Compiti 2010-3: una “nuova” eurodisciplina
La Banca Centrale Europea e la disciplina di bilancio dell’Euroarea e dell’Unione Europea escono severamente provati dalla crisi. Ma non sembra proprio che le classi dirigenti europee siano intenzionate ad animare un dibattito serio sulle loro modifiche. Anzi, in generale prevale la soddisfazione per come avrebbero affrontato con maggior successo di altri gli effetti della crisi. Bisogna avere il fegato e gli argomenti buoni per contrastarla.
La macchinosità delle modifiche al Trattato – dopo il travagliato iter pluriennale costellato di incidenti referendari prima della recentissima entrata in vigore della rimaneggiata “versione di Lisbona” – rischia per altro di rendere le regole europee intoccabili quanto l’ormai eretta a feticcio prima parte della Costituzione italiana. In realtà, nell’ambito dell’Euroarea e dell’Unione Europea nel difficile 2009 hanno convissuto diverse “vie nazionali” al salvataggio bancario. La via francese e quella dei Paesi Bassi, nel caso Fortis o ING, o quella tedesca nel caso della Landesbanken, hanno in realtà visto le articolazioni nazionali del Sistema Europeo di Banca Centrale muoversi in totale autonomia venata da concertazioni riservate del tutto estranee agli organi ufficiali BCE di Francoforte, forti di un consenso con le autorità politiche nazionali che in realtà è stato praticamente sempre – anche nel caso germanico – totale allineamento ai desiderata politici. Di che cosa possano essere fieri i banchieri centrali europei – al di là di quelli che, come nel caso di Draghi in Italia, non hanno dovuto per fortuna salvare nessuno – non riesco proprio a capirlo. Analoga amarezza vale per le regole contabili europee: e non mi riferisco ai deficit e debiti pubblici che schizzano verso l’alto, bensì al fatto che nell’Ue alla fine il principio che esce affermato da questa crisi è che per le banche conviene essere insediate o nei Paesi Ue che non hanno l’euro, come UK, oppure in quelli che hanno maggior margine dei debito pubblico aggiuntivo: perché in entrambi i casi la loro probabilità di essere salvate a spese del contribuente maggiore. Ma ciò configura semplicemente un’inaccettabile distribuzione asimmetrica dell’azzardo morale, visto che le banche sono indotte a una disciplina patrimoniale inversamente proporzionale al rischio di debito pubblico nazionale. Quanto più contenuti sono i CDS sul debito sovrano, tanto più possono essere impunemente altri i CDS delle banche incardinate in quei Paesi. È un’ipocrisia intollerabile.
Due paper propongono argomenti e considerazioni sull’intreccio tra regolazione finanziaria e disciplina di bilancio in Europa. Il primo è di Paul De Grauwe che insegna a Lovanio – in questo blog più volte citato in questi ultimi mesi – e del neokeynesiano eurortodosso Daniel Gros del CEPR. Parte dalla condivisibile premessa che la missione affidata per Statuto alla BCE – la sola lotta all’inflazione attraverso i tassi d’interesse – sia inadeguata, e conclude affermando che la disciplina di microstabilità finanziaria – dei coefficienti patrimoniali di vigilanza degli istituti – e di macrostabilità – vigilanza sugli intermediari cross border o comunque di taglia tale da proiettare conseguenze sull’intera Euroarea in caso di insolvenza – vadano attribuiti alla BCE. Mi convince la prima osservazione, non la seconda, che è comunque lontana dalla barocca architettura in via di attuazione, secondo lo schema del rapporto de Laroisiére. In realtà, poiché è il debito nazionale a far come si è visto la differenza in ordine a come comportarsi verso i Too Big To Fail, allora la soluzione migliore è un’altra, l’unica alla quale la politica comunitaria possa addivenire senza far gridare la BCE all’attentata indipendenza. Mi convince per questo assai di più la via indicata in quest’altro paper di Alexander Fink e Thomas Stratmann della George Mason University. In realtà occorre un esplicito compromesso politico tra Paesi europei, per il quale essi dichiarino d’ora in poi criteri comuni di convergenza per i bailouts bancari, “a prescindere” dalla facoltà nazionale di accendere debito pubblico aggiuntivo per la bisogna. E che tali criteri vengano esplicitamente adottati come articoli aggiuntivi ai tetti di Maastricht: perché l’esperienza storica insegna altrimenti che il moral hazard dell’intermediazione finanziaria cresce in presenza di criteri di bilancio pubblico troppo soft.