Come risolvere la crisi dei prezzi dell’energia?
Meno moralismi, più economia
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Bruno Prior.
La crisi dei prezzi energetici è un problema d’ordine economico, non morale.
Si tratta di allineare la domanda e offerta di vari prodotti. Il fatto che alcune persone ne possano soffrire non ne fa un problema che può essere risolto moralizzando. Le opzioni per alleviare le sofferenze sono tutte nell’ambito dell’economia: migliorare l’efficienza o le misure di welfare o garantire un’offerta abbordabile.
Non è neanche un fallimento del mercato. Il mercato sta continuando a funzionare secondo i suoi meccanismi. L’offerta è diminuita rispetto alla domanda e ciò ha comportato un aumento dei prezzi. Essi indicano non solo che dobbiamo contenere la domanda, ma anche che l’offerta supplementare sarà preziosa e che vi è del potenziale per esplorare delle alternative che possano sostituirla.
Come dovremmo reagire quando i prezzi ci lanciano segnali allarmanti?
In primo luogo, dobbiamo distinguere tra misure a breve e a lungo termine, e le soluzioni tecnologiche appartengono al secondo tipo. Se i recenti aumenti dei prezzi si riveleranno essere permanenti queste ultime giocheranno un ruolo importante, ma potranno fare ben poco per alleviarne gli effetti che si prevedono per prossima primavera. Non possiamo migliorare significativamente l’efficienza dei nostri edifici, sostituire le caldaie a gas con pompe di calore, aumentare l’offerta di gas autoctono, o rimpiazzare le centrali a gas con alternative a basse emissioni di carbonio che siano reattive rispetto al profilo del fabbisogno entro i prossimi due anni. Durante questo periodo dobbiamo invece concentrarci su come fare per proteggere i più vulnerabili dalle conseguenze dei rincari.
Al momento, l’opzione più popolare è quella di cercare di contenere i prezzi, tagliando l’aliquota IVA e inglobando i costi delle green tax nella base imponibile generale. Si tratta di metodi controproducenti sotto molti aspetti. I costi che devono essere comunque coperti non vengono diminuiti ma solo spostati, perpetuando quello squilibrio tra domanda e offerta che ha causato l’aumento dei prezzi in primo luogo. Così facendo, la domanda si ridurrà meno di quanto sarebbe stato altrimenti, così come si ridurrà l’incentivo a innovare e a trovare sostituti alternativi.
In un mercato così dipendente dalle condizioni metereologiche, l’equilibrio tra domanda e offerta può cambiare rapidamente, e con esso anche i prezzi. Il mercato si può allentare, e quindi ci si accollerà un costo per i sussidi a fronte di un beneficio minimo, oppure può rimanere stretto, nel qual caso il mercato sarà incline a mantenere l’andamento al rialzo dei prezzi finché domanda e offerta non avranno trovato un nuovo equilibrio. Poiché il mercato cerca di correggere da sé le misure di contenimento dei prezzi, il costo di tale operazione aumenta.
Sebbene queste misure non siano di per sé un’idea malvagia, nel caso del gas sarebbero comunque inefficaci, dato che l’IVA sul consumo domestico è solo del 5 per cento e le ecotasse sono minime. Anche riguardo l’elettricità, l’effetto combinato di entrambe le misure non è pari agli aumenti di prezzo previsti.
Come anche il governo inglese ha dapprima constatato – ed è una cosa di cui gli va dato atto –, il contenimento dei prezzi è un modo inefficiente di alleviare i danni rispetto alle misure di welfare, e questo è stato uno degli argomenti a sostegno dell’ipotesi di continuare a far funzionare il mercato, riducendo al minimo l’azione sui prezzi e proteggendo al contempo i più vulnerabili.
L’opzione a breve termine meno pericolosa consiste nell’adottare una combinazione tra il metodo delle tasse e quello dei sussidi per compensare l’aumento dei costi in modo progressivo. Ad ogni modo, anche il costo di questa operazione dovrà essere pagato, quindi la compresenza tra un alto livello di debito pubblico e di tassazione, insieme all’aumento dei tassi d’inflazione, limita le nostre possibilità di scelta.
Per quanto riguarda il più lungo termine, alcune persone sono incautamente troppo fiduciose verso le proprie previsioni, e preferiscono guardare dentro la propria “palla di cristallo” anziché alla storia. Ad un primo sguardo, sembrerebbe che la volatilità dei prezzi del gas sia data dal fatto che sono aumentati di recente, ma un singolo aumento non significa che vi sia volatilità, che è data piuttosto da frequenti aumenti e diminuzioni di prezzo. Il grafico qui riportato (per gentile concessione di ERCE Energy) mostra come i prezzi del gas al National Balancing Point del Regno Unito siano variati in una scansione più lunga. Prima dell’estate scorsa, gli unici a lamentarsi della volatilità dei prezzi del gas erano i produttori delusi dai prezzi bassi.
