Centri per l’impiego
Fino a venti anni fa in Italia era inconcepibile che soggetti privati di occupassero della mediazione del lavoro. Oggi, pur avendo superato il monopolio pubblico, i Centri per l’Impiego occupano quasi 10.000 persone per svolgere un lavoro il cui risultato, relativamente alla mediazione del lavoro, appare molto modesto. Quali motivi impediscono di immaginare che lo Stato, un giorno, rinunci ad occuparsi di questa funzione?
La mediazione del lavoro rimase monopolio pubblico fino al 1997 quando la Corte di Giustizia Europea, con la sentenza “Job Centre”, dichiarò il monopolio pubblico del collocamento italiano incompatibile con il diritto comunitario della concorrenza. Tra il 1997 e il 2003 (riforma Biagi) si passò da un sistema caratterizzato da struttura statale e divieto di mediazione privata al decentramento della struttura (vennero attribuite alle Regioni le funzioni del mercato del lavoro, le quali le trasferirono alle Province) e all’apertura ai privati dell’attività di mediazione.
Oggi i Centri per l’Impiego, ex uffici di collocamento, svolgono un ruolo minimo nella mediazione tra la domanda e l’offerta di lavoro in Italia. Nel 2007 su 100 disoccupati che avevano trovato un lavoro nei 12 mesi precedenti la rilevazione, soltanto 3,7 di essi indicavano che questo risultato fosse dovuto ad un Centro per l’Impiego. Nel Regno Unito questo tasso è doppio e in Germania è pari al 13% come mostra la tabella seguente.
Nonostante il servizio che producono sia molto limitato, i Centri per l’Impiego continuano ad occupare circa 10.000 dipendenti (9.989 per la precisione nel 2007, secondo un approfondito rapporto Italialavoro.
Visto che il settore è già stato liberalizzato, perché mantenere la gestione diretta statale? Una possibilità sarebbe quella proposta in un articolo de La Voce: il servizio di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, analogamente a quanto succede nel Regno Unito, verrebbe completamente esternalizzato dai Centri per l’impiego ai numerosi fornitori privati, sulla base di gare di appalto o convenzioni. Una seconda possibilità, più radicale, è la seguente: perché non lasciare che l’attività di mediazione del lavoro venga svolta unicamente da soggetti privati? Una remora ad una mediazione del lavoro esclusivamente di mercato è costituita dal timore che le agenzie per il lavoro private non siano incentivate alla collocazione dei disoccupati più svantaggiati o meno qualificati. Una possibile soluzione vedrebbe lo Stato riconoscere una parte risorse che oggi spende per tenere in piedi i CPI ai datori di lavoro che decidano di assumere quelle tipologie “svantaggiate” di lavoratori.
In questa evoluzione percorsa dal sistema di collocamento pubblico, che oggi ha la forma dei Centri per l’Impiego, si osserva una dinamica molto comune: la parabola del dirigismo.
Alla base del dirigismo vi è di solito una buona intenzione, un’idea che sembra nobile, accettabile e condivisibile. “Il lavoro non è una merce” è il principio, sancito dalla Convenzione OIL del 1919, che ha giustificato per tanti anni il divieto alla mediazione di lavoro a titolo oneroso da parte di soggetti privati.
In Italia, un ulteriore fondamento al monopolio pubblico del collocamento venne fornito dall’articolo 4 della Costituzione:”La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. La legge 264 del 1949 esplicitò il dirigismo statale nell’intermediazione del lavoro prevedendo: il monopolio statale (la mediazione divenne funzione pubblica), divieto per i privati ad esercitare mediazione del lavoro e la preventiva autorizzazione statale nell’assunzione di un soggetto.
Aspetto importante del dirigismo è l’idea che un processo di allocazione economico possa essere sostituito da criteri burocratici che si pretende essere “oggettivi”. Per soddisfare un sedicente principio di uguaglianza nell’accedere al lavoro la legge del 1949 prevedeva la “richiesta numerica”: il datore di lavoro per assumere doveva rivolgersi ad un ufficio di collocamento e poteva indicare solo il numero di figure professionali di cui aveva bisogno, non poteva scegliere le persone singole. Lo scambio che avviene tra chi vende il proprio tempo e chi offre un salario venne sostituito dal burocrate che raccoglie offerte di lavoro e distribuisce lavoratori considerati come figure professionali uniformi e perfettamente sostituibili.
Questo processo burocratico può sembrare efficace nel breve periodo, ma è insostenibile nel lungo termine. La realtà è che nessun lavoratore può essere inquadrato in criteri oggettivi e che ognuno è diverso per talento, impegno e caratteristiche prettamente individuali. Chi paga per del lavoro vuole poter scegliere chi fa entrare nella propria azienda e se gli viene imposto un lavoratore che non ha scelto preferisce non assumere oppure ricorrere a qualche scappatoia. La conseguenza sono pratiche elusive per evitare questi obblighi che portano il sistema al fallimento.
