Capodanno coi botti. Il debito esplode
La Banca d’Italia ha diffuso il dato (provvisorio) sul debito pubblico ad ottobre 2010: 1.867,4 mld. Ai primi di ottobre, il nostro modello stimava un debito per ottobre pari a 1.853,2 mld, ergo abbiamo sottostimato il debito di quasi 14 mld. Siamo sicuri che a tutti avrebbe fatto piacere se avessimo avuto ragione, ma il Leviatano ha vinto un’altra volta. Perché stiamo sistematicamente sottostimando la crescita del debito? E perché, probabilmente, a dicembre abbiamo sovrastimato la sua riduzione dovuta alle abituali operazioni di buyback del Tesoro? Il nostro modello si basa, necessariamente, su quanto è accaduto negli scorsi anni. Ma, come recita la maledizione cinese, stiamo vivendo in tempi interessanti, caratterizzati dal rallentamento della crescita economica e, con essa, delle entrate fiscali. Le spese, invece, non scendono mai. Sicché il paese deve indebitarsi di più, per rispettare l’equilibrio dei conti. In altre parole, le cose continueranno ad andare peggio di come sembra, perché – in assenza di riforme – nella migliore delle ipotesi, continueremo ad andare alla deriva, come accadeva prima della crisi. Nelle ipotesi più pessimistiche, andremo alla deriva in modo violento, sfasciandoci sugli scogli. Lo scoglio più grande è, appunto, il debito.
Proprio per questo, noi continuiamo ad informarvi e a fare il nostro lavoro; a gennaio prevediamo che il Debt clock riprenderà a crescere ad una velocità di 8515 euro al secondo (!!), per raggiungere, a fine mese, la cifra di 1.858,5 mld dopo la riduzione di fine anno. Insomma: il calo di dicembre è durata lo spazio di un’illusione. Non esiste un Babbo Natale abbastanza generoso da portarsi via il fardello che pesa su di noi, i nostri figli e i nostri nipoti. C’è un solo modo di uscirne: riforme pro-crescita a costo zero, come le liberalizzazioni, privatizzare tutto il privatizzabile, e tagliare la spesa per ridurre le tasse. Qui ci sono i nostri suggerimenti per liberare l’Italia. L’alternativa è pianto e stridor di denti. (ll&cs)
Non si vuole capire assolutamente, oppure non fa comodo a nessuno dei ns dirigenti e governanti, che aiutare concretamente le imprese, micro piccole e medie a rimenere aperte senza continuare ad indebitarsi per pagare tasse e balzelli di tutti i generi, può aiutare l’economia del paese. Secondo voi è meglio un’impresa chiusa o aperta, se non si hanno utili perchè continuare a pagare la Tarsu oppure l’Inps o l’Inail. Parlo sopratutto per le micro imprese , quelle a conduzione familiari, piccoli commercianti ecc. Non sarebbe meglio pagare allo stato poco e rimanere aperti anziche chiudere e non pagare nulla. Come mai ciò è impossibile d’attuare? Non ci si potrebbe studiare un pò su, voi economisti e studiosi o professori e ministri, come mai non lo capite? E’ semplice, non vi interessa sapere e comprendere che curare un malato o almeno tentare è meglio che ucciderlo. Purtroppo la mia è una voce piccolissima di un piccolissimo artigiano, non sono nè Marchionne nè Tremonti, nè Sacconi, non sarà ascoltata da nessuno. I pastorisardi li hanno fermati prima ,sebbene chiedessero solo di poter lavorare. Un’Italia che non pensa ai piccoli, e nemmeno ai giovani che non hanno più come modello, ovviamente l’artigianato o l’agricoltura o la pastorizia, è un’Italia destinata a fallire cioè alla fine a chiudere. E non sarà come chiudere una piccola azienda agricola o artigiana. Meditate “grandi” cervelli economici!!!! Nonchè “grandi politici” di turno. Buon Anno a tutti
Caro admin, innanzitutto auguri di buon anno. Ne avrai bisogno come tutti noi.
Avevo già di mio il sospetto che la cifra segnalata da CB fosse sbagliata. In difetto.
E francamente ho gli stessi sospetti riguardo i dati ufficiali della banca d’Italia.
