Cernobbio, che cosa attendersi
Tradizionalmente, la tre giorni di Cernobbio nel primo fine settimana di settembre è l’occasione per dare il la alla ripresa del confronto tra gli attori della politica economica, imprese e sindacati. Mi limito a segnalare qui, come dati di partenza, l’aggiornamento ultimo effettuato da Barry Eichengreen e Kevin O’Rourke sul confronto tra l’attuale crisi mondiale e quella del 1929, in termini di produzione mondiale e dei maggiori paesi sia sviluppati sia emergenti, di andamento dei mercati finanziari e del commercio mondiale. In sintesi, la caduta del commercio mondiale è maggiora ora che allora, come prodotto la caduta è del tutto analoga, mentre i mercati finanziari mondiali hanno perso a oggi – malgrado il rally da inizio marzo recentemente in via di attenuazione – molto ma molto più che nel ’29. Se ci si ferma al mercato finanziario americano, lo S%P500 a parità di durata temporale della crisi sta più su oggi che nell’equivalente periodo post 29, ma la differenza – e il contesto complessivo del mercato USA – non è certo tale da poter far pensare a nessuno che davvero stia risorgendo il sole. Sono davvero curioso di vedere se a Cernobbio prevarrà l’ottimismo a sfida di questi dati incontestabili, o se al contrario la ripresa del confronto metterà al centro qualche grano di realismo. Nel qual caso, bisognerebbe pensare a qualche misura strutturale.È ovvio che Giulio Tremonti, che chiuderà i lavori domenica, lanciando il tema della compartecipazione su cui ha già ottimamente scritto Alberto Mingardi, ha scientemente messo in difficoltà Confindustria. La base confindustriale non può ritenere che coi chiari di luna attuale il problema numero uno sia la compartecipazione dei dipendenti agli utili – quali? – d’impresa. In più, Tremonti lo ha fatto sapendo bene che, al contempo, in vista dei nuovi contratti – su meccanici, alimentaristi e chimici i primi rounds di prova del salario di produttività secondo livello non promettono al momento nulla di buono – nonché in previsione delle tensioni per l’esaurimento delle prime 52 settimane di CIG, gli imprenditori chiedono contemporaneamente alla Marcegaglia di non forzare nei confronti della CGIL, perché non vogliono proprio esporsi ai suoi scioperi, con tutti i guai con i quali sono alle prese in azienda.
Ed è proprio con Epifani, invece, che la Marcegaglia si troverà a confronto diretto a Cernobbio, come ultimo atto del programma prima delle conclusioni affidate a Tremonti. Il quale è su una posizione a propria volta diversa da Sacconi: il ministro dell’Economia è andato di persona all’ultimo appuntamento precongressuale della CGIL e ci tiene a proporsi come “attento a sinistra” in nome della coesione politica e sociale; il ministro del Welfare non nasconde di preferire che si vada avanti senza la CGIL, finché questa non si cosparga di polvere il capo. Poiché in CGIL si è manifestata un’ala di dirigenti che vorrebbe evitare l’isolamento ai tavoli conseguente a un incaponimento del no pregiudiziale tipo Fiom, è evidente che Confindustria e il governo, a seconda di come a Cernobbio moduleranno aperture o chiusure a Epifani, si candidano anche a dare o a negare una mano alla tesi che in CGIL si definisce più “riformista”.
Personalmente, non mi spiacerebbe che Confindustria facesse un bell’esempio tra la situazione italiana e quella francese. Oggi Laurence Parisot, presidente del Medéf che equivale alla nostra Confindustria, ha annunciato che malgrado la timida ripresa del Pil transalpino nel secondo trimestre 70 mila piccole e medie imprese francesi rischiano di chiudere. E dire che in Francia il governo ha annunciato sgravi fiscali alle imprese per quasi 12 miliardi di euro. Temo che Tremonti non sia proprio disposto, a sgravi fiscali aggiuntivi. La sua intenzione è dare massima disponibilità solo per l’estensione degli ammortizzatori in deroga. Per il resto, tra Tremonti-ter – di cui manca ancora la circolare applicativa per chiarire le categorie ATECO dei beni su cui investire per gli sgravi – moratoria di un anno sui prestiti e Fondo di Granzia alle PMI – 1,5 bn euro annunciati, in realtà la Corte dei Conti non ha ancora dato l’ok a poco più di 160 mio per il 2009 – il ministro dell’Economia ritiene di aver già fatto tutto il necessario, se non di più. Il ministro è prudente, non solo per contenere il deficit, ma anche considerando l’attuazione di alcuni degli strumenti varati. Per esempio, non c’è stata una gran corsa per attingere alle risorse messe a disposizione dalla Convenzione ABI-CDP dello scorso maggio. Furono stanziati 8bn euro – di cui 3 immediatamente accessibili – come plafond per il finanziamento delle PMI, messi a disposizione delle banche da Cassa Depositi e Prestiti. Ma le prime adesioni alla Convenzione sono solo di queste ultime settimane, e complessivamente le banche che hanno aderito non vanno oltre un ristretto elenco: UBI Banca, Unicredit, Credito Valtellinese, Credito Sportivo, ICCREA. Neanche il 30% dei 3 miliardi a disposizione risulta sin qui erogato. Quanto alla Convenzione ABI-SACE per il rilascio di garanzie volte ad agevolare lo smobilizzo di crediti vantati dalle imprese verso la Pubblica Amministrazione, l’attuazione dell’accordo prevedeva convenzioni tra la SACE e le singole banche. Ma, a oggi, non è ancora stata sottoscritta alcuna convenzione. Neanche una.
Si può capire dunque la prudenza di Tremonti. Eppure essa, a mio giudizio, è sbagliata. La base industriale manifatturiera ed esportatrice italiana – finché non riparte il commercio estero – è esposta al rischio di una morìa a mio giudizio superiore a quella francese. Il problema non è più o tanto l’accesso al credito. Il problema è la base patrimoniale, cioè l’ipocapitalizzazione mediamente assai diffusa nella piccola impresa italiana: oggi, la espone in migliaia di casi all’ipotesi di interruzione della continuità aziendale. Nell’intervista a Panorama che trovate in edicola venerdì, Emma Marcegaglia rilancia l’idea di un fondo volto a ripatrimonializzare le PMI italiane. Qui e qui ce ne siamo già occupati: due mesi fa. È un’idea che ho ulteriormente affinato, ma ci tornerò nei prossimi giorni.
Fa pensare…