17
Ago
2015

Car sharing “bene comune”: non c’è limite ai luoghi comuni!—di Gemma Mantovani

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Gemma Mantovani.

Grazie alla lettura del libro I beni comuni oltre i luoghi comuni ci si può accorgere di come la retorica benecomunista pervada la nostra vita di tutti i giorni. La polemica sul car sharing a Milano credo ne sia un esempio. Il comune di Milano nel 2013 decide di selezionare soggetti interessati a svolgere il servizio di car sharing.

Già nel 2003 il car sharing a Milano veniva lanciato da una società pubblica di Atm, la GuidaMi. Due anni prima era invece apparsa la società Car Sharing Italia di Legambiente, operante sempre a Milano, poi fusasi proprio con GuidaMi. Quest’ultima ora non è più competitiva e al passo coi tempi, tanto che, pochi mesi fa, Atm ne ha messo in vendita il 51% delle quote. L’esperimento pubblico non ha funzionato, perché oggi gli operatori privati riescono a fare meglio. Una delle società individuate in base all’avviso pubblico del 2013, proprio in questi giorni, con i conti di due anni alla mano, fa presente che in certe zone periferiche della città non può operare se non con un aumento della tariffa. Apriti cielo. Il comune, tramite l’assessore di riferimento, parla addirittura di “discriminazione” dei cittadini delle periferie nei confronti di quelli del centro. E siamo alle solite: il car sharing è bene comune, diritto dell’umanità, ancora mancava nella lunga lista in espansione dei beni comuni. La totale mancanza di fondate ragioni economico-giuridiche da parte del comune rispetto alla legittimissima decisione della società privata, ha fatto scattare nell’amministrazione cittadina il contrattacco con l’arma del “spariamola grossa”: addirittura si parla del car sharing come “servizio universale” : lo sono, per intenderci, energia elettrica e telecomunicazioni e infatti nell’avviso di bando del 2013 il comune individua il car sharing correttamente come servizio economico di interesse pubblico complementare al servizio di trasporto pubblico locale.

Ancora, l’amministrazione, ma questa volta attraverso un altro assessore, più accorto ed evidentemente a conoscenza della materia, corregge un po’ il tiro e dice “beh, sì, sull’aumento della tariffa, in quel caso, da parte della società privata non possiamo fare nulla in termini legali, ma possiamo fare moral suasion”. Anche questa posizione, seppur più ragionevole e aderente alla realtà, lascia comunque stupefatti: ma non sarà che forse saranno i cittadini liberi ed informati a decidere se rimanere con quella società o avvalersi di un’altra? E francamente che l’ente pubblico ed i suoi rappresentanti perdano tempo prezioso per fare cambiare idea ad un imprenditore specializzato ed esperto che in due anni ha fatto e strafatto i conti e che li deve far quadrare è a dir poco grottesco… Da che pulpito di inefficienze e sprechi atavici viene la predica!

Perciò mi sembra che per il comune le prediche/moral suasion stanno a zero. Le ragioni economico-giuridiche, pure. Rimane il solo “diritto” del comune a continuare a ricevere il voto dei cittadini delle periferie. Ma per quel “diritto” non serve scomodare le discriminazioni, i beni comuni e i servizi universali: i cittadini delle periferie di Milano sono tutto fuorché sprovveduti e nel mercato troveranno le risposte adeguate alle loro richieste, anche se alcuni “discriminati” pare abbiano deciso di organizzare un flash mob contro la società di car sharing. Viene da chiedersi come mai in 10 anni di monopolio pubblico del car sharing a Milano, ben più discriminatorio in fatto di costi ed efficienza del servizio per gli utenti, nessuno mai sia “sceso in piazza”.

Non si riesce a capire, o forse si capisce benissimo, come recita un, questo sì, universale adagio popolare: “Quando ti dicono che non è una questione di soldi ma di principio, di una cosa puoi stare certo, che è proprio una questione di soldi”. E aggiungerei, in questo caso, anche di voti.

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3 Responses

  1. Emiliano Pepa

    Signori miei benvenuti a conoscenza dello sport nazionale dei politicanti italioti, inventarsi un bisogno con vincolo redistributivo, poichè dichiarato (da loro) “servizio pubblico”, farlo passare naturalmente come possibile solo a fallimento di mercato, mettere su un carrozzone parapubblico di “amici, compagnucci, nani e ballerine” per farlo realizzare mooolto inefficientemente e finanziare il tutto ovviamente con l’INDEBITATI, TASSA E SPENDI.
    Vedrete … tra un pò diventeranno servizi fondamentali e pubblici per i cittadini pure i call-center (Le regioni si stanno attrezzando da un pò in questo senso), e poi l’assistenza e l’accoglienza … naturalmente … sarà la sesta greppia, dopo la sanità, le municipalizzate, la formazione, le opere pubbliche edili e le pensioni.
    Ah … non serve naturalmente far notare che i carrozzoni battezzati politicamente che si occupano di questi “importantissimi servizi”, (che non possiamo naturlmente lasciare all’autoorganizzazione dei singoli individui …. traduzione più corretta di mercato) hanno una conduzione tutt’altro che razionale e corretta. Essi impongono un monopolio, estromettendo imprenditori veri che vorrebbero fare concorrenza, con tanti saluti alla qualità ed alla varietà del servizio e logicamente diventano il feudo clientelare dell’aspirante di turno alla rielezione, che può infilare dentro il carrozzone a prendere lauti stipendi amici sedicenti dirigenti, clientes votanti, parenti e amichette/i e “prenditori orientati” .
    Voglio vedere quando metteranno una bella legge che proclami nulle le elezioni a qualsiasi livello sotto il 50% dei votanti con decandenza immediata di tutti gli eletti e nominati anche in ruoli dirigenziali, negli enti e nelle società partecipate …. e se ne riparla tra 5 anni.
    Ricordate che le burocrazie politicanti non si autoriformano, bisogna farle seccare, speriamo solo di avere il tempo necessario.

  2. Cesare

    Anche per questi nuovi beni comuni qualcuno dovrà pagare: quindi nuove tasse e ulteriore perdita di libertà per il consumatore

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