Civiltà Giuridica: l’intervento sull’IRAP e l’inarrestabile retroattività delle norme tributarie—di Antonio De Rinaldis
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Antonio De Rinaldis.
Da più parti – a torto o a ragione – si dice che uno dei problemi italiani è la carenza – o se volete la perdita – di “civiltà giuridica”.
Ma come? verrebbe da domandarsi; siamo il paese in cui è nato il diritto! ed in effetti pur non esistendo un luogo “sacro” del quale possa dirsi che lì e solo lì sia nato il “diritto”, una sorta di collina della Pnice, la recriminazione ha fondamento.
Ci sono tanti esempi che dimostrano la trasformazione del legislatore domestico e la sua incessante capacità di allontanarsi, talvolta con bramosia e spasmodica caparbietà, dai principi fondamentali della civiltà giuridica. Come quello relativo al fatto che la legge dispone per il futuro.
La nostra Costituzione all’art. 25 secondo comma impone che “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Tale principio noto come “principio di irretroattività” di una norma opera – secondo i canoni costituzionali – solo nel campo penale e solo in malam partem.
I giuristi però ci insegnano che detto principio è un principio, che sebbene non abbia cardini costituzionali, immanente dell’ordinamento giuridico. Ed infatti, la Corte Costituzionale ci ha più volte ribadito che “Al riguardo va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il divieto di retroattività della legge – pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, cui il legislatore deve in linea di principio attenersi – non è stato elevato a dignità costituzionale, salva la previsione dell’art. 25 Cost. relativo alla sola materia penale. Il legislatore ordinario, nel rispetto di tale limite, può dunque emanare norme retroattive, purché trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, così da non incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti” (sentenze n. 419 del 2000, n. 229 del 1999, n. 432 del 1997, nn. 153 e 6 del 1994, n. 283 del 1993).
Tant’è che il legislatore del 2000 ha emanato quello che è semplicemente noto come “Statuto del contribuente” nel quale, con specifico riferimento all’argomento de quo, all’art. 3 è specificato che:
le norme tributarie non possono avere effetto retroattivo;
Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono;
in ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti;
ed infine
i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati.
Principi salutati dai più come salvifichi e tipici di uno Stato giustamente democratico oserei dire “liberale” che aveva avvertito la necessità di interrompere i principi di sudditanza anche psicologica nel cui recinto erano collocati i cittadini.
Ma sarebbe stato bello se fosse stato vero.
Nel 2012 – quindi pochi mesi or sono – il Sole 24 Ore (si veda http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-10-21/statuto-fisco-violato-volte-193731.shtml?uuid=AbmA9QvG) pubblicò i risultati di un’inchiesta dalla quale scaturiva che lo “Statuto” era stato violato – dallo stesso legislatore – almeno 450 volte ossia – in media – circa 40 volte l’anno. Ed eravamo solo ad ottobre del 2012.
Non esistono a proposito ulteriori statistiche aggiornate, ma è sufficiente, ai nostri fini, ricordare le modifiche retroattive sulle detrazioni delle polizze assicurative introdotte con il decreto che abolisce l’IMU sulla prima casa, oppure le nuove norme sul redditometro introdotte nel 2012 ( a dire il vero previste dal D.L. n. 78/2010 ma attuate con il D.M. 24 dicembre 2012) ma valevoli già per l’annualità 2009.
Purtroppo, come vedremo a breve, l’emorragia della “civiltà giuridica” è lungi dall’arrestarsi e ciò anche per il supporto che il legislatore riceve – a torto o a ragione – dalla giurisprudenza anche di vertice. Secondo quest’ultima – si veda, per tutte, Cass. civ. Sez. V, 28 febbraio 2014, n. 4815 – infatti ed in generale le norme dello Statuto
costituiscono … criteri guida per il giudice, in sede di applicazione ed interpretazione delle norme tributarie (anche anteriormente vigenti), per risolvere eventuali dubbi ermeneutici, ma non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria (tant’è che ne è ammessa la modifica o la deroga, purché espressa e non ad opera di leggi speciali), con la conseguenza che una norma legislativa che si ponga in contrasto con esse, senza che ricorrano le dette condizioni, non può esser suscettibile di disapplicazione né, di per sé oggetto di questione di legittimità costituzionale, non potendo le disposizioni dello Statuto fungere direttamente da norme parametro di costituzionalità.
Ed ancora, la Corte Costituzionale adita in merito ai dubbi di costituzionalità di una norma che aveva agito retroattivamente ha, anche di recente, affermato – si veda, tra le altre, Corte cost., Ord., 29 maggio 2013, n. 112 – che
l’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), invocato, in relazione al principio di uguaglianza, per la asserita lesione del principio di irretroattività delle disposizioni tributarie e di non prorogabilità dei termini di prescrizione e decadenza, e l’art. 6, comma 2, della stessa legge, richiamato in ordine alla violazione dell’art. 97 Cost., non possono essere assunti quale parametro di legittimità costituzionale, in quanto hanno rango di legge ordinaria e non costituiscono, neppure come norme interposte, parametro idoneo a fondare il giudizio di legittimità costituzionale di leggi statali (ex multis, sentenza n. 247 del 2011).
