Carlo Nordio: la giustizia e il modo d’intenderla della magistratura
Di Pietro Di Muccio de Quattro
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su L’Opinione del 12 dicembre 2022.
Il nuovo ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha esordito con un encomiabile atto di riguardo verso il Parlamento. Ha comunicato in dettaglio al Senato ed alla Camera le riforme che il Governo intende apportare all’ordinamento giudiziario e ai codici. Contrariamente a certi suoi predecessori, i quali o esponevano fumisterie generali o proponevano minute variazioni, egli ha argomentato un corposo programma di modifiche idonee a raddrizzare le principali storture del sistema italiano.
La presa di posizione del ministro Nordio è stata subito giudicata secondo l’alternativa faziosa destra-sinistra, maggioranza-opposizione, garantismo-giustizialismo, come se non fosse interesse comune, interesse nazionale, una giustizia secondo diritto. Il programma di Nordio non è stato esaminato con serenità, concedendo al ministro almeno l’esimente della buona fede. Quelle cose, più o meno, le andava dicendo da un pezzo. Quella impostazione di massima era ben nota. Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, lo ha messo lì al ministero proprio perché Nordio la pensava così e dimostra di continuare a pensarla allo stesso modo. E vuole andare fino in fondo o dimettersi.
L’Italia è forse l’unico Paese dove, per indicare l’aspirazione ad una giustizia degna del nome, bisogna rafforzare il sostantivo con l’aggettivo: giustizia giusta. L’articolo 111 della Costituzione, introdotto soltanto nel 1999, è tutto dire, stabilisce con involontaria ironia che “la giurisdizione si attua mediante giusto processo regolato dalla legge”.
Agl’Italiani non basta la giustizia così com’è perché ne scorgono l’ingiustizia, non intesa come somma delle ingiustizie episodiche nei casi concreti, bensì come sistema con molte distorsioni che non fanno collimare perfettamente l’amministrazione della giustizia con un assetto liberale. È singolare e significativo che i giornali, ahimè, tra le tante complesse direttrici di riforma delineate dal ministro hanno focalizzato l’attenzione, e i titoli, sulle intercettazioni telefoniche, punto nodale della faziosità sparata con fughe di notizie penalmente rilevanti e irrilevanti, politicamente utili e inutili, semplicemente pettegole o pruriginose, una gogna mediatica irrogata alla faccia di qualsivoglia protezione costituzionale, concezione di riservatezza, codici deontologici, rispetto umano. Il giudicare in pubblica udienza è stato il passo gigantesco che seppellì l’obbrobrio del processo segreto. Ma l’investigazione, l’istruzione del processo, la formazione dell’accusa non devono squadernare i fatti di causa coram populo per scopi di parte che nulla hanno a che vedere con la sostanza del processo, con la dovuta cronaca e l’informazione corretta. Come pretende chi campa su un’equivoca concezione del potere della stampa e del suo esercizio a fini di lotta politica.
L’Associazione nazionale magistrati, parlando per bocca del segretario generale, non contesta, ovviamente, la legittimità di una riforma della giustizia ma è preoccupata dal quadro delle riforme preannunciate dal ministro Nordio. L’Anm, ovviamente, ha un qualificato diritto di parola sull’argomento. Tuttavia, esprime un giudizio più che opinabile allorché, nell’auspicare che non venga toccata, parla di “architettura costituzionale del potere giudiziario”, mentre per la Carta costituzionale “la magistratura costituisce un ordine autonomo” (articolo 104), non quindi un potere o organo di potere, neppure come Consiglio superiore della magistratura. Inoltre, altrettanto più che opinabile, è l’affermazione secondo cui “l’obbligatorietà dell’azione penale e l’unità delle carriere sono i due pilastri di questa architettura”. Detto sommessamente, i due “pilastri” possono sembrare tali se la magistratura viene male intesa come “potere” anziché bene intesa come “ordine”. E che i due pilastri non siano tali sembra dimostrato pure dal fatto che rappresentano una specialità italiana piuttosto che un carattere imprescindibile e connaturato alla vera giurisdizione in quanto tale. Tant’è che gli Stati dove impera per Costituzione l’habeas corpus, esempi terreni di giustizia liberale (in passato tentammo invano di imitarli con il codice Vassalli del 1989 e la riforma costituzionale del 1999), non conoscono né l’uno né l’altro “pilastro”.
Per una coincidenza non casuale, nel novembre scorso Carlo Nordio, inaugurando la nuova collana intitolata “Voltairiana”, ha dato alle stampe con l’Editore Liberilibri il libriccino “Giustizia” in cui espone i capisaldi della sua filosofia giudiziaria, sunteggiabili nella conclusione “Princìpi liberali per una riforma radicale”. Sarà la volta buona o prevarrà ancora la tirannia dello status quo?