Compiti 2010-4: non si riparte di solo export
Per oggi e per non risultare eccessivo, un ultimo proposito per l’anno appena iniziato. Riguarda più da vicino l’Italia e la Germania, cioè i Paesi dell’Euroearea che più esportano e che vantano la maggior quota di manifattura. A questo proposito il luogo comune da contrastare è quello che di solo export si possa ripartire, in altre parole confidando il più possibile – nel nostro caso – sui pianti anticiclici messi in atto da Paesi che hanno maggiori possibilità di spesa in deficit. Non è così: senza pulizia bancaria vera – nel caso tedesco – e senza riforme di produttività – nel caso nostro, meno tasse ed esternalità negative che gravano sulla produttività multifattoriale, trasporti, logistica, energia etc. – il mercantilismo costruito sui piani pubblici altrui si traduce in crescita bassa.
Anche qui, due paper per gli argomenti da cui trarre ispirazione. Per il caso tedesco – e non solo – vale l’esempio del Giappone e del suo decennio di stasi. Questo paper elaborato da economisti del FMI mostra le quattro lezioni da trarre: l’export da solo non basta; la forza del manifatturiero non vince i cattivi attivi degli intermediari finanziari, se non vengono sanati; piani massicci di sostegno pubblico possono risultare apparentemente efficaci nel breve ma i loro costi, sottovalutati nel lungo termine, appiattiscono poi la crescita; gli squilibri finanziari privati e pubblici vanno messi a regime in ferrei piani anche pluriennali, ma senza credere che lo stellone possa salvare dai loro oneri.
Per il caso italiano, che vede banche meno scassate ma anche – per fortuna – indisponibilità di massicci deficit pubblici aggiuntivi, consiglio questo paper di due economisti tedeschi, che in realtà è scritto avendo in mente una svolta all’americana del loro paese. Illustra infatti il diverso effetto che un’elevata apertura al commercio estero comporta sui tassi di crescita in Paesi diversi, a seconda che essi siano caratterizzati da un elevato potere d’acquisto oppure no. Chi ce l’ha, sopporta prezzi mediamente più elevati in presenza di una forte concentrazione delle catene distributive: e ciò comporta maggior crescita nazionale e più estesa possibilità di cavarsela a parità di reddito disponibile con minori integrazioni monetarie e in servizi da parte del welfare. L’Italia è esattamente l’esempio di Paese che non può contare su un simile effetto: dunque da noi anche il perdurante successo dell’export manifatturiero – da augurarsi e da incentivare, naturalmente – senza riforme di produttività non basta ad accrescere il reddito procapite in maniera da sanare il gap accumulato dagli anni Novanta ad oggi, e ci schiaccia comunque su una domanda di welfare a oneri crescenti.