Il debito reale temo sia ben più alto, e non lo dico perché ne ho le prove matematiche, solo perché “lo sento”.
Qui ci tengono nascoste parecchie cose, per il nostro bene ovviamente, perché bersagliare a calci nel sedere qualche politico cagiona l’arresto dell’elettore imbufalito.
Si è parlato in questi giorni di una tassa “sulle rendite” dei paperoni italiani, quelli che hanno almeno € 200,00 (duecento euro) sul conto corrente (immagino io: non credo che andranno a toccare granché a chi ne ha veramente tanti).
I nostri cari amministratori pubblici sono quindi, con evidenza solare, alla canna del gas. Gas che purtroppo dovremo ancora una volta pagare noi.
Più o meno penso che la cosa stia così: Tremonti non ha ancora agito (se non l’ha fatto questa notte) solo perché a breve potrebbero esserci le elezioni politiche. Se il problema della maggioranza verrà risolto, arriverà la mannaia fiscale.
Intanto io venerdì scorso, per non saper leggere né scrivere, ho svuotato il mio lasciandovi 5 €. E ad ogni versamento d’ora in poi, mi legorerò in modo da non lasciare sul conto se non il necessario, usando di più il contante e convertendo quanto possibile dei risparmi in monete d’oro.
Per concludere vorrei “ringraziare” Giuliano Amato, che dal 1992 ricordo sempre nelle mie preghiere.
@Diego Perna
Lo sanno benissimo.
Secondo me in questo momento siamo arrivati al livello “prendi quello che rimane e taglia la corda”.
Va bene, siamo d’accordo, meno stato dove non serve, privatizziamo ciò che ha senso privatizzare, riduciamo i costi del sistema , della politica, riduciamo prima il debito e poi la pressione fiscale.
Però prima si deve essere chiarissimi su dove mettere la linea del Piave di ciò che uno stato per chiamarsi tale deve garantire ai cittadini.
Perchè l’essere umano non è una macchina sempre efficentissima che ha come obiettivo la massimizzazione dell’efficienza.
Gli esseri umani sono pieni di inefficienze, malattie, disabilità, invecchiamento, sfiga.
Uno stato DEVE fare due cose, dare delle opportunità, in particolare con scuola e ricerca, e garanzie sociali. Garanzie solide su cui si possa contare quando subentrano le difficoltà siano esse fisiologiche o meno.
Quando avremo garantito di garantire allora saro il primo ad applaudire chi prenderà in mano le forbici.
P.S.
Al sig. Stefano invece auguro di mangiarsi il suo oro.
Serve un piano dettagliato di tagli strutturali alla spesa pubblica, che consentano di risparmiare come minimo qualcosa di vicino a 100 miliardi di euro l’anno di spesa, generando un attivo di bilancio di poche decine di miliardi.
Propongo la finanziaria lacrime e sangue, che poi chiaramente va ammorbidita per ridurre l’impatto sociale.
1. Bloccare il turnover dei dipendenti pubblici ovunque non servano giovani, cioè ovunque salvo polizia, esercito, ricerca.
2. Accorpare ministeri e funzioni, abolire le province e generare dunque un surplus di dipendneti pubblici eliminando interi reparti dello Stato.
3. Bloccare gli scatti di anzianità per i salari per tutti i dipendenti pubblici per stipendi superiori a 1,200€ netti.
4. Bloccare i rinnovi contrattuali.
5. Porre un tetto alle spese degli enti locali, imponendo tagli di spesa fino al raggiungimento del pareggio di bilancio.
6. Tagliare del 5% tutti gli stipendi sopra i 3000€ al mese.
Questa cosa potrebbe essere interrotta quando il peso dello Stato si sarà ridotto a livelli tali da poter rientrare nei parametri di Maastricht in pochi anni. Io non ho nulla in contrario se si continua sine die fino a ridurre lo Stato sotto il 20% del PIL, ma mi rendo conto che non è una necessità, ma uan mia preferenza. Salvare il Paese dalla crisi finanziaria è una necessità, invece.
Un po’ delle proposte potrebbero essere ammorbidite soprattutto per impedire che i lavoratori pubblici a tempo determinato vadano a sommarsi improvvisamente ai disoccupati. Un occhio di riguardo a chi prende meno di 1,200€ al mese è giustificato.
