Compra che ti passa
Fino a che punto un ente locale può giocare d’azzardo? Il quotidiano di Genova, Il Secolo XIX, sta conducendo una meritoria inchiesta (qui e qui, il resto sul cartaceo di ieri e oggi) sull’enorme e incerto buco della Spim, la società controllata al 100 per cento dal comune, che ne possiede e gestisce il patrimonio immobiliare. Nel 2007, il gruppo – allora capitanato da Giorgio Alfieri – ha acceso un mutuo da 80 milioni di euro per comprare il Matitone, l’edificio che oggi ospita gran parte degli uffici comunali. Per coprirsi contro il tasso variabile, la Spim acquistò contemporaneamente, dalla banca Bnp Paribas, un prodotto che Alfieri definisce “assicurativo”. Nel primo anno il valore del fondo crebbe in effetti di 1,5 milioni, ma poi, con la crisi delle Borse, è precipitato a -24 milioni, per poi risalire e infine riprendere a calare. Attualmente siamo a -14 milioni. Non è detto che il prodotto, assicurazione o derivato che sia, alla scadenza (2016) non chiuda in attivo. Il problema è un altro: fino al 2016, sarà impossibile saperlo. Sarà quindi impossibile conoscere la reale situazione di Spim e, di riflesso, lo stato dei conti del comune.
La questione, resa più grave che l’amministrazione comunale non era stata informata dell’operazione e che è venuta a saperlo solo ora alla luce dei dati catastrofici e dell’intervento della Corte dei Conti, è sostanziale. Riguarda, infatti, lo status oggettivamente diverso delle amministrazioni pubbliche e dei loro veicoli (come la Spim) rispetto a qualunque altro individuo o società. Io non sono paternalista: se volete giocarvi tutto in borsa o al casinò, che siate ricchi o poveri, cavoli vostri. Ma un amministratore pubblico deve adottare una logica diversa: perché, se perde, in realtà perdiamo tutti. Saranno i soldi delle tasse a coprire i buchi. Quindi, non solo un amministratore pubblico dovrebbe mettersi nella condizione di comprendere quello che sta comprando – quando spesso non è stato così, come ha evidenziato la bella puntata di Report sui derivati – ma dovrebbe anche pesare con maggiore cautela le proprie scelte. Non è tanto una questione di norme, quanto di prassi. Un individuo può rischiare quanto cazzo gli pare, un amministratore pubblico no: ha il dovere di contenere il rischio, perché c’è una inevitabile asimmetria tra chi apre le posizioni e chi poi si trova a subirne le conseguenze (come in questo caso, quando la magagna viene fuori con un nuovo capo di Spim e un diverso sindaco).
Quello che sto dicendo è che gli amministratori pubblici dovrebbero smetterla di fare gli splendidi. Battere le vie normali per la raccolta dei capitali: e se non ci riescono o se i capitali costano troppo (che è lo stesso), ridimensionare i loro progetti di spesa. Non so se fosse davvero necessario comprare il Matitone: forse si poteva restare in affitto, o forse si poteva rinunciare ad altre spese per dare la scalata al grattacielo genovese. Oltre a questo, l’amara vicenda con cui Marta Vincenzi (primo cittadino del capoluogo ligure) e Sara Armella (ad di Spim) dovranno fare i conti fornisce una lezione importante alla stessa Vincenzi e a tutti gli altri sindaci. La lezione è che aprire delle società controllate interamente dal comune per allocare la gestione di questo e quello può rispondere, in alcuni casi, a esigenze di razionalità: ma in ogni caso crea uno schermo di opacità su operazioni che dovrebbero essere le più trasparenti. E, parallelamente, riducono l’efficacia del controllo, perfino in un sistema imperfetto come quello attuale, al punto che della vicenda Spim non solo non erano informati il consiglio comuinale e la cittadinanza, ma neppure la Vincenzi e, secondo quanto riferisce al Secolo oggi, lo stesso Giuseppe Pericu, all’epoca sindaco di Genova e padrino politico di Alfieri.
Margaret Thatcher disse una volta che la Gran Bretagna degli anni Settanta era un paese dove le imprese private erano controllate dal settore pubblico, le imprese pubblico da nessuno. Ho la sensazione che non ci troviamo in una situazione tanto diversa.
Le imprese pubbliche sono “di tutti”, quindi, quasi per definizione, di nessuno.
Sui derivati gioca però anche un’allucinazione contabile. Nel caso in questione, infatti, quello che si è fatto è stato in realtà eliminare il rischio di movimenti dei tassi. Il valore del derivato viene aggiornato, mentre il valore del debito, ma il valore presente del debito invece viene mantenuto al valore nominale, senza aggiustamenti. In questo modo, emergono utili o perdite di fatto inesistenti. Se i tassi fossero saliti, ora saremmo qui a congratularci con l’amministrazione comunale per la lungimiranza del tesoriere che ha montato l’operazione e ridotto il rischio (come immagino sia avvenuto nel 2008).
Le imprese pubbliche sono “di tutti”, quindi, quasi per definizione, di nessuno.
Sui derivati gioca però anche un’allucinazione contabile. Nel caso in questione, infatti, quello che si è fatto è stato in realtà eliminare il rischio di movimenti dei tassi. Il valore del derivato viene aggiornato, mentre il valore del debito, ma il valore presente del debito invece viene mantenuto al valore nominale, senza aggiustamenti. In questo modo, emergono utili o perdite di fatto inesistenti. Se i tassi fossero saliti, ora saremmo qui a congratularci con l’amministrazione comunale per la lungimiranza del tesoriere che ha montato l’operazione e ridotto il rischio (come immagino sia avvenuto nel 2008).
D’accordissimo, invece, sulla necessità che gi enti locali non impieghino i derivati per spendere e trasferire alle amministraizoni future il fardello della spesa: questa è la funzione di parecchi derivati negli enti locali.
E’ bene iniziare a spostare la lente liberista sugli enti locali, veri e propri centri di produzione del socialismo. Questo blog mi fa respirare. GM
Sull’allucinazione contabile sono d’accordo, e non è detto che anche in questo caso nel 2016 si chiuderà in attivo. Vado oltre: è probabile. Il mio punto però era diverso: questo è un prodotto volatile e rischioso. E’ accettabile che un’amministrazione pubblica si assuma un rischio del genere, sapendo che comunque il costo – perfino quello “simbolico”, avere la grana tra i piedi – cadrà sulle spalle di altri (amministratori e contribuenti del 2016)? Secondo me, no, no e ancora no.
Forse si dovrebbe guardare un po’ più in là. Se le amministrazioni locali stipulano contratti derivati a copertura dei propri impegni, deve pur essere previsto dalle leggi sulla finanza locale che possano farlo: anzi, ho l’impressione che lo richiedessero espressamente, almeno in alcune ipotesi (ignoro se il caso di Genova vi sia compreso).
Allora, delle due l’una: o i comuni che adesso si lamentano non avevano capito niente quando hanno stipulato il contratto (e sarebbe gravissimo), oppure gli amministratori attuali stanno facendo la guerra a quelli che hanno sostituito, quale che sia la rispettiva parte politica (a Genova, sempre il CS; a Milano. sempre il CD).