Concorrenza fiscale e Charter City
Le Charter City sono un’idea di Paul Romer. L’economista (di cui apprezzo alcuni studi benché econometrici sull’apporto del capitale umano alla crescita endogena) suggerisce da venti anni di replicare “l’esperimento” di Hong Kong in altri paesi sottosviluppati, perché faccia da esempio di un modello economico-politico funzionante i cui pregi possano poi venir estesi su territori più vasti. Per come la vedo io, si tratta di avere dentro uno Stato una sorta di alternativa concreta, in modo che i due sistemi si facciano “concorrenza” e la gente possa, votando politicamente o con “i piedi”, decretare dove e come vivere.
Il caso di Hong Kong è un’area “capitalista” impiantata pro-tempore dopo la guerra come protettorato britannico su suolo cinese. La Cina in qualche modo è stata “uno Stato con due sistemi” fino al 1997, quando secondo i patti Hong Kong è tornata alla Cina; più o meno a quell’epoca la Cina è entrata nel commercio mondiale con un certo “fare capitalistico” – e certamente questo è la conseguenza di un periodo di “studio” che parte da lontano – ed ha ottenuto un certo successo (anche se una parte è sicuramente “bolla” da eccesso di dollari). L’idea di Romer è che altri paesi decidano di rinunciare alla sovranità su un certo territorio, lasciandolo gestire secondo regole di altri paesi più avanzati appunto come un protettorato, ma lasciando libertà di movimento in entrata e in uscita delle persone (che non hanno diritto di voto nella Charter City ma possono “votare con i piedi” cioè andarsene).
Romer intende queste Charter City come dimostrazione del valore della certezza dei diritti di proprietà, della burocrazia veloce e non corrotta, della ridotta tassazione, e del libero scambio; una specie di America dei bei tempi fatta di common law, responsabilità e libertà.
Forse a qualcuno sembra una boiata, ma l’Honduras ci crede, ha offerto di ospitare una Charter City, e la sua presidenza ha giustificato questo dicendo che in tal modo la forte emigrazione verso “il sogno americano” resterà “in casa”. Adesso va trovato chi sia disposto a gestire un protettorato in Honduras.
Io ho qualche dubbio che tale progetto possa rivelarsi nei fatti la creazione di una specie di San Marino dell’Honduras sul piano finanziario e fiscale. Ma le condizioni dell’Honduras non sono quelle dell’Italia, quindi anche una specie di San Marino può fare da esempio su molti aspetti economici e politici.
La perfetta libertà di entrata ed uscita dalla Charter City credo elimini il rischio che questa diventi una colonia tedesca o canadese o cos’altro; comunque sia la nascita che il popolamento della Charter City sono volontarie.
Dubbi che in realtà la scelta dell’Honduras sia stata forzata da un qualche Stato con mire neo-colonialiste? Potrebbe anche essere, ma il paese è già povero e la popolazione pare tenda alla fuga… cosa c’è veramente da perdere non per lo Stato ma per la popolazione?
Libera scelta: due sistemi diversi e fortemente interrelati, dove il più giovane cercherà di attrarre persone (probabilmente con certe qualifiche) e capitali (sia dal sistema contiguo che dal resto del mondo), e dove il sistema più vecchio sarà forzato a reagire e migliorarsi per non perdere risorse (e i politici, potere). Questa è concorrenza fiscale, o addirittura governativa, e saranno gli utenti a decretare il migliore; nel peggiore dei casi il vecchio sistema sarà forzato a migliorare, e questo sarebbe già un risultato positivo.
La questione riecheggia un po’ della vicenda africana come esposta da Dambisa Moyo (qui un riferimento), dove la ripresa economica viene dalla riduzione degli aiuti esterni e quindi dalla necessità di un miglioramento competitivo dall’interno. Riecheggia pure di quel che si voleva dalla UEM, dove la moneta unica avrebbe dovuto forzare gli Stati a competere sul piano dell’efficienza produttiva e dal rigore fiscale (la storia direbbe che la sfida è fallita, ma le crisi del debito sovrano (di cui già si avvertiva ad inizio 2009) dicono che in realtà ci stiamo ancora avvicinando a qualcosa di simile a una resa dei conti). E riecheggia anche delle suggestioni federaliste italiane che analogamente alla vicenda UEM dovrebbero mettere le regioni in competizione fiscale (e amministrativa) tra loro, forzando tutti al miglioramento (ritengo però che in Italia l’aspetto politico, se non folkloristico, abbia adombrato del tutto quello economico).
Nell’idea di Romer c’è uno scatto in più, che è la totale estraneità reciproca degli attori politici concorrenti. È infatti opinione dell’economista che le riforme, per essere efficaci, devono essere imposte dall’esterno. Io aggiungo che varie riforme, per venir realizzate, hanno bisogno di fattori traumatici che permettano la rottura dei precedenti (e viziosi) equilibri politico-economici, e causano la concentrazione degli sforzi verso precisi obiettivi con orizzonti temporali definiti e stretti (non per nulla le guerre sono spesso state punti di discontinuità nell’evoluzione mondiale). Cosa c’è di più traumatico dell’improvviso sorgere di un “concorrente statale” sul proprio suolo?
A questo punto mi interessa relativamente poco quale sarà in concreto l’impostazione della Charter City: quel che serve è che l’esperimento sia a tempo (volendo, rinnovabile), che la libertà di movimento delle persone sia totale, e che il suo sistema politico-economico sia completamente alieno all’Honduras; insomma, basta che non sia una colonia e che sia una vera libera alternativa.
Che siano le persone a decretare insindacabilmente, con i piedi, cosa è meglio per loro (perché, come riteniamo noi maledetti soggettivisti, solo loro lo sanno).
P.S.: Criticabile quanto si vuole, questo almeno è un economista che dà risposte da economista, non da politico.
Perchè nessun commento? Per gli italiani con piccole o grandi idee, con piccole o medio-grandi industrie, con capacità intellettuali o manuali, potrebbe essere una ottima opportunità l’Honduras! Fondare una nuova” Kong Hong” e dimostrare che non siamo piu gli italiani casinari, inaffidabili, corrotti, ma, che coloro che sono rimasti fuori dai giochi politici, sono delle persone mature capaci di condurre uno “stato” in maniera razionale ed efficiente. Forse questa Charter City, funzionerebbe in entrambi i sensi per dimostrare che onduregni e italiani hanno grandi potenzialità, e noi, dopo tutto quello che abbiamo visto succedere in Italia, sappiamo decretare sicuramente cosa è meglio per noi.
Idea davvero brillante! Se mi si permette uno spunto vagamente polemico – tutto sommato, meglio così che un team di Chicago boys alla corte di Pinochet!
Dambisa Moyo è davvero in gamba. Sulla carta sembrerebbe anche influente – ma non mi pare che le diano molta retta, in pratica…