Se solo avessimo più coraggio… Sì, ok, va bene le riforme.. ma ci aspettiamo che il governo faccia qualcosa per noi, e scusate, mi vien da ridere. Se ci fermassimo COMPLETAMENTE per due giorni, voglio vedere come gli balla il c… lassù
Chicago boys, mi ricordate tanto gli anni 70 in Sud America quando siete arrivati inneggiando al libero scambio e alle privatizzazioni. La vostra politica di deregulation è stata sostenuta solo da dittatori e vi siete serviti di loro sistematicamente in tutto il corno del Sud. Inoltre, da ricordare, è l’esperienza di Sukarno in Indonesia e nella Russia di Eltsin.
Bolivia, Argentina, Chile e piccoli stati del centro america sono stati spazzati via dalla depressione e dalla disoccupazione a causa delle vostre politiche economiche e monetarie. Per tutti coloro che vogliono realmente leggersi quello che è stato fatto dai Chicago boys basta googlare questo: “Operazione Condor”.
Voi, Chicago boys, con il vostro fondatore Milton Friedman, avete ridotto questo mondo ad un mero oggetto di potere in mano a poche Corporations che di sicuro non vogliono il bene comune ma il profitto continuo per loro e i loro azionisti di maggioranza.
A vostra disposizione per qualche assunto in più. Detto questo, io sono contro le liberalizzazioni e le privatizzazioni. Questo paese merita altro, non la deregulation e la flessibilità lavorativa.
Alessio: Hai scelto le solite motivazioni per contestare; però alla fine non mi pare che tu abbia proposto qualcosa, sempre se per qualcosa dobbiamo intendere:
“…io sono contro le liberalizzazioni e le privatizzazioni. Questo paese merita altro, non la deregulation e la flessibilità lavorativa.”
Che rimane il solito mantra degli statalisti in salsa Nordica che non tengono conto della realtà effettiva del paese, che si scosta molto da quella Nordica a cui, immagino, tu faccia riferimento.
Allo stato attuale non rimane altro che utilizzare la scure verso lo STATO e non verso i CITTADINI, già oltraggiosamente rapinati.
@Alessio
Riassumo l’argomento da lei usato:
“siccome alcune buone riforme sono state fatte in passato da alcuni dittatori, allora bisogna andare contro le riforme, e tenerci uno Stato corrotto, iniquo, coi conti allo sbando e incompatibile con i principi dello stato di diritto.”
Mah… tra tutti quelli dei difensori dello status quo, non ho mai sentito un argomento peggiore.
In questi giorni escono idee disgustose. Patrimoniali, tasse sul risparmio (chiamate con classica demagogia socialista “rendite”). Adesso basta. Giù le mani dalle tasche degli italiani. E’ ora di tagliare e tagliare sopreattutto la spesa pubblica che alimenta i soliti parassiti. Non certo di tassare il risparmio di chi lavora. Se per caso il PdL si azzarda a fare porcherie del genere, meglio che Berlusconi si prepari a chiudere bottega.
Alessio, abbiamo capito perfettamente! Sei dalla parte dei “consolidatori del debito”! Sei dalla parte di quel “amato-dr.sottile” che prospetta un prelievo di soli 10mila euro per tutti i detentori di pubblico risparmio!
Nobile figura, dio-patria-famiglia, come sei buono tu!!
E ti pareva! Sarebbe troppo bello se questo fosse l’unico blog privo di incursioni da parte dei soliti saccenti e ignoranti comunisti e statalisti alla Alessio. Ma cosa vuoi assumere. L’unico assunto inerente a quelli della tua razza é il permanente stato di ubriachezza molesta.
Perché ce l’hanno tutti con il povero Alessio? In effetti il marxismo, pur supportato da un’ottima analisi, si è dimostrato un danno enorme laddove applicato ma anche il liberismo è un’ideologia e come tale la sua validità è tutta da dimostrare.
Comunque è vero, il nostro stato sta diventando di mese in mese sempre più vorace, basta che ognuno di noi si guardi attorno, a tutti i livelli. Ma anche i monopoli derivati da certe liberalizzazioni sono sempre più voraci, come dimostrano gli aumenti continui delle tariffe autostradali, ad esempio.
