27
Giu
2011

Chicago-blog alla maturità. Il tema tecnico-scientifico

Le firme di Chicago-blog scrivono il proprio tema della maturità. Oggi Antonio Sileo svolge la traccia di ambito tecnico-scientifico.  Qui (PDF) la traccia.  Qui le puntate precedenti.

Enrico Fermi, “il Papa”. Questo era il soprannome di Fermi nella scherzosa terminologia, di ispirazione ecclesiastica, che si erano dati i “ragazzi di via Panisperna”, di cui proprio il futuro premio Nobel era il capo.

Ma chi era Enrico Fermi? Be’, indubbiamente un genio, come avranno sicuramente pensato, o solo sospettato, i professori della commissione della Scuola Normale Superiore di Pisa esaminando l’elaborato per l’ammissione che andava ben al di là delle possibilità di un studente, pur molto dotato. E ancor prima i genitori quando si appassionò alla fisica leggendo i due volumi di un trattato di quasi 900 pagine di fisica-matematica, acquistato da una bancarella del mercatino di Campo dei Fiori, scritto da un gesuita interamente in latino e, da allora, testi universitari di fisica e matematica procurati da un ingegnere amico di famiglia.

Era arrivato in università a 17 anni e nei corsi precede i professori studiando le teorie più nuove, come la meccanica analitica, tanto che dopo soli due anni sono gli stessi docenti ad invitarlo ad illustrare loro gli sviluppi della meccanica quantistica e della relatività.
Le tappe della carriera universitaria sono bruciate da Fermi come quelle scolastiche, e a venticinque anni vince il primo concorso a cattedra di fisica teorica a Roma.

Nell’istituto di via Panisperna, quindi, Fermi era già professore e sicuramente, quello che ora si chiamerebbe, un team leader ma, grazie anche alla sua infallibilità (da cui il nomignolo di papa), Fermi e gli altri componenti del gruppo di ricerca rappresentavano un esempio eccellente e allo stesso tempo unico di quelle che si chiamavano “scuole”.

Una squadra molto affiatata che permise all’Italia di recuperare gran parte del ritardo in quella materia nuova che era la fisica teorica della quale Fermi, ancora da studente, fu il primo rappresentante. Prima gli studiosi di fisica erano perlopiù degli sperimentatori, che non conoscevano in profondità le teorie correnti, mentre la teoria classica nelle sue forme più elaborate, come la meccanica analitica o la teoria della relatività, era coltivata principalmente da persone con interessi soprattutto matematici che però non potevano essere molto ricettivi a quella miscela ibrida di teoria e di fatti sperimentali che era la nuova fisica quantistica.

Un’epoca pioneristica dove non servivano ancora grandi laboratori o enormi acceleratori, e naturalmente ingenti fondi, e nella quale Fermi poteva far valere la sua grandezza di fisico teorico, ma anche di sperimentatore e di ingegnere, come, non di rado, abbiamo visto in TV in film, documentari e fiction. In quelle immagini “il Papa” appare – lui che sostanzialmente fu un autodidatta – come un maestro con un grande carisma e una capacità di coinvolgimento fuori dal comune: pranzi, caffè, serate, gite e vacanze insieme, sfide nel calcolo e scherzi. Come molte volte hanno ricordato i componenti del gruppo, Franco Rasetti, Emilio Segrè ed Edoardo Amaldi. L’ultimo a farne parte fu Bruno Pontecorvo, fratello del regista Gillo, unico caso di fuga verso Est, in Unione Sovietica. Vi era anche Ettore Majorana, detto il Grande Inquisitore per il suo spiccato senso critico, ritornato alle cronache proprio nei giorni scorsi per la riapertura delle indagini sulla sua scomparsa. Il solo del gruppo che potesse confrontarsi con Fermi per lo straordinario intuito nell’analisi teorica, e che addirittura lo superva nel calcolo per la sua eccezionale capacità mnemonica.

E proprio la bravura di Fermi come insegnante e guida ha permesso che gli effetti della sua azione siano andati ben oltre l’abbandono dell’Italia e ben al di là della sua morte, continuando a operare quasi fino ad oggi attraverso i suoi allievi, grazie a una mentalità, un modo di operare, un ambiente, una tradizione che egli aveva creato.
Questo talento Fermi lo esporto e lo (di)mostrò negli Stati Uniti, formando équipe affiatate alla Columbia University, dove arrivò direttamente da Stoccolma dopo aver ritirato il Nobel, a Chicago, a Los Alamos e, infine, di nuovo a Chicago.

Proprio in laboratorio specificatamente allestito presso l’Università Chicago progettò e guidò la costruzione della pila (il primo reattore) nucleare a fissione, che produsse la prima reazione nucleare a catena controllata. Subito dopo si trasferì nel centro ultrasegreto di Los Alamos, per partecipare, come direttore tecnico ma senza funzioni specifiche, quindi non a capo ma consulente dei vari gruppi di ricerca, al Progetto Manhattan, che portò alla realizzazione della bomba atomica.

Qui, nel gruppo più importante che sia mai esistito in tutta la storia della scienza, Fermi si confrontò e collaborò con i marziani ungheresi, così detti per le loro capacità, come Leo Szilard del cui aiuto già si era avvalso per studiare un metodo che rendesse più efficaci i reattori nucleari.

E fu proprio Szilard, che dopo essersi adoperarono per convincere Albert Einstein a firmare una lettera per convincere il presidente Franklin Delano Roosevelt ad erogare fondi per costruire una bomba nucleare in modo da prevenire le ricerche dei Tedeschi, implorò il Presidente affinché non si sganciassero le bombe sui centri abitati.
Fermi, invece, insieme al coordinatore del Progetto Manhattan, Robert Oppenheimer non si oppose all’utilizzo reale delle bombe, ammettendo di non poter fornire nessuna dimostrazione della loro potenza distruttiva tanto efficace da far terminare la guerra.
Su questa scelta credo sia evidente come noi non possiamo formulare alcun giudizio, resta però il fatto che di questo vizio di origine l’energia nucleare ne ha pagato per molto tempo le conseguenze in termini di accettazione presso l’opinione pubblica.

Ma, fermo restando il tremendo ruolo che la Scienza può avere nelle cose umane, una grande parte della responsabilità dei suoi utilizzi afferisce alla politica, nel male e nel bene. Circa quest’ultimo, per esempio, se per ben due volte l’Italia ha rifiutato il ricorso alla fissione nucleare per produrre energia elettrica – confermando appieno che nessuno è profeta in patria – credo lo si debba prima di tutto, e in grandissima parte, alla politica.

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1 Response

  1. Grazie per il ricordo di un italiano esemplare come Enrico Fermi, quando si parla di fuga dei cervelli bisognerebbe innanzitutto citare lui, che emigrò per le leggi razziali che colpirono la moglie e molti ricercatori del suo gruppo di ricerca, ma anche per l’atavica mancanza di fondi e di vero appoggio politico al mondo della ricerca in italia.
    Ricordando Fermi sembra incredibile come in questo dibattito sul nucleare appena passato (se c’è mai stato) anzichè portare piccoli scacchisti in TV (nel famigerato Forum nucleare) avessimo dato ascolto, non a nani e ballerine ma ai nostri eminenti scienziati, premi nobel, dirigenti di ricerca, comparsi solo come “cervelloni” in rare trasmissioni elettorali.

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