20
Dic
2019

Consigli di lettura per il 2020 / Prima parte

Cosa leggere per riflettere sulle ragioni della libertà? Anche quest’anno, abbiamo chiesto qualche consiglio al team e agli amici dell’Istituto Bruno Leoni. Letture per le feste natalizie e per i prossimi dodici mesi, per tornare alle radici delle nostre idee e per tentare di comprenderle meglio. Ecco i primi dieci consigli di lettura.


Boris Johnson, The Churchill Factor. How one man made history (Hooder & Stoughton, 2014).
Per chiunque sia interessato alla figura del primo ministro britannico che ha dominato la scena politica britannica per larga parte del ventesimo secolo, non è difficile trovare biografie, documentari o saggi su aspetti specifici della sua vicenda personale e politica. Resta invece sempre più difficile riuscire a leggere qualcosa che abbia una prospettiva innovativa o che davvero riesca ad aggiungere qualcosa di diverso, o di minimamente interessante, alla mole impressionante di pagine dedicate a Winston Churchill. Nel suo libro, Boris Johnson, attuale controverso e istrionico primo ministro inglese, riesce nell’intento interessando il lettore con una prospettiva avvincente e una prosa straordinaria. Il libro è dichiaratamente apologetico e l’autore impiega moltissime pagine a difendere il suo eroe dalle accuse che gli vengono spesso rivolte quando si cita la questione dell’indipendenza dell’India, la vena guerrafondaia o lo scarso rispetto per i diritti umani. Johnson è però onesto, appassionato e documentato nella difesa e, soprattutto, descrive le gesta di Churchill trovando un filo conduttore che appare davvero originale: quali sono gli aspetti del carattere e della formazione emotiva e culturale che hanno consentito a Churchill, nei momenti cruciali della sua vita e di quella di milioni di persone, di compiere scelte terribili, impopolari e rischiose ma, alla fine, determinanti e vincenti e sempre al servizio dei valori più importanti della cultura occidentale di cui considerava la Gran Bretagna il vero alfiere. Nel suo viaggio Johnson invita davvero il lettore a pensare come Churchill, legando indissolubilmente le doti e le caratteristiche personali del leader britannico alle scelte che gli hanno consentito un posto di rilievo nella storia dell’Occidente. Il libro ha però un altro grande pregio: ci consente di conoscere meglio anche il suo autore, ormai famoso quasi quanto l’eroe a cui dedica il suo sforzo letterario, facendocene apprezzare la prosa romanzesca, la profondità culturale, la capacità di analisi e la grande forza argomentativa. Il libro ci consente così di tornare ad approfondire, in una luce nuova, le gesta di Churchill ma anche di capire perché davvero Boris Johnson con il suo miscuglio di genio, cultura profondissima e innegabile spregiudicatezza intellettuale potrebbe passare alla storia come l’unico politico davvero in grado di portare a compimento un processo complesso come quello della Brexit.
– Carlo Amenta, Senior Fellow IBL


