Cip6 Bye Bye?
Il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, ha firmato il decreto che, in applicazione della legge Sviluppo, fissa i criteri per la risoluzione anticipata volontaria delle convenzioni Cip6. Si tratta della famigerara delibera del Cipe che, nel 1992, definì un ricco sistema di incentivi a favore delle fonti rinnovabili “e assimilate“, categoria entro cui col tempo è entrata praticamente qualunque cosa. La vicenda del Cip6 – e le ragioni per cui esso è presto diventato uno scandalo, ma in verità lo era fin dall’inizio – è ben raccontata in questo dossier dei Verdi (al netto di alcuni toni, ma depurato dall’attualità è un lavoro ben fatto), mentre dati interessanti sulla dimensione industriale e finanziaria del Cip6 si trovano in questo dossier della Camera (che si basa largamente sui risultati di un’indagine conoscitiva della Commissione Attività produttive della Camera, condotta nel 2003 sotto la presidenza di Bruno Tabacci) e in questo documento dell’Autorità per l’energia. Dopo anni di tira e molla, il decreto Scajola finalmente individua un percorso ragionevole per chiudere questa brutta parentesi. Forse.
Il problema da affrontare era duplice. Da un lato, ovviamente, il Cip6 rappresenta una fetta non irrilevante della bolletta elettrica che tutti i consumatori pagano, e al suo interno stanno impianti inquinanti e costosissimi che non avrebbero mai dovuto essere realizzati, così come impianti che invece sarebbero stati redditivi comunque e quindi non si capisce perché dovessero essere sussidiati. Insomma: dalle fonti verdi agli scarti di raffineria, con tutto quello che ci sta in mezzo. Non solo: la bonanza è andata ben oltre le intenzioni iniziali, ed è durata fino a pochi anni fa. Quindi, dice la logica, prima e più duramente la si chiude, meglio è.
Però. Però, come sempre in questi casi, bisogna andarci cauti. Perché comunque lo Stato si è preso un impegno e non è che possa bellamente ignorarlo. Alcune imprese hanno fatto investimenti sulla base dell’aspettativa che lo Stato li avrebbe remunerati. Senza incentivi, avrebbero messo i loro soldi altrove. Dare un taglio netto era quindi improponibile, come abbiamo scritto a suo tempo. La credibilità del sistema paese è un bene altrettanto importante dell’equità delle nostre bollette. Per quanto fosse giusto e necessario spingere verso una risoluzione – come ha fatto l’Autorità per l’energia, con alterni successi – non si poteva procedere con l’accetta. Anche a prescindere dalle questioni strettamente legali, intendo.
Le ragioni del ministro sono spiegate in una nota del Mse. E’ difficile valutare il provvedimento, anche perché – come sempre – per capirne bene gli effetti bisognerà vederlo in atto. In questi casi, comunque, non esistono soluzioni soddisfacenti. Soddisfacente sarebbe stato non avere il Cip6: i cocci incollati sono e restano cocci incollati. Dunque, esistono solo soluzioni possibili. Se Scajola ne ha trovato una – riuscendo a distribuire equamente l’insoddisfazione tra gli attori interessati – ha reso al paese un servizio importante. Purché alla liquidazione subito – che va bene, se è un modo di chiudere la saracinesca – non segua un nuovo e peggiore sistema di incentivi, come ha evidenziato un confidente di Chicago-blog molto informato dei fatti.