Il caso Avastin/Lucentis approda alla Corte di giustizia europea
Due anni fa, l’Autorità garante della concorrenza italiana comminava a due case farmaceutiche una multa record di 180 milioni di euro. E’ la vicenda, divenuta nota per l’esemplarità della sanzione, del presunto accordo illecito tra Roche e Novartis per l’uso dei farmaci Avastin e Lucentis. Il caso ha avuto, sulla stampa e nell’opinione pubblica, tutti i cliché dell’apparente spregiudicatezza della ricerca del profitto sulla pelle dei pazienti, confermati in primo grado dal giudice amministrativo e rimbalzati anche nel circuito politico, con prese di posizione del ministero della salute e interventi legislativi specifici sull’uso off label dei farmaci.
Tuttavia, un esame approfondito della vicenda dal punto di vista regolatorio avrebbe fatto emergere più di un dubbio sul sistema di regolazione del settore farmaceutico, piuttosto che sulla condotta delle imprese coinvolte, come ipotizzato dall’Istituto Bruno Leoni nel paper «Caso Avastin/Lucentis. La regolazione del commercio dei farmaci, tra tutela della salute e vincoli di spesa».
La condotta censurata, ridotta in parole povere, riguarda la mancata richiesta di autorizzazione alla commercializzazione in ambito oftalmico del farmaco di gran lunga più conveniente tra i due, commercializzato come antitumorale ma usato off label per alcune patologie dell’occhio curate, a costi ben maggiori, dall’altro. Un atteggiamento forse indiziario di un’intesa tra le due società, o forse rispettoso delle regole sulla sicurezza terapeutica che non l’antitrust ma le competenti autorità di regolazione del settore farmaceutiche impongono alle imprese e certificano come tale, a seguito di complesse procedure di immissione in commercio. Di certo, un atteggiamento poco vantaggioso non tanto per i pazienti, quanto per la spesa sanitaria regionale, sempre più costretta al risparmio, anche forse a scapito della salute delle persone.
Il Consiglio di Stato sembra oggi nutrire dubbi simili, al punto da aver sottoposto alla Corte di giustizia dell’Unione europea alcune questioni pregiudiziali sull’interpretazione del diritto europeo che potrebbero portare a una diversa valutazione del caso rispetto a quella effettuata sia dall’AGCM che dal giudice amministrativo in primo grado.
Sono questioni simili a quelle avanzate proprio dall’Istituto Bruno Leoni, in particolare riguardo la definizione di mercato rilevante nel settore farmaceutico a prescindere dal contenuto delle autorizzazioni in commercio dei farmaci rilasciate dalle competenti autorità nazionale e europea; il peso dato all’uso off label dei farmaci nella definizione del mercato rilevante; la configurabilità quale condotta restrittiva della concorrenza di una condotta precauzionale circa la sicurezza e l’efficacia terapeutica di un farmaco.
Il rinvio alla Corte europea dei quesiti dimostra ancora una volta che il caso in questione non riguarda solo i bilanci di due grandi case farmaceutiche, ma rappresenta un caso di enorme rilevanza anche teorica per verificare l’efficacia della regolazione del settore farmaceutico, un settore fortemente regolato e vigilato su più livelli territoriali e purtuttavia, o forse anche a ragione di ciò, incerto, confuso e spaesato tra il dovere di sorveglianza sulla sicurezza dell’uso dei farmaci e la necessità di risparmio della spesa sanitaria pubblica, la quale ha rappresentato, in fondo, la miccia del caso in questione.