Sofia Ventura, I leader e le loro storie. Narrazione, comunicazione politica e crisi della democrazia (il Mulino, 2019).
Sofia Ventura spiega in modo ampio ed esaustivo la valenza della “narrazione” nei sistemi politici e gli impatti che essa può produrre nel dispiegarsi delle dinamiche democratiche. L’autrice – avvalendosi di concetti propri delle scienze sociali, della psicologia e delle neuroscienze – espone i meccanismi comuni a storytelling finalizzati a creare emozioni e senso di identificazione con il leader, e fa comprendere gli impatti di un discorso politico che non ha più sede in luoghi istituzionali, ma che è oggetto di una costante messa in scena sulla ribalta dei media, in particolare, dei social network. La leadership è sempre più frequentemente conquistata con like di approvazione a post o tweet accattivanti. Il leader, attraverso un uso massiccio di mezzi di comunicazione e web, amplifica slogan, racconti e immagini, con l’obiettivo di costruire la propria narrazione e rendersi avvincente per i propri supporter, reali e potenziali; prospetta un futuro migliore o individua il nemico di turno, ma è comunque pronto a rimodulare le proprie idee per adeguarle alle preferenze espresse dal “pubblico”; si mostra simile alle persone comuni per suscitare in esse sentimenti di affinità e condivisione, ma al contempo si atteggia a star per apparire seducente nei loro riguardi. La parabola del leader è quasi inevitabile: dopo le alte aspettative suscitate con promesse mirabolanti, l’elettorato finisce per restarne inevitabilmente deluso, e a lui non rimane altro che ricominciare una nuova narrazione, la quale tuttavia non potrà che essere più vuota e ripetitiva di quella precedente. Considerate queste caratteristiche generali, non solo la comunicazione, ma la politica stessa, si impoverisce progressivamente di contenuti. Nel libro sono presentati tredici casi specifici (Reagan, Thatcher, Mitterrand, Kohl, Clinton, Blair, Schröder, Berlusconi, Obama, Cameron, Sarkozy, Merkel e Renzi), contestualizzando la figura e l’azione dei diversi personaggi esaminati, individuando i fattori da cui sono stati influenzati, analizzandone la storia e le narrazioni al fine di mettere in luce il modo in cui essi hanno concepito il proprio ruolo e la propria relazione con i cittadini-elettori. Ventura propone Angela Merkel come modello di leadership. La Cancelliera tedesca fa un utilizzo moderato di marketing e comunicazione ed è refrattaria alla politica spettacolo; svolge la propria opera in un quadro di convinzioni e valori; compie valutazioni concrete su tempi, metodi e contenuti delle proprie azioni; si avvale di collaboratori di livello elevato. Insomma, è una figura da cui trarre ispirazione, in un momento storico “in cui le opinioni pubbliche non hanno più voglia di storie ottimiste e illusorie”.
– Vitalba Azzollini, Collaboratrice IBL


Luca Ricolfi, La società signorile di massa (La nave di Teseo, 2019).
Il recente libro di Luca Ricolfi, caratterizzato come sempre da una prosa lucida e chiara, è decisamente tra i migliori dell’autore e costituisce a mio avviso quasi un “must read” per chi vive in Italia e non ha intenzione di emigrare, cerca di interpretar le vicende del Paese e, nei limiti del possibile, comprenderne le possibili evoluzioni. È una sorta di strumento da inserire in una più ampia “cassetta degli attrezzi”, non privo di una sua peculiarità (e quindi interesse) tra sociologia e analisi dei dati. Il libro è davvero ambizioso, perché vuole infine trarre dall’analisi una sorta di teoria sulla società italiana contemporanea. Non mancano peraltro utili riferimenti comparativi ad altri paesi. Tutto questo non significa che quanto sostenuto sia sempre pienamente condivisibile, egualmente approfondito e ben dimostrato. Ma la ricomposizione di diverse tendenze ben note in un quadro unitario e con solido fondamento empirico produce un contributo importante e stimolante.
– Andrea Battista, membro del cda IBL


Edward Snowden, Permanent Record (Pan Macmillan, 2019).
C’è del grottesco, ma l’autore del libro che vi consiglio attraverso LeoniBlog è un simpatizzante di Bernie Sanders. «My name is Edward Snowden. I used to work for the government, but now I work for the public». Inizia così “Permanent Record”. Intellettualmente parlando non risulta particolarmente stimolante o innovativo, ma è un libro che descrive in maniera semplice le conseguenze non desiderabili che seguono alla concentrazione del potere. Innamorato della tecnologia e delle incredibili opportunità di collegamento tra le persone che da essa derivano, Snowden si trova costretto a riconoscere il pessimo uso che se ne è fatto attraverso i programmi di sorveglianza di massa negli Stati Uniti. Al netto della prima parte, concentrata sulla sua vita, leggendo il libro come fosse un romanzo di fantascienza questo finisce per risultare un affascinante esperimento mentale per illustrare il problema della concentrazione di potere. Leggendolo invece come fosse una descrizione della realtà, diventa qualcosa di più spaventoso.
– Paolo Belardinelli, Research Fellow IBL


