidenti, problemi. La navigazione è difficile? Sì, ma permettetemi: non mi fido di chi, quando si parla di mare, mi parla solo di mal di mare”. Così scriveva, nel lontano 1971, Louis Pauwels, scrittore e giornalista francese, dal 1978 al 1993 responsabile del Figaro Magazine.
Da allora è trascorso più di mezzo secolo, ma non è cambiato quasi nulla. La qualità dell’aria nelle nostre città è radicalmente migliorata (e non perché abbiamo smesso di muoverci in auto, anzi) ma continuano a ripeterci e a convincere la maggior parte di noi che è vero il contrario. La popolazione mondiale è più che raddoppiata e le condizioni di vita hanno continuato a progredire pressoché ovunque. Per crescere abbiamo bruciato fossili a profusione alterando il clima. Un problema reale ma che non ci impedirà di proseguire la navigazione verso migliori condizioni di vita.
I sacerdoti della chiesa del pessimismo occidentale vorrebbero invece convincerci che siamo a un passo dall’abisso e che, per salvarci, dovremmo rivoltare come un calzino il sistema economico che ci ha consento di fare così tanti progressi. Forse perché, citiamo ancora Pauwels, quest’ultimo è il vero obiettivo di chi, “avendo perduto la gioia di vivere, vorrebbe far soffrire il maggior numero possibile di persone apparentemente felici”.
Francesco Ramella, research fellow dell’IBL