La cosa peggiore è che ci stiamo affidando proprio gli epigoni di quelli che hanno creato il “Grande Buco” e che, governandoci per 8 degli ultimi 10 anni non hanno fatto altro che allargarlo ulteriormente.
Vi invito a tal proposito a consultare la pubblicazione della banca d’Italia sul tema che si trova a questo link: http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin_2/qef_31. Scoprirete come il “Grande Buco” si sia creato tra il ’70 e il ’93 con un’accelerazione fantastica alla fine degli anni ’80, ai tempi del mitico CAF.
L’unico periodo nel quale si è avuta una diminuzione del deficit è stato negli anni successivi alla caduta del primo governo Berlusconi fino al 2001, quando, con il ritorno del centro destra il deficit ha ripreso a risalire.
Questi sono i fatti: negli ultimi 20 anni solo i governi di centro sinistra hanno portato a diminuzioni del nostro fantasmagorico deficit e i governi di centro destra non hanno nemmeno diminuito le tasse, a meno che non si voglia considerare diminuzione delle tasse l’evasione fiscale.
Quando farete delle scelte non ascoltate nulla di quello che vi dicono, andate a verificare quello che hanno fatto.
@Roberto 51
“I monopoli derivati da certe liberalizzazioni”
Evidentemente non erano liberalizzazioni: erano privatizzazioni. Non aperture al mercato, ma vendita di diritti oligopolistici al migliore offerente. Esattamente come gli Stati mercantilisti del ‘600…
Riguardo il debito:
L’Italia è stata rovinata dall’apertura a sinistra a metà anni ’60. Da quel momento in poi è stata la rovina perché si è speso senza badare a nulla. Inizialmente la cosa non ha toccato più di tanto il debito pubblico perché lo Stato creava base monetaria per monetizzarlo, dunque si creava inflazione. Dopo il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia (1981) non fu più possibile, e dunque si creò debito pubblico. Poi nel 1992 fummo costretti a stabilizzare i conti dalla crisi dello SME, ma la cosa durò poco: appena la situazione si normalizzò il debito rimonciò a salire, essenzialmente sotto il governo Berlusconi, che è stato peggio delle sinistre da questo punto di vista.
La differenza tra destra e sinistra è questa: a destra si sprecano soldi pubblici e si creano deficit (spend and spend), a sinistra si sprecano soldi pubblici e si aumentano le tasse (tax and spend). I liberali sono contro la spesa, ma nessuno li ascolta.
@Pietro Monsurrò
Hi Mr. Monsurrò. IMHO mi conceda di condensare i Suoi 6 punti in uno solo: Cambio costituzione per poter licenziare i dipendenti pubblici.
Tutto il resto sono pavide battaglie di retroguardia.
Si ricorda che veniva denunciato un assenteismo del 10% nella PA ?.
Ebbene che ci siano o meno i deretani sulle sedie pubbliche, il conto è sempre lo stesso….e nessuno avverte minimamente la loro assenza.
Ergo tagliamoli.
Tra poco arriveranno a termine le CIG con gli inevitabili licenziamenti dei Cipputi che “produco” il vero PIL. Orbene la PA che “redistribuisce” rimane sempre indenne.
Non può funzionare se diminuiranno solo i “vessati” dal vile sceriffo di Nottingham.
SUGGERIMENTO finale: ottimo il vs. Contatore Debito Pubblico, facciamo anke il Contatore Versus DEFAULT….molto più importante…ci possiamo organizzare un bel giro di scommesse prontamente tassate dallo sceriffo di Lorenzago.
Serenissimi Saluti
Martino
@erasmo67
Preferisco mangiarmelo da me piuttosto che farmelo mangiare dal governo. E, detto tra noi, visto che non ne ho tanto quanto tu credi, dopo ci fo anche un bel ruttino.
Il tuo nick ha il numero 67 per sbaglio o sei del ’67? In tal caso penso che tu ricordi da quanti anni ci stanno pigliando per il cesto riguardo al risanamento del debito pubblico.
In realtà sono ben disposto a collaborare, ma non facendomi derubare nottetempo.
