Considerazioni di fine anno sulla scuola
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Tomaso Invernizzi.
Qualunque riforma dell’istituzione scolastica, riguardi essa i programmi, l’alternanza scuola/lavoro, gli esami di stato, il sistema di valutazione, i criteri di finanziamento, incide nella realtà scolastica effettuale a seconda di come, chi ogni giorno “fa” la scuola, realizza nella pratica il cambiamento. Di conseguenza, se c’è un punto centrale per avere una scuola di qualità, esso riguarda il reclutamento del personale docente. Il sistema che ha portato al concorso ordinario del 2016 non ha fatto in tempo a vedere un secondo bando che il reclutamento è già stato modificato. Quest’anno si sta svolgendo un concorso non selettivo che porterà nei prossimi anni in ruolo tutti gli abilitati, costituendo in sostanza un’occasione di immissione in ruolo anche per chi non ha la preparazione per il superamento di un concorso ordinario.
Ma quale è il nuovo sistema previsto nel nuovo decreto legislativo così come modificato dalla Finanziaria per il 2019 e già approvato dal Senato? Il sistema prevede un concorso ordinario con due prove scritte e una orale, superato il quale il docente svolgerà un anno di formazione iniziale e di prova; in seguito alla valutazione positiva dell’anno di formazione e di prova il docente entrerà in ruolo. Il superamento del concorso conferirà in ogni caso l’abilitazione all’insegnamento. Di fatto quindi, sparisce nuovamente la netta distinzione tra abilitazione e immissione nei ruoli della scuola statale. Il percorso previsto per l’abilitazione introdotto dalla Ministra Giannini, il cosiddetto tirocinio formativo attivo (Tfa), aveva sostituito la vecchia Ssis, della quale però aveva mantenuto il tirocinio e il raccordo con l’università. La grande maggioranza dei candidati e dei vincitori del concorso ordinario del 2016 avevano già conseguito l’abilitazione con il Tfa, vincendo già una selezione, seguendo corsi di didattica e materie psicopedagogiche tenute da docenti universitari, confrontandosi con altri giovani colleghi nelle scelte e nelle pratiche professionali, proponendo e sperimentando unità didattiche, e svolgendo una sostanziosa esperienza di tirocinio. Tutto questo col nuovo sistema verrà a mancare. Se è vero che i requisiti per i nuovi concorsi prevederanno anche l’abilitazione (per i pochissimi abilitati non di ruolo che saranno rimasti dopo il “concorso sanatoria” del 2018), sarà sufficiente la laurea magistrale, coerente con la classe di concorso per cui si parteciperà, unitamente a 24 crediti formativi universitari (corrispondenti a circa 3-4 esami semestrali) nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche. Verrà quindi a mancare la lunga riflessione cui hanno spinto i percorsi come il Tfa, costringendo gli abilitandi ad approfondire le loro conoscenze disciplinari coniugandole con un bagno di realtà effettuale durante l’esperienza di tirocinio. Niente più protratto confronto tra abilitandi e tra abilitandi e docenti tutor. Niente più raccordo con l’Università, che sicuramente non può essere offerto dall’obbligo di completare la propria formazione superiore con 24 cfu. Niente più dialoghi tra insegnanti e professori universitari su cosa e come insegnare a scuola.
Forse la doppia selezione (abilitazione e concorso ordinario) unita al tirocinio cui si aggiungeva ugualmente una formazione durante l’anno di prova, con relativa attività di tutoraggio da parte di un docente già in ruolo, non era il sistema migliore e più sensato. D’altro canto, se si vuole rendere quella del docente di scuola una vera e propria professione non può bastare nemmeno il sistema che prevede un concorso più un anno di formazione iniziale dopo la vittoria del concorso, a giochi ormai conclusi. La debolezza del nuovo reclutamento è tanto più evidente quanto più si pensa alle sfide che pone agli insegnanti la complessità della scuola e delle società contemporanee (inclusione, immigrazione, contrasti tra agenzie educative, nuovi media…). All’interno di questo quadro non può essere assente nella cosiddetta fase transitoria la riserva del 10% dei posti per i candidati che abbiano svolto negli ultimi 8 anni 3 annualità di servizio, con connesso esonero dall’obbligo di conseguire i 24 crediti, né possono mancare gli strali di coloro che vorrebbero che, per la fortuna di aver svolto 3 anni di supplenze da non abilitati, si potesse entrare in ruolo senza nemmeno partecipare al concorso.
Tomaso Invernizzi, docente di scuola secondaria di II grado
In effetti la sQuola non prepara più come una volta: prova ne sia il fatto che studenti e scolari vari non sanno più scrivere e non sanno nemmeno che c’è stata la guerra di Troia. E sicuramente la colpa è di professori e maestri.
Ma mi sembra che quando si tratta di fare propaganda alla UE e a Soros questi professori e maestri se la cavano egregiamente.
Per esempio quando ci garantiscono che grazie all’Euro abbiamo avuto 80 anni di pace.
Lei Kennedy ce?