24
Gen
2014

Casse previdenziali e INPS. Un caso: la cassa forense—di Francesco G. Capitani

Le pericolose convergenze tra Casse previdenziali dei professionisti e INPS

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Francesco G. Capitani.

Entro il prossimo 4 febbraio verrà emanato il regolamento attuativo dell’art. 21 della l. professionale n. 247 del 2012, che prevede la contestuale iscrizione alla Cassa Forense di ogni avvocato iscritto all’albo, a prescindere dai valori reddituali individuali, bensì imponendo un contributo minimo soggettivo in misura fissa. La norma interessa ben sessantamila legali non ancora iscritti alla Cassa, ed insiste su quanti fra i già iscritti – di cui ben quarantamila i morosi – continueranno a pagare la già elevata contribuzione minima, nonostante la fotografia reddituale forense descriva redditi in picchiata ed una forbice reddituale in deciso incremento. La modifica del 2012 pare tracciare un solco fra vecchie e nuove generazioni forensi, sulle quali gravano pesi previdenziali iniqui e, forse, insostenibili. Ma, soprattutto, la modifica interviene sottilmente ad arginare il grado di apertura concorrenziale nel settore forense.

In tempi di curva reddituale professionale a picco, la nuova normativa produce effetti pro ciclici, siccome impone nuovi e più gravosi obblighi previdenziali, in misura fissa, alla parte dell’avvocatura in difficoltà. Stante l’attuale formulazione della bozza di regolamento, in termini pratici potrà essere richiesta una contribuzione previdenziale di oltre 3500 euro a chi ne guadagna meno o poco più. Oltre alla incoerenza rispetto al principio costituzionale di capacità contributiva, la previsione regolamentare cozza con l’art. 21 della l. n. 247 del 2011, che esplicitamente – nella versione poi approvata – esclude il riferimento al reddito quale criterio per la verifica della continuità professionale. S’impone, di fatto, una sorte di gabella fissa d’ingresso per l’esercizio dell’attività professionale, con prevedibili effetti di disincentivo all’ingresso di nuovi operatori nel mercato legale, fra i più resistenti alle sollecitazioni comunitarie funzionali all’incremento del tasso di concorrenza. Di quanto sarà versato, inoltre, non potrà essere richiesta la restituzione, almeno in ogni caso. La normativa previdenziale attuale esclude un generale diritto di ripensamento. I professionisti più di vecchia data, avevano il diritto di ottenere il rimborso dei contributi previdenziali qualora non avessero maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione, e godevano di uno spazio ulteriore di scelta finanziaria personale, invece escluso per i nuovi iscritti. Questi costretti sin d’ora ad una contribuzione minima più alta – fino al doppio di quella richiesta nel 2009, fino al quadruplo di quella richiesta nel 1991 – e alla prese con un declino reddituale della categoria che pare inarrestabile per le fasce più basse, non hanno invece la generalizzata possibilità di sottrarre la contribuzione versata da Cassa Forense. Chi ha già dato, non può ripensarci, neanche nel caso in cui, morso dalla crisi, decida di avviare una diversa attività professionale, investendo altrove il montante previdenziale già versato. Dunque, per migliorare i conti del sistema di Cassa Forense – sulla cui sostenibilità nel medio/lungo termine è in atto un dibattito interno – non si è agito, in uscita, sulle riserve di privilegio previdenziale – il sistema di indicizzazione retributivo corretto – di cui gode la parte più anziana dell’avvocatura, la quale ha maturato redditi assai più alti nel corso della vita professionale, quando minore era il numero degli avvocati, a vigere erano ancora le tariffe le quali consentivano margini di lucro più rilevanti. Si è piuttosto optato, in entrata, per la previsione di un generale obbligo d’iscrizione e di versamento degli alti contributi da parte sia dei più giovani che di qualsiasi iscritto all’albo che voglia esercitare l’attività, nonostante maturi redditi bassi, anche pari a zero. Si è elusa insomma l’ipotesi di spalmatura del carico previdenziale fra vecchi e nuovi iscritti, che avrebbe quanto meno inoculato nel sistema dosi di solidarietà intergenerazionale.

In realtà, le ragioni dell’inasprimento previdenziale paiono riprodurre l’eco dello spirito protezionista di cui si alimentano le più autorevoli rappresentanze forensi. Infatti, la reazione degli alti piani dell’avvocatura all’introduzione del mercato libero dei corrispettivi – c.d. lenzuolate bersaniane -, in luogo delle più generose tariffe, non è stata quella di regolare il rapporto con il cliente in modo più sereno e trasparente – ad esempio chiedendo l’imposizione dell’obbligo del preventivo, stralciato dalla prima versione della l. n. 247. E’ stata, invece, quella di alzare il livello censuario sotto al quale la professione legale non è più praticabile, per gli obblighi previdenziali sopra previsti. L’effetto è presto detto: la riduzione imposta – c.d. bonifica degli albi – del numero dei legali a cui presumibilmente si assisterà consentirà il mantenimento di livelli di prezzi più alti rispetto a un mercato pienamente concorrenziale. Si tratta dunque del “colpo di coda dell’animale ferito”, la reazione dell’avvocatura protetta dalle insidie delle (timide) politiche di liberalizzazione. Due erano le alternative: aprire il settore forense a nuove soluzioni di gestione e di imprenditorialità – formule particolarmente appetibili di società interprofessionali ovvero avvicinamento alle nuove fonti di lucro legale o ancora il superamento delle esclusive notarili – oppure sbarrare la porta ai meno resistenti alla crisi, alzare le soglie reddituali di sopravvivenza nel mercato legale, sfoltire per atto d’imperio i ranghi e chiudere ogni spazio ad un reale rinnovamento della categoria. La prima scelta avrebbe imposto il superamento di un’intera rappresentanza forense, sulla cresta dell’onda da decenni e straordinariamente arroccata su vetuste logiche di corporazione. Più facile, quindi, seguire la seconda strada.

You may also like

Pensioni: NON sono in equilibrio, è un welfare NON per giovani, famiglie e poveri
La Mosca al naso e le riforme virtuali—di Gemma Mantovani
Pensioni, rimedi non ortodossi a 4 guai: troppa spesa sul Pil, il deficit Inps, pensionati poveri, giovani senza futuro
Volevo solo vendere la grattachecca—di Daniele Mandrioli

1 Response

  1. Piero

    Uniche due gestioni in attivo sono Dipendenti Privati e Precari (che non avranno mai pensione). Tutte le altre : Avvocati, Professionisti, Dirigenti Privati, Dirigenti Pubblici, Dipendenti Pubblici, Artigiani, Commercianti, Contadini, Preti => sono state ad una ad una spostate nell’Inps a carico delle prime due. Inoltre all’interno di ogni gestione c’è frattura enorme tra vecchie generazioni ormai con Privilegi Acquisiti ed Medio/Giovani che, a legge invariata, dovrebbero pagare x prox 30 anni in cambio di pensione se và bene ma probabilmente x molti di nulla. Quando Insostenibilità Finanziaria + Ringiovanimento del Corpo Elettorale avranno superato una certa soglia sarà Conflitto Generazionale (e quando le Paghette infra-famiglia x molti non saran + possibili). Sarà bruttissimo non solo Finanziariamente ma anche Umanamente xrchè spaccherà le famiglie.

Leave a Reply