Concessioni balneari: un commento
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Lorenzo Imbasciati.
Ho letto con interesse e favore il recente studio dell’Istituto Bruno Leoni sul tema.
Il favore nasceva dalla speranza espressa dal titolo “una possibile via di uscita dall’attuale incertezza politica”.
La speranza però si è trasformata in delusione quando ho letto i modi con cui gli operatori possono evitare di essere esclusi dalle gare.
Gli operatori possono unire le forze e partecipare sottoforma di raggruppamenti temporanei di imprese (dette RTI o ATI), come appunto proposto dall’Istituto Bruno Leoni da anni. In tal modo, potrebbe essere più facile formulare un’offerta competitiva e, soprattutto in ottica pro-concorrenziale, favorire la partecipazione di soggetti che, singolarmente, non ne avrebbero la possibilità. Oltre alle associazioni temporanee, gli operatori potrebbero pensare anche a forme più stabili nel tempo, come i consorzi con attività interna o esterna, i contratti di rete oppure dare vita a una fusione tra piccole società per crearne una più robusta.
In sostanza si dà per scontato che per partecipare alle gare sia necessaria una dimensione aziendale più grande di quella che hanno gli attuali gestori.
È possibile che con le regole sulle gare che tutti danno per scontate le cose stiano effettivamente così, ma questo è a mio avviso profondamente sbagliato.
Non solo i benefici della concorrenza ma anche l’eccellenza raggiunta da alcuni gestori è intimamente legata ad una dimensione PICCOLA.
Per uscire dall’impasse tra la necessità di fare le gare e il legittimo interesse di non punire chi ha gestito le spiagge fino ad oggi la strada è proprio quella di disegnare i lotti da mettere a gara sulle dimensioni FAMILIARI degli attuali gestori. Un amico che se ne intende mi ha detto che questo equivale a 150 metri di larghezza di un “bagno”.
Se i lotti hanno questa dimensione, gli attuali gestori possono concorrere.
Se i lotti hanno questa dimensione, avremmo un grande numero di tentativi di offrire il servizio: avremo quelli che puntano sui giovani, con musica e orari prolungati di chiusura, avremo quelli che puntano sui golosi, con integrazione spinta di servizi di ristorazione, avremo quelli che puntano sui nudisti, quelli che puntano sulle famiglie, con servizi di intrattenimento per i bambini, avremo quelli che puntano sugli anziani, sugli amanti degli animali, su quelli che non vogliono animali tra i piedi e così via.
E dalla concorrenza e dalla diversità delle proposte offerte verranno fuori i migliori vantaggi per gli utenti.
Se poi vogliamo spingere ancora di più sulla numerosità e sulla differenziazione, non sarebbe uno scandalo anche IMPORRE che un soggetto non possa concorrere per più di tre lotti per evitare che un gestore “grosso” sottragga agli utenti la varietà che hanno avuto fino ad oggi.
L’obiezione potrebbe essere costituita dai “doveri” di adempiere a regolamenti e normative europee come il trattamento dei dati, la sicurezza, le norme sul lavoro, le certificazioni, eccetera. Tutti questi adempimenti potrebbero richiedere un personale aggiuntivo che farebbe sballare i conti di una piccola impresa familiare.
Se le cose stanno così, occorre battersi per esentare le imprese balneari da tali adempimenti (per poi magari esentarne anche altre) perché diversamente non è sbagliato interpretare l’indicazione comunitaria a fare le gare come un tentativo di avvantaggiare imprese estere con maggiori dimensioni soppiantando gli attuali gestori anche quando questi siano in grado di offrire eccellenza e di mettersi in competizione fra di loro facendo gli interessi degli utenti.
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La concorrenza, in qualunque settore, implica la sperimentazione di diversi modelli di business e la ricerca di differenziazione del prodotto alla ricerca di clienti più o meno selezionati. Gli stabilimenti balneari non fanno eccezione: in alcuni casi le economie di scala possono essere rilevanti, in altri meno. Questo dipende, per esempio, dalle caratteristiche del litorale, dal tipo di turismo che esso attira, dalla specifica “proposizione di valore” che ciascuna impresa intende esprimere. La ragione per cui nel Focus si pone tanta enfasi sul tema dimensionale sta nel fatto che sono gli stessi operatori del settore (o, meglio, la maggior parte delle loro organizzazioni) a porre l’accento sulla sproporzione nelle dimensioni (e dunque nella capacità finanziaria) delle fantomatiche “multinazionali” e gli operatori tradizionali. E il senso era sottolineare che, se davvero questo è il problema, la soluzione è comunque a portata di mano. Ovviamente la dimensione non è l’unico parametro rilevante e non necessariamente (o comunque non sempre) il più importante. Proprio per questo sarebbe utile se il dibattito si spostasse dal se fare le gare al come disegnarle: per esempio, quale debba essere la dimensione delle concessioni e se essa debba essere standardizzata a livello nazionale oppure debba (come a noi pare più ragionevole) essere definita a livello locale.
Carlo Stagnaro, Direttore Ricerche e studi, Istituto Bruno Leoni
Faccio mio il finale: “sarebbe utile se il dibattito si spostasse dal se fare le gare al come disegnarle: per esempio, quale debba essere la dimensione delle concessioni e se essa debba essere standardizzata a livello nazionale oppure debba (come a noi pare più ragionevole) essere definita a livello locale”.
Tra l’altro, quello che a me sembra giusto e opportuno rappresenta anche una soluzione politicamente praticabile per salvare la capra della concorrenza e i cavoli della difesa degli attuali gestori (quelli migliori ovviamente).