I prezzi del gas potrebbero rimanere così alti, e ciò porrebbe un serio rischio per questo ed il prossimo inverno, sebbene sia più probabile che diminuiscano in mezzo e dopo. La maggiore incertezza risiede nel vedere se i prezzi torneranno a i livelli pre-crisi o se troveranno un nuovo punto di assestamento tra il precedente e quelli attuali.
È un fattore dinamico e ricorsivo. La nostra risposta a questa situazione dipende dalle nostre aspettative, ma essa influenzerà anche la sua evoluzione. Un modesto aumento della domanda mondiale di gas (73mld di m3 dal 2019-21, rispetto a quasi 1000mld di m3 dal 2007-19, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia) ha avuto un effetto drammatico sui prezzi. Potrebbe anche valere il contrario, quindi modeste riduzioni della domanda di gas potrebbero far crollare il prezzo.
Ci sono, inoltre, fattori geopolitici imprevedibili, soprattutto per quanto riguarda la Russia e il Medio Oriente. L’opinione diffusa è che l’attuale picco dei prezzi si debba a fattori geopolitici tanto quanto a fattori strutturali. Questi fattori cambieranno, ma come?
Parte della risposta sta nelle nostre mani. Il governo britannico ha scelto di vietare il fracking, più per motivi politici che per fondate obiezioni tecniche. Rimarrà della stessa idea quando i prezzi del gas saranno triplicati?
La forte sensibilità delle imprese ai rischi climatici, dovuta all’incertezza regolatoria, ai dipartimenti di sostenibilità ambientale, sociale e governance (ESG), e la tendenza al divestment, ha scoraggiato negli ultimi anni l’impiego di risorse nella ricerca riguardante i combustibili fossili. Dato l’enorme abisso che separa la retorica politica dalle attuali tendenze nella domanda di combustibili fossili, è possibile che le aziende si renderanno conto che questa domanda non andrà da nessuna parte tanto presto? O forse, più probabilmente, i vincoli ESG posti dai gestori di fondi sulle società quotate vedranno gli investimenti in combustibili fossili passare al private equity e alle società provenienti da parti del mondo in cui tali criteri sono meno stringenti?
I liberali classici non dovrebbero reagire all’arroganza dei burocrati peccando anche loro dello stesso eccesso di sicurezza nelle proprie certezze. Non dovremmo considerare il fracking idraulica e le trivellazioni in mare aperto come soluzioni magiche. La produzione On- e Offshore nel Regno Unito probabilmente si rivelerà più costosa di molte altre fonti e non sappiamo su quale fascia di prezzo e rendimento si stabilizzerebbe la produzione britannica, né tantomeno come si confronterebbe col resto del mercato. Potrebbe essere relativamente costosa e relativamente limitata, ma ai produttori non dovrebbero essere dissuasi a scoprirlo, né il Regno Unito dovrebbe essere il tipo di paese in cui la gente teme di investire a causa dell’incertezza regolatoria.
Simili incertezze si applicano a tutte le altre opzioni sul mercato. Siamo davvero sicuri che l’elettrificazione, alimentata da fonti rinnovabili “a buon mercato” e con continuità garantita dal nucleare e dallo stoccaggio sia “l’unica opzione praticabile”? Ci sono troppi elementi congetturali per farne un piano generale, e ci vorrebbero pagine su pagine per descrivere le incertezze che questa “unica via praticabile” non prende in considerazione, e tutto ciò prima ancora di arrivare a scoprire quante altre incertezze impreviste ne deriveranno.
Tuttavia non ne abbiamo bisogno. Se ci fidiamo dei mercati, essi indicheranno comunque “l’unica opzione praticabile” se è veramente l’unica opzione praticabile, ma se per caso ci sono punti ciechi in questa visione infallibile, un mercato capace di operare liberamente contribuirà ad incoraggiare l’innovazione (in tutti i sensi e non solo rispetto alle opzioni approvate dagli esperti da poltrona) e a scoprire quelle che sono le migliori soluzioni nella pratica piuttosto che in teoria, mentre la politica dei risultati pianificati rimarrebbe bloccata nel tentativo di realizzare un modello che non funziona.
Il British Department for Business, Energy and Industrial Strategy (BEIS) ha accumulato uno dei più grandi bilanci tra i ministeri di Whitehall. Se lasciamo l’innovazione agli innovatori piuttosto che ai burocrati e ai politici, potremo liberare non solo il mercato, ma anche parte del bilancio del BEIS. E questo potrebbe così essere allocato a sostenere quelle misure di welfare a breve termine che si vedono necessarie per assorbire l’impatto di una crisi dei prezzi energetici che i quegli stessi brillanti burocrati (beati della propria visione perfetta per il 2050) non sono riusciti a prevedere già un anno fa.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul blog dell’IEA: https://iea.org.uk/energy-price-hikes-less-moralising-more-economics/