19
Set
2009

Ciao Irving, un grande che se ne va

A 89 anni è morto Irving Kristol. Sicuramente, uno dei più grandi intellettuali sociali americani del secolo scorso. Un intellettuale deliberatamente e programmaticamente non-accademico, in costante polemica con l’accademia liberal e neoliberal, della quale nei decenni divenne una bestia nera. Un intellettuale costantemente capace di tenersi lontano anche da affiliazioni troppo limitanti alla politique politicienne. Eppure, con riviste come The Public Interest fondata nel 1965, e poi nei decennmi Commentary, Encounter, The Reporter e The National Interest, riuscì a scuotere in profondità i più radicati luoghi comuni dell’America politica. La sua reazione “conti alla mano” alle conseguenze dell’ondata neostatalista della great Society johnsoniana, sviluppata con un concretismo che in Italia si direbbe salveminiano visto che da giovane Kristol era stato di sinistra e anzi di sinistra estrema – trotskysta – finì per diventare negli anni tenace battaglia di smascheramento della triade “Stato nell’economia”, “permissivismo nella cultura”, “arrendismo in politica estera”. Il reaganismo non sarebbe mai esistito, senza Kristol e le sue riviste che, con poche decine di migliaia di copie – The Public Interest iniziò con 10mila dollari di capitale – gettarono i semi di quello che divenne poi il movimento neo conservative. Che ha sbaragliato i democratici da Carter in avanti, fino a Bush figlio e alla sua mesta parabola. A Kristol non piacevano le etichette, come trovate conferma in questo scritto – ripubblicato sul Weekly Standard diretto da suo figlio, Bill  – in cui espone con grande onestà il coacervo di filoni diversi confluiti nella definizione di neo-con. “Dopo che mi han dato nel neomarxista e neokeynesiano, neomaoista e neotrotskysta, alla fine sarò solo neo-trattino-nulla”, dice. Non è così, non sarà mai così. Il suo nome resterà per sempre sulle labbra di coloro che si battono per il mercato, per la libertà, per i valori dell’individuo incarnati nella cultura occidentale. Ciao, Irving.

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1 Response

  1. Dopo l’elogio funebre di un neocon ovvero di un ex keynesiano, ex maoista, ex, marxista, ex trozkista passato a destra (vabbè che da noi la cosa ormai non dest(r)a più clamore non da un quindicennio, ma da quasi un secolo!, però non esageriamo con gli elogi a vanvera!), che ha promosso e difeso l’aumento del debito pubblico e del welfare state, delle spese militari dall’epoca reaganiana in poi sino a Obama come cosa buona giusta (alla pari delle guerre per il mondo), che ha sempre posto la sicurezza nazionale, e il motto Dio-Patria famiglia e proibizionismo nell’agenda statale pubblica, finire l’articolo con l’affermazione “Il suo nome resterà per sempre sulle labbra di coloro che si battono per il mercato, per la libertà, per i valori dell’individuo incarnati nella cultura occidentale” ha un qualche cosa o di ironicamente surreale e beffardo o di contradditorio.
    A meno di non credere seriamente che il Keynesismo welfare to warfare sia cosa buona e giusta per i contribuenti…
    Io non lo penso per 2 milioni di buoni motivi, anche guardando l’attuale deficit americano e i recenti eventi di Washington D.C.
    Ricordo infine che Barry Goldwater ha fatto molto di più di molti sedicenti neocon, per rilanciare l’alleanza conservatrice fiscale e libertaria, vincente con Reagan alle elezioni, più di tali “intellighenzie mastelliane” della spesa pubblica bipartisan americana parassitarie ad ogni cambio di presidenza attorno al vincente di turno.
    Saluti LucaF.

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