Emidio Diodato, Il vincolo esterno. Le ragioni della debolezza italiana (Mimesis Edizioni, 2014).
Nell’ultimo periodo la questione MES domina la politica nostrana arrivando a minacciare la tenuta del governo e generando dibattiti accesi a tutti i livelli. Ma questa fiammata di interesse per il MES si colloca nell’alveo del più ampio dibattito sul ruolo dell’Italia in Europa e sul ruolo dell’Europa per l’Italia che non può prescindere dalla questione del cosiddetto “Vincolo Esterno”. Il libro di Diodato tratta di questo concetto imprescindibile per comprendere la storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi ed evidenzia in modo problematico come una parte della nostra classe dirigente abbia adottato questa logica per promuovere quella modernizzazione che altrimenti, a detta dei suoi promotori, non sarebbe mai avvenuta a causa dei “difetti congeniti” del popolo italiano. Nel corso del libro Diodato si chiede se i risultati contenuti nelle premesse siano stati raggiunti ed evidenzia come alle volte i vincoli esterni rischino di «paralizzare lo sviluppo democratico ed economico del Paese, soprattutto se la riabilitazione ortopedica e la rieducazione all’austerità economica non funzionano». In sintesi, un libro molto equilibrato che rappresenta un punto di partenza semplice ma imprescindibile per comprendere la storia del vincolo esterno e di quanto esso continui ad essere un elemento importantissimo per la vita degli italiani e per spiegare i cicli delle nostre classi dirigenti.
– Nicolò Bragazza, Fellow IBL


Vito Mancuso, La forza di essere migliori. Trattato sulle virtù cardinali (Garzanti, 2019).
A certi titoli non si può resistere: ci illudono che è possibile migliorare se stessi. Il libro che consiglio, però, non è uno di quei manuali di self-improvement pieni di tutte quelle belle regolette per mettere ordine nella nostra vita, ma è un compendio di etica, in particolare su ciò che costituisce il carattere virtuoso di una persona. In gran parte suddiviso in capitoli dedicati alle virtù, è corredato di un’appendice e di una bibliografia di undici pagine con illuminanti rimandi a tutte, sottolineo tutte, le tradizioni spirituali dell’umanità, dall’Antico Egitto in poi; eccezione fatta per una particolare tradizione filosofica, che è totalmente ignorata. Il libro offre un viaggio sapienziale attraverso il bosco atro della nostra vita guidati dal lanternino delle virtù. In questo percorso labirintico c’è però un sentiero recondito che non si può percorrere, Mancuso lo nasconde alla nostra vista, consapevole che se il Cappuccetto Rosso che è in noi lo percorresse, non avrebbe scampo e verrebbe inesorabilmente divorato dal pensiero non di uno, ma addirittura di ben due lupi cattivi. Questo libro mostra infatti quali sono i percorsi consentiti e quelli vietati nelle nostre esplorazioni sull’etica. Mancuso ci dice: in etica, il finis terrae è il vallo di Adriano, al di là: Hic sunt lupi. Non addentratevi nelle Highlands, insomma: quello è un sentiero da non percorrere. L’Illuminismo scozzese non ha fornito alcun contribuito alla filosofia morale. Il libro personifica l’ostracismo della cultura italiana nei confronti di una grande tradizione filosofica come quella dell’Illuminismo scozzese. Confesso che la prima cosa che ho fatto, presa una copia, è stata quella di controllare se c’era l’Indice dei nomi (sì: bene!) e ho cercato David Hume e Adam Smith. Il primo è citato solo una volta, per la sua “Legge” (quella che distingue fatti da valori), il secondo mai. Il libro di Mancuso sancisce, una volta per tutte, che per loro due non c’è posto nella nostra cultura. È quindi una pietra miliare: marca un’occasione persa per la cultura italiana, perché Mancuso avrebbe potuto fare da ponte fra la cultura cattolica e il pensiero dell’Illuminismo scozzese, e se non con Hume, almeno con Smith. Eppure le premesse ci sarebbero, perché Mancuso afferma (a pag. 99) che l’etica s’impone da sé, senza ipotizzare influssi soprannaturali, a una mente in salute. Alla luce di questo (tiepido, cauto) richiamo ad una etica naturalizzata e secolare, appare vieppiù strano che i due su citati filosofi-lupicattivi, campioni di tale prospettiva etica, non siano nemmeno citati. Anche perché quando Mancuso illustra le virtù cardinali – nolente Mancuso – è Smith che parla in sottofondo, sommessamente. Il lettore non se ne accorge, ma, a parte le divagazioni sapienziali dell’Autore, il contenuto di quanto esposto sulle virtù non differisce molto da quanto scritto da Smith sulle stesse. Si può cancellare Smith, ma quello, ostinato, trasuda comunque dalle pagine. Quindi pazienza se il buon Adam non viene menzionato, di buono c’è che il libro invita ad un certo modo di pensare e espone il lettore ignaro al pensiero di Smith, perfino quel lettore che mai avrebbe comprato il libro se avesse visto l’odiato Smith richiamato in lungo e in largo.
– Paolo Di Betta, Fellow onorario IBL