Oggi ci troviamo di fronte ad un sistema misto nel quale si continua a mantenere in piedi una rete di Centri per l’Impiego che in parte sono chiamati a svolgere una funzione di intermediazione del lavoro che svolgono con pochi risultati. La conseguenza di un sistema simile è che i cittadini si ritrovano più poveri: devono pagare (con le imposte) quasi 10.000 dipendenti e quando hanno bisogno di cercare un’occupazione si rivolgono ad altri sistemi di mediazione – come mostra la tabella precedente – e spesso utilizzano ulteriori risorse e il proprio tempo per pagare una funzione che dovrebbero avere già pagato.
Se lo Stato deve occuparsi di sostenere l’impiego dei “lavoratori svantaggiati” meglio farebbe a riconoscere un sostegno economico ai datori di lavoro che impiegano tali categorie. Tenere aperti così tanti Centri per l’Impiego, retaggio di un monopolio pubblico, serve solo a risolvere il problema dell’impiego per i lavoratori dei Centri per l’Impiego stessi.
Fino ad un minuto fa (prima che commentassi) c’era scritto :
” Nessun commento”
Sarebbe stata in assoluto la miglior risposta a questa indecenza.
Mi permetto di far notare che né per Berlusconi, o per Bersani o Monti, un collocamento che “colloca” solo ed esclusivamente i propri dipendenti costituisce un problema.
Il punto peggiore è che i 10mila dipendenti in base ad un ipotesi che era circolata si potevano riqualificare presso l’INAIL come consulenti per la sicurezza sul lavoro, semplificando la vita a migliaia di imprese, ma il totem dell’inamovibilità dei dipendenti pubblici ha prevalso.
…sarebbe utile sapere, nella tabella, il significato della riga V.A.
Se fosse – come credo – valore assoluto sarebbe opportuno capire se tale valore corrisponde ad un campione o alla totalità dei casi trattati.
In questo secondo caso, pur restando critica l’efficienza del servizio, risulterebbe che il servizio italiano riesce a trattare più casi e, complessivamente, ne risolve una maggiore quantità in valore assoluto.
Resterebbe sempre il problema dell’efficienza, ma almeno diamo a Cesare ciò che è di Cesare …. se l’interpretazione è corretta: spesso i dati puri e le sole tabelle non bastano per dare giudizi 🙁
Ecco un altro settore dove la MALA privatizzazione ha fatto più danni che altro.
Non che le agenzie interinali siano meglio, anzi.
@pierino
Consulenti de che?
Anni fa abbiamo avuto bisogno di assumere una badante per mia madre.
La pratica presso il collocamento doveva essere fatta,mi sembra, entro cinque giorni dall’assunzione. Se non che, mia madre è morta dopo tre giorni.
Sono andato a regolarizzare la pratica dopo il funerale (anche se praticamente la signora – cui abbiamo regalato tre mesi di retribuzione e contribuzione- ha lavorato solo tre o quattro giorni) Non l’avessi mai fatto! Dopo un mese si sono presentate a casa tre (dico tre) Ispettrici (tutte meridionali) per fare una multa di cinquecento euro. Uno stillicidio durato almeno sei mesi, con almeno una decina di file all’Inps ed all’Ispettorato del Lavoro. Che mia madre sia morta in quei giorni, che io abbia comunque fatto fronte agli impegni di Legge non conta nulla. La multa me l’hanno fatta lo stesso. Affanculo! A voi e a questo paese di merda!
@Stefano
D’accordo che le tabelle non bastano per dare giudizi. Però mi sembra che il punto dell’articolo non abbia neppure bisogno di portarci in una infinita discussione su come interpretare i numeri. Vent’anni fa l’Italia pensava che le Poste e le Ferrovie e l’intermediazione del lavoro dovessero essere monopolio e funzioni pubbliche per “funzionare bene”. Oggi non riusciamo ad immaginarci un futuro in cui – per gestire l’intermediazione del lavoro – lo Stato smetta di assumere persone e lo lasci fare al privato?
@Emilio: perfettamente d’accordo con Lei, ciò non toglie che se i dati hanno il significato che le tabelle non riportano e che di può ipotizzare, gli equivalenti servizi di GB e Germania trattano meno casi di quelli trattati dai centri per l’impiego italiani anche se con maggiore efficacia.
Si nota in Italia (e quest’ultima campagna elettorale ne è l’ennesimo esempio, con stampa e tv molto più interessate all’audiance – ottimisticamente – o a portare avanti, dietro il paravento dei mezzi d’informazione, le loro battaglie di parte) una tendenza a non saper capire ciò che i numeri dicono ed a usarli invece per far loro dire cose che proprio non possono dire.
Iniziamo a pretendere precisione anche da chi porta avanti le nostre stesse idee.
Nello stesso rapporto citato come fonte leggiamo un dato che nell’articolo viene totalmente ignorato. Quanti sono i dipendenti dei servizi pubblici per l’impiego in Germania? E in Gran Bretagna?
Beh.. sono rispettivamente 74000 (settantaquattromila) e 67000 (sessantasettemila). Cioè circa sette volte (!) quelli italiani.
Ma forse dicendo le cose come stanno la solita invettiva contro lo Stato, i servizi pubblici, etc. sarebbe venuta meno bene.