Carburanti. Bye Bye Mr Prezzi
Non c’è dubbio: questo è il caso in cui ti si nota di più se non ci sei. Dopo la tonante intervista di domenica sul Sole 24 Ore, il Garante dei prezzi, Roberto Sambuco, oggi non ha “potuto” partecipare all’incontro presso il ministero dello Sviluppo economico con le compagnie petrolifere e le associazioni dei consumatori. Presenti il sottosegretario con delega all’energia, Stefano Saglia, il capo del dipartimento per l’impresa, Giuseppe Tripoli, e il capo del dipartimento per l’energia, Guido Bortoni. Al di là delle solite posizioni sbracalate dei consumatori, Saglia ha colto l’occasione per porre – correttamente – la questione del differenziale dei prezzi nell’ottica della concorrenza.
L’obiettivo è ambizioso:
ridurre nell’arco di tre anni il differenziale con l’Europa di 3-4 centesimi, che è diventato insopportabile. Non è un annuncio, ma un percorso fondato.
Saglia ha in mano diverse carte. Una è la proposta di riforma del mercato petrolifero che, però, appare inadeguata, perché pretende di ricalcare l’assetto del settore su quello di realtà strutturalmente diverse, cioè l’elettricità e il gas. L’altra è quella di una complessiva, e a lungo attesa, ristrutturazione della rete, che – basta guardare i numeri – è radicalmente diversa da quelle di altri paesi europei: abbiamo molti più distributori, con un erogato medio molto più basso e pochi o nessun profitto da prodotti non oil, oltre a una molto minore diffusione del self service (anche per pigrizia degli italiani, che preferiscono il servito).
Su questo terreno, purché sgombrato dalle stanche accuse di cartello, si è registrata una importante disponibilità dell’Unione petrolifera. Il presidente, Pasquale De Vita, ha parlato del taglio di 5-6.000 impianti su 22.450 (tutti i dati si trovano nel Data Book dell’Up). I tasselli per muovere in questa direzione, teoricamente condivisa, sono molti. Anzitutto c’è un problema regolatorio: turni e orari sono ancora soggetti a pesanti interferenze normative, e resistono sostanziali barriere all’ingresso sul mercato (l’ultima moda è quella di imporre l’obbligo di costosi, e land-intensive, impianti per i carburanti eco-compatibili in tutte le nuove stazioni). Poi c’è il tema del superamento dell’attuale rapporto tra gestori e compagnie, che determina un ircocervo in virtù del quale i gestori non sono né veri dipendenti, né veri autonomi. Infine – e questa è la richiesta esplicita e nuova dell’Up, a fronte di un’apertura non scontata – la riforma della rete va inquadrata nel campo più ampio dell’assetto dell’industria petrolifera nazionale. Si legge nella nota dell’associazione:
Il settore della raffinazionale nazionale al momento appare essere quello più in difficoltà con perdite che nel 2009 complessivamente a livello nazionale hanno superato il miliardo di euro.
Insomma: i petrolieri sono disposti a cedere sulla rete – nella misura in cui sono direttamente interessati dalle riforme – ma chiedono al governo di farsi carico delle conseguenze sociali di tale manovra (chiudere 5-6 mila impianti vuol dire lasciare a casa 5-6 mila gestori ed eventuali dipendenti), e di metterla a sistema con la crisi oggettiva che l’industria sta attraversando. Cioè, accantonare le polemiche sui presunti extraprofitti e gli atteggiamenti alla Robin Hood, e prendere di petto le esigenze di un settore che, comunque, è cruciale rispetto al paese. Il che non significa accettare tutte le richieste dei petrolieri, ma almeno considerarle, capirle e trovare un arrangiamento. Mettendo da parte le pretese posticce e le proposte irricevibili, oltre che incompatibili con norme nazionali e comunitarie.
E qui si arriva a Sambuco: a chi giova che un funzionario del ministero, tra l’altro smentendo i propositi dello stesso governo, se ne vada bel bello sul giornale di Confindustria a declamare propositi che tradiscono solo una cultura, teoricamente tramontata, dello Stato imprenditore? Nella sua intervista Sambuco dice alcune cose giuste – su turni e orari e sui prodotti non oil – ma calca la mano sull’impossibile. Di fatto ha in mente un regime di prezzi amministrati, indicizzato ai livelli europei, che prescinde totalmente dalla dimensione concorrenziale del business. Non è fattibile e non è auspicabile. Punto.
Secondo me hanno solo paura della concorrenza dei distributori low cost, che stanno facendo man bassa. Chiedere una riduzione degli impianti significa per loro una riduzione delle perdite nella distribuzione.