Anonimo, Chi sono i cristiani? Lettera a Diogeneto, a cura di Matteo Perrini (Qiqajon, 2018).
In periodo natalizio e in un’età sempre più segnata da risorgenti nazionalismi, un testo da leggere e rileggere (disponibile anche on-line in molte traduzioni) è la Lettera a Diogneto: un breve scritto in lingua greca risalente alla seconda metà del II secolo dopo Cristo. Di quest’opera non si conosce l’autore, ma solo il destinatario. Il manoscritto che ce l’ha tramandato rimase sconosciuto fino al XV secolo e venne poi distrutto nel corso della guerra franco-prussiana, ma dopo che ne erano state fatte varie copie. L’autore risponde ad alcuni interrogativi che il pagano Diogneto gli aveva rivolto, operando un’apologetica della fede cristiana e opponendosi sia al paganesimo, sia al giudaismo. In particolare, colpisce come nella lettera si affermi con forza un tratto peculiare di quanto vi è di meglio nella civiltà europea-occidentale, ossia quel suo peculiare modo di aprirsi a chiunque senza mai farsi confinare in alcun recinto: e questo perché, secondo l’autore, i cristiani «vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera». Sembrano paradossi, ma sono in realtà insegnamenti preziosi. Oggi c’è chi vorrebbe farci dimenticare questa lezione: essenziale per credenti e non credenti.
– Carlo Lottieri, Direttore Dipartimento “Teoria Politica” IBL


Norman Stone, La grande Europa 1878-1919 (Laterza, 1986).
“La grande Europa 1878-1919” di Norman Stone è un libro pieno di idee. Stone, un importante storico britannico che ci ha lasciati proprio quest’anno, cerca di capire come e perché la politica nei diversi Stati europei abbia mostrato un’inedita sincronia nei vent’anni che precedono la prima guerra mondiale. Perché gli avvicendamenti fra partiti e culture politiche dominanti sembrano straordinariamente congruenti, anche in realtà così diverse. Ne esce un mosaico complesso. Da una parte, l’integrazione economica portò ad avere problemi e reazioni simili: è quello che sostengono anche oggi tutti quelli per cui il populismo non è che una risposta alla globalizzazione. Dall’altra, Stone dà conto di tutte le peculiarità nazionali ma anche della convergenza degli interessi dei gruppi di potere, spinti (se vogliamo metterla così) verso il “socialismo borghese” in parte dalla cupidigia in parte dall’ansia di evitare il “socialismo proletario”. Uno dei grandi misteri della storia è come l’Europa abbia potuto cercare di autodistruggersi, per giunta dopo un periodo di prosperità relativamente diffusa e pace come non se ne erano mai visti. Quella di Stone resta una delle guide migliori, fra le risposte possibili, utilissima anche al lettore di oggi che ha a cuore l’oggi.
– Alberto Mingardi, Direttore Generale IBL


Amilcare Puviani, Teoria dell’illusione finanziaria (R.Sandron, 1903).
È stato il caso a portarmi a leggere “Teoria dell’illusione finanziaria” (1903) di Amilcare Puviani. Puviani (1854-1907) è un economista italiano che ha attirato l’attenzione di James Buchanan, proprio per via di questo testo. Puviani introduce un concetto che potrei liberamente definire “pressione fiscale psicologica”, distinta dalla pressione fiscale propriamente detta. Descrive in particolare una serie di artifici – in alcuni casi intenzionali, in altri frutto indiretto dell’espandersi e atrofizzarsi della burocrazia – con cui i governi illudono i propri cittadini sul reale ammontare del carico fiscale. Spezzettando una certa tassa in prelievi di lieve entità, in modo da renderla impercettibile; associando certe tasse a eventi piacevoli o spiacevoli della nostra vita, in modo da sottrarle alla nostra attenzione; o più semplicemente occultando l’entità complessiva dei prelievi all’interno di bilanci o documenti impenetrabili ai più. Il tutto per soddisfare le sempre crescenti esigenze di spesa pubblica da parte dello stato. Il testo è liberamente scaricabile qui. Benché Puviani non sia, strettamente parlando, un pensatore di orientamento liberale, a chi si riconosce in quest’orizzonte di pensiero offre strumenti potentissimi per riflettere sugli incentivi distorti a cui sono sottoposti decisori politici e funzionari pubblici, e sulle modalità con cui una burocrazia inefficiente e oppressiva incide negativamente sulla vita economica e produttiva di un paese.
– Federico Morganti, Collaboratore IBL