Secondariamente esigo che la finanziaria, oggi chiamata legge di stabilità, tagli finalmente i costi dello Stato. Non possono continuare a chiedere sacrifici a noi cittadini per poi continuare a sperperare.
Vedi erasmo, se tu avessi un figlio che ti sputtana i risparmi, credo che la prima mossa che faresti sarebbe quella di togliergli ogni possibilità di spesa. Ecco, così si deve fare con lo Stato: tagliargli le entrate in modo che sia costretto ad abbassare le spese.
Storicamente ad ogni aumento di entrate si è abbinato un aumento di uscite: vediamo se funziona il contrario.
Perché sono convinto che su questo siamo d’accordo, l’Italia spende troppo e male. Abbiamo una pressione fiscale scandinava con servizi centrafricani, e su questo non ci sono dubbi.
Il fatto è che lo Stato, accentrando tanta parte del PIL, decide a chi dare questi soldi. Quindi qualche burocrate decide chi premiare.
Il mercato, essendo formato da tutti noi, è invece molto più democratico: la gente sceglie come spenderequanto guadagno, e non l’alto, o basso, burocrate di turno.
Poi in realtà viviamo in una società in cui alcuni vanno aiutati, e qui d’accordo.
Ma aiutare chi ha i miliardi a spese dei poveracci, come accade in questo stato corporativo-clientelare, mi ricorda Superciuk, che rubava ai poveri per dare ai ricchi.
E stai tranquillo, che se fanno una bella patrimoniale, io e te che abbiamo qualche risparmio ci andiamo di mezzo, quelli veramente facoltosi no.
@Pietro Monsurrò
a dire il vero il periodo da Lei indicato (1963), con l’avvento dell’apertura a sx del governo centrista, è indicato come il periodo delle riforme mancate (es. non ci fuorono introduzioni di servizi assistenziali per gli anziani o i bambini, che non permisero, a differenza degli altri paesi europei un aumento del tasso di attività femminile), nonostante tassi di crescita del pil ancora elevati (circa 4-5% annuo).
E’ vero ci fu la nazionalizzazione del servizio di erogazione dell’energia elettrica, ci furono anche le politiche dei contropoli di sviluppo, ad esempio Italsider a Taranto, che per lunghi anni rimase il più moderno impianto siderurgico europeo e fu accompagnato da grande ammirazione da parte altri paesi europei (primi anni ’70) e fu strategico, come tutta l’industria pesante di base a partecipazione pubblica per la ristrutturazione delle imprese esportatrici private dell’epoca.
Il grande aumento però della spesa pubblica relazionata al pil avvenne a fine annii 70 ( es. riforma sanitaria del 1978) in un periodo di ciclo economico non idilliaco, dato che vi furono come ben ricorda gli shock petroliferi, che risultarono molto dannosi per i paesi come l’italia che erano paesi esportatori, poichè misero in grande crisi la bilancia comm.le del paese.
L’italia scelse la via della svalutazione competitiva, in una sorta di miopia, nella convinzione di cogliere 2 piccioni con 1 fava, aumentare le esportazioni e poter fare assistenzialismo (specie al sud), poichè furono accontonate tutte le politiche industriali per il mezzogiorno, non tenendo conto di quello che poi tale scelta avrebbe potuto produrre nel medio periodo.
Il problema fu che si fecero le riforme (sanitaria e pensionistica) nel periodo sbagliato.
Altro problema è quello che oggi è impensabile non avere in europa una politica industriale comune, basandosi solo su un pol. economica zoppa che si sorregge solo sulla gamba della politica monetaria (in stile supplysider).
Per quanto riguarda il commento di roberto51, avrà sbagliato il termine (liberalizzazioni con privatizzazioni), ma ha centrato la questione, facendo anche un esempio calzante. Esistono dei mercati, c.d. monopoli naturali, dove vi è un alta incidenza di costi fissi e vige il principio della sub-additività dei costi. Pensare a liberalizzarli è controproducente, come è controproducente privatizzarli, mettendo nelle mani di un privato un monopolio, con le relative conseguenze: nessuna diminuzione dei costi per i consumatori del bene/servizio e diminuzione del gettito per lo stato.
