10
Apr
2016

Caso Regeni: attenti alla Francia nella partita Italia-Egitto

La tensione tra Roma e il Cairo sale giorno dopo giorno. Sembra impenetrabile il muro delle autorità egiziane all’accesso per gli inquirenti italiani ai dati sensibili dell’inchiesta sull’assassinio e le torture di Giulio Regeni. Che cosa è in gioco nei rapporti italo-egiziani? Una grande partita economica, sin qui più importante per l’Egitto che per noi. Ma anche una forte partnership politica tra governo Renzi e presidente al Sisi. Se l’Italia congela le relazioni con l’Egitto, l’equilibrio può dunque cambiare: gli egiziani possono sostituirci innanzitutto coi francesi in alcune partite economiche, e le conseguenze politiche per l’Italia si rivelerebbero subito sul difficile fronte degli interventi per stabilizzare la Libia.

Qualche numero. L’Italia è il quarto partner commerciale mondiale per l’Egitto, con un commercio bilaterale che dai 5,2 miliardi di dollari (bel un miliardo l’anno di soli macchinari produttivi italiani per le imprese egiziane) era previsto raddoppiare nel giro del 2018. L’Eni è il secondo investitore più importante in Egitto nel settore petrolifero e del gas. Ogni anno, prima degli attacchi jihadisti ai complessi turistici a Sharm el Sheik e in Sinai, 6-700mila turisti italiani si recavano in Egitto.

Renzi fin dalle prime settimane in carica come premier, nel 2014 rivelò di non avere dubbi sul pieno sostegno italiano ad al Sisi, malgrado tutti i dubbi possibili sulla sua presa del potere contro il precedente leader Mohamed Morsi, espressione della Fratellanza Musulmana. Se la prima visita in Nordafrica di Renzi era stata a Tunisi, subito nell’estate 2014 era personalmente andato al Cairo da Abdel Fattah al Sisi. Per Renzi, al Sisi era un baluardo contro il propagarsi di Daesh in Libia a Ovest, nel Sinai a Est e nel deserto sahariano a Sud, ed era l’unico mediatore possibile della crisi di Gaza. E il regime di al Sisi aveva riservato a Renzi un’accoglienza calorosissima.

Quella dell’ENI in Egitto è storia che viene dal lontano, dal 1954, rafforzata sotto Nasser dagli scontri egiziani con gli USA e dal fallito intervento militare franco-britannico nel 1956, contro la nazionalizzazione del canale di Suez. Ma i rapporti in questi anni andavano a gonfie vele. Dopo la scoperta nel 2014 a opera dell’Eni nel bacino esplorativo egiziano di Zohr del maggior giacimento della storia del Mediterraneo, con un potenziale di risorse fino a 850 miliardi di metri cubi di gas (5,5 miliardi di barili di olio equivalente), nel 2015 l’estensione delle concessioni italiane è stato oggetto di trattative serrate. Il ministro del petrolio egiziano, Sherif Imail, e il primo ministro Ibrahim Mahlab avevano avuto ordine diretto da al Sisi di abbreviare i tempi per formalizzare i nuovi progetti italiani. Ne era scaturito un impegno a investimenti totali per 5 miliardi di dollari, finalizzati allo sviluppo di 200 milioni di barili di petrolio e circa 37 miliardi di metri cubi di gas. Formalizzato nell’estate 2015 alla presenza del premier Renzi.

Per avere un’idea del rilievo per l’Egitto di questi investimenti, l’Arabia Saudita del re Salman, prima dell’annuncio venerdì di un nuovo piano con al Sisi per un ponte in grado di attaversare il mar Rosso, aveva annunciato investimenti per 8 miliardi di dollari in 5 anni: non molto più dell’Italia. Anzi, meno. Perché durante l’EXPO di Milano, a quelli dell’ENI si erano aggiunti accordi di investimenti e lavori in Egitto per aziende italiane oltre l’ENI per altri 3,5 miliardi di dollari, sempre nel comparto energetico della ristrutturazione di impianti di raffinazione, centrali energetiche e pipeline: impegni sottoscritti da Edison,Technip Italia, Ansaldo Energia. E la missione italiana del MISE che era in corso quando fu interrotta proprio dall’assassinio di Giulio Regeni, preveda la firma di nuovi importanti accordi per il settore delle infrastrutture portuali, stradali e di comunicazione, si parlava di primari contratti per aziende italiane volte alla realizzazione di sei porti a Nord e Sud del nuovo Canale di Suez.

Anche nel settore bancario, il gruppo Intesa Sanpaolo, presente da anni in Egitto, intendeva rafforzare l’interscambio tra i due paesi offrendo servizi di consulenza e linee di credito a condizioni competitive a un gruppo selezionato di 300 aziende egiziane. E non è un mistero che nei momenti difficili di alcune trattative d’affari italo-egiziane una buona parola sia sempre stata messa da

Naguib Sawiris, l’imprenditore egiziano della minoranza copta cristiana che nelle tlc italiane ha investito molto negli anni con la sua Orascom, e che vanta un patrimonio che ne fa il secondo uomo d’affari privato egiziano al di fuori del complesso militar-industriale controllato dal regime attraverso le imprese pubbliche.

Chissà che non sia saggio chiedere a lui di svolgere un’azione di mediazione. Perché una cosa è sicura. La Francia è molto pronta ad approfittare di un congelamento delle relazioni italo-egiziane. Non ha solo fornito al regime di al Sisi le navi d’assalto anfibio classe Mistral promesse alla Russia e poi dirottate sul Cairo dopo le sanzioni a Mosca per il conflitto ucraino. Le aziende energetiche francesi scalpitano per erodere le concessioni attribuite all’ENI. Soprattutto, la Francia ha già fatto una scommessa politica diversa dalla nostra. Le forze speciali francesi sono attive in Libia al confine occidentale del paese, quello con l’Egitto dove per altro si collocano gli impianti petroliferi francesi, perché Parigi condivide l’interesse egiziano a realizzare una zona cuscinetto al suo confine libico, direttamente sotto il controllo di forse di sicurezza egizianie col sostegno francese, contro ogni infilitrazione jihadista e come segno che l’egemonia sunnita in medio oriente non è turca, ma egiziana. Fino ad oggi, l’Italia non aveva sposato questa soluzione, ma perseguiva l’accordo nazionale libico guardando a un nostro ruolo soprattutto sul confine orientale del paese, verso Tunisia e Algeria dove sono gli impianti ENI.

Lo scontro sulla tragica vicenda Regeni può dunque farci molto male sul terreno economico. E può portare alla brutale sostituzione da parte egiziana del ruolo politico sin qui dal Cairo riconosciuto innanzitutto a Roma, in Nordafrica e Medioriente, con una partnership invece francese.  Poiché l’Italia agisce per strappi, alternando il troppo poco e il troppo, l’essenziale è non dimenticarlo.

 

You may also like

Mille giorni di Renzi: il voto sulle banche è..
Sul commercio mondiale l’Italia sta facendo autogol
Uno Stato pazzo: persino contro i tornado la PA è divisa in lotte di potere
2 mesi di Buona Scuola: 85mila cattedre scoperte. E non è colpa solo del governo..

1 Response

Leave a Reply