Luigi Ferrajoli, Contro il creazionismo giudiziario (Mucchi editore, 2018).
In questo suo tanto breve, quanto intenso, libro, il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli torna ad affrontare – senza prudenza o reticenza, come si intuisce fin dal titolo prescelto – il grande tema della contemporaneità giuridica: la “crisi” del sistema di diritto positivo. L’analisi di Ferrajoli è scandita dalla risoluzione di alcune e problematiche questioni: tra queste, sembra assumere particolare centralità il tema del rapporto tra diritto e morale, visto che esso rappresenta l’occasione per illustrare cosa intenda l’Autore per “positivismo giuridico”. Ribadire la separazione tra diritto e morale, si chiarisce, «non vuol dire che le norme giuridiche non abbiano contenuti morali (o immorali), ma solo che la loro esistenza non ne implica necessariamente la loro giustizia e viceversa». La separazione tra diritto e morale ha quale corollario l’idea per cui «né l’esistenza positiva delle norme può essere derivata dalla loro giustizia, né la loro giustizia può essere derivata dalla loro esistenza». In altre parole, è possibile ammettere che, in un ordinamento, esistano norme positive e perfino costituzionali (ritenute) “ingiuste”, e, allo stesso tempo, manchino norme (ritenute) “giuste” e tuttavia non poste. Ma l’ordinamento non è un monolite eterno ed immutabile: esso è destinato ad evolvere, nel momento in cui “evolve” la società di cui esso è espressione. È proprio questa riflessione a convincere chi scrive del fatto che, più che di perorazione del positivismo, sarebbe stato opportuno parlare di difesa della positività del diritto. In ogni caso, il discorso sul rapporto tra diritto e morale si salda con uno dei più interessanti argomenti che Ferrajoli impiega a difesa della propria concezione di positivismo giuridico. Con esso, l’Autore mette in connessione democrazia e produzione del diritto per via legislativa: il positivismo giuridico, lungi dall’essere «l’accettazione dello status quo», come temeva Norberto Bobbio, sarebbe il mezzo per rivendicare nuovi diritti e nuovi garanzie. Se, però, l’obiettivo è far sì che l’ordinamento “evolva”, è necessario che le «persone in carne ed ossa» si dedichino alla (spesso difficile) opera di persuasione dei propri concittadini, non di un giudice eventualmente simpatetico alla propria causa, visto che – per ripetere le parole di Felix Frankfurter – le Corti non sono pensate per essere un adeguato riflesso di una società democratica. Ciò spiega perché, nell’opinione dell’Autore, i giudici dovrebbero preoccuparsi solo di comparare i fatti, non anche di bilanciare i principi (dominio, questo, del legislatore costituzionale). Meno convincente è il più “politico” degli argomenti adottati da Ferrajoli, che guarda al positivismo “sovranazionale” come allo strumento da impiegare per vincolare «i poteri che contano, politici e soprattutto economici». Difatti, sostenere che alla mancata limitazione di questi poteri sia seguita «la crescita esponenziale delle diseguaglianze, la fame di milioni di esseri umani e il pericolo di catastrofi nucleari ed ecologiche in grado di mettere in pericolo la stessa sopravvivenza dell’umanità» significa cedere a una visione inutilmente allarmista, peraltro fondata su asserzioni apodittiche e smentite dai fatti (uno su tutti: la fame nel mondo, anziché essere in crescita, è in costante diminuzione). Una nota dolente, quindi, in un testo altrimenti assai prezioso. Poco male, comunque: al netto delle preferenze politiche dell’Autore, ciò che veramente resta impresso, di questo piccolo libro, è l’enfasi sull’urgenza di impostare un adeguato discorso sul metodo giuridico.
– Giuseppe Portonera, Fellow IBL

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