Orbene, si diceva che l’emorragia è ben lungi dall’arrestarsi. Ed infatti, con il disegno di legge di stabilità 2015 viene abolita la riduzione della aliquota Irap del 3,5% riportandola al 3,9% (dal 1,9% al 1,7% per l’agricoltura) dopo che nel 2014 si era realizzata la riduzione del 10% dell’imposta regionale. Ma non solo, sempre nel disegno di legge viene precisato che tale norma, valevole già per il 2014, spiegherebbe i propri effetti già con riferimento agli acconti per il 2014 calcolati sulla base imponibile 2013.
Si è riproposto quanto già avvenuto in passato con norme che violavano l’art. 3 dello statuto sotto due aspetti: l’immediata applicazione e l’effetto retroattivo sul calcolo degli acconti che andavano rideterminati in funzione della nuova disposizione già retroattiva: retroattività della retroattività.
Anche l’aumento della tassazione dei redditi di capitale per gli enti non commerciali che fino ad ora erano tassati solo sul 5% (come i soggetti Ires) mentre ora saranno imponibili per il 77,74% assimilando quindi la tassazione degli utili, alle persone fisiche, avrà effetto al 1° gennaio 2014.
Conseguentemente: legittimo affidamento e irretroattività risulterebbero ulteriormente irrimediabilmente e insanabilmente compromessi con buona pace della “collina della Pnice”.
Penso che il vero problema del diritto italiano sia l’eccessivo formalismo, non la retroattività che spesso è semplicemente applicazione immediata alle operazioni in corso.
Le formalità sono garanzie, è vero, ma sono anche strumenti di abuso.
Il diritto vero, completo è vivo e dinamico, include la sanzione dell’abuso, o l’equity oltre la common law. Troppo formalismo equivale alla legalizzazione degli abusi, crea un sistema giuridico troppo complicato, favorisce le cause, fa aumentare il numero degli operatori legali, allunga i processi e rende il risultato finale più aleatorio.
sulla Forma lascio a te la palla che ne sai molto.. invece sulla Sostanza : Irap era stata ridotta questa estate al 3,5% e quindi DI FATTO MAI usufruita dalle imprese.. nel 2014 le imprese pagheranno il 3,9% ma al Netto del Costo del Lavoro (e senza filtri tra le diverse imprese cioè a pioggia anche x ragioni Elettorali = stessa logica degli 80 euro o dell’Imu prima casa del Berlusca).. cioè mediamente meno del 3,5% con il Personale Imponibile come era due mesi fa.. per quel che riguarda gli Enti Non Commerciali e l’imposta sulle Rendite Finanziarie i casi sono due : o non sai che cosa DI FATTO c’è troppo spesso dietro questi enti oppure sei un bel furbetto.. PS: ma soprattutto ricordati del concetto di cui già ti scrissi nel precedente articolo sui Fondi Pensione : la Patrimonialona da 200 mld o la paghiamo (il SOLO Ceto Medio of course) a Rate con vari nomi oppure in un botto Unificato.. tertium non datur..
Caro Piero scusami per il ritardo. Non capisco. Non ti piace la Forma? Vengo alla sostanza. A maggio ci è stato detto che l’IRAP per il 2014 avrebbe avuto una riduzione dell’aliquota del 10%. Giusto? Mi sembra di si. Ora ci viene detto che poichè dal 2015 ci sarà una riduzione dell’IRAP quella del 2014 me la rimangio con effetto dal 2014… Coerente? Quanto agli Enti non commerciali cui si applica l’aumento essa riguarda anche le casse di previdenza private il cui “capitale” è dato dai versamenti di tutti gli iscritti e che servono a garantire una misera pensione rispetto agli esosi contributi versati. Ti sembra corretto che con una legge che entrerà in vigore alla fine di quest’anno si stabiliscano retroattivamente norme che incidono sulla pensione futura dei cittadini già a partire dal 1° gennaio 2014? fammi capire?
Caro Henri, non hai torto ma la questione non è quella. Nello scritto si vuole dare risalto alla impossibilità per chi deve programmare di agire a bocce ferme. Uno Stato civile non potrebbe agire retroattivamente ma solo per il futuro. Ho fatto riferimento ad esempio al Nuovo redditometro il cui iter è stato completato solo nel 2012 ma si applica già all’anno 2009 … Qui il formalismo non c’entra. E’ tutta sostanza. Nel 2009 nessuno poteva immaginare che nel 2012 gli avrebbero cambiato le regole del gioco ma a valere da tre anni prima …
Sempre pe Piero … al di là del furbetto … che proprio non mi appartiene per carattere … non ho mai scritto un articolo sui Fondi Pensione che io ricordi perlomeno