Una prima riforma suicida che mi viene in mente è stata la riforma Brodolini del 1969 che introdusse lo schema di Ponzi per finanziare le pensioni. Mi riferivo a questo, come data di inizio. Però Ignazio Musu in un libro sul debito di Il Mulino anticipa le politiche di espansione della spesa a qualche anno prima.
@Pietro Monsurrò
Se ha tempo dia un occhiata all’interpretazione di Giavazzi-Spaventa su “Gli effetti reali dell’inflazione e della disinflazione”.
@Pietro Monsurrò
Giavazzi F. e Spaventa L. (1989), Italy: the real effects of inflation and disinflation, in Economic Policy, pp. 135-171
Ti ringrazio per le belle parole, ma ti chiedo una cosa, che ne sai delle mie convinzioni politiche?
In attesa di leggere la tua risposta, spero più calma e garbata della prima.
Io sono a favore della conoscenza, mentre qui, da quanto leggo, siete a favore della libera critica. Perchè non ti informi al riguardo della politica mondiale degli anni ’70-’80 e ti rendi conto che la politica liberista propugnata dai Chicago boys ha portato ben poca felicità ai tanti paesi ove hanno avuto funzioni di consiglieri?
Se vuoi ti consiglio questo libro “Operazione Condor. Un patto criminale” di Stella Calloni.
A disposizione di ulteriori commenti
Quali sono queste buone riforme? Tagliare milioni di posti di lavoro pubblici? Aumentare a dismisura le operazioni di polizia e di tortura contro qualsiasi oppositore al regime di turno? Dar vita al triste rituale dei “Desaparecidos”?
Parliamone
Ed utilizzare la scure verso lo stato che significa? Tagliare quanti più posti di lavoro pubblici così da gettare centinaia di migliaia di famiglie in uno stato di shock? Contrarre le spese pubbliche porta ad una riduzione dei consumi, o no?
Proprio così!! Non ci possiamo permettere questi consumi, non possiamo continuare vivere oltre i nostri mezzi visto che il nostro debito non è piu’ sostenibile.
Bisogna tornare a investire a e quindi a produrre
Il 31 dicembre ho ascoltato il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica. Un discorso appassionato rivolto sopratutto ai giovani e al futuro che mi ha fatto pensare a cosa dovrebbe veramente fare la politica per risollevare le sorti del Paese. In queste ultime settimane sono stato testimone diretto della reazione della parte più consapevole degli studenti e dei docenti delle scuole superiori e delle università italiane contro l’approvazione della famigerata riforma Gelmini – meglio chiamarla razionalizzazione della spesa universitaria. I continui tagli alla spesa pubblica sono diventati ormai la costante politica degli ultimi governi. La motivazione addotta è sempre la stessa: il debito pubblico è troppo alto per fare investimenti e bisogna ridurre le spese e i costi per essere competitivi. Ma questa è tutta la verità? Io credo di no. Oggi lo Stato non riesce a investire nelle nuove generazioni e a gestire la crisi perché non riesce ad affrontare la sfida della globalizzazione che impone l’apertura dei mercati. Da almeno due decenni è in atto un processo di globalizzazione mondiale dell’economia che ha permesso ai capitali di essere impiegati ovunque e alle imprese di delocalizzare produzioni, vendite, abbattendo i costi, aumentando i guadagni. La molla dell’economia capitalistica è il profitto; tale sistema è stato mitigato dalla presenza in Europa dello stato sociale che ha fornito servizi pubblici sanitari, previdenziali, assistenziali e di istruzione secondo una visione di giustizia sociale. Il sistema di welfare-state si costruisce grazie alle risorse economiche (nelle sue forme di redditi da capitale e lavoro) da cui lo Stato attinge attraverso le imposte e all’aumento progressivo del debito pubblico. Ma oggi queste risorse tendono a ridursi. La crisi finanziaria e l’inadeguatezza dimensionale degli stati nazionali europei minaccia i tanti benefici dello stato sociale perché imprese e capitali lasciano il paese (essendo il loro unico modo per rimanere competitivi sul mercato globale), mentre chi vive di redditi da lavoro dipendente osserva il proprio reddito depauperato dall’imposizione fiscale o, peggio, la perdita del posto o la rinegoziazione in negativo delle condizioni di lavoro. E senza risorse economiche come si fa a sostenere lo Stato? E dove troviamo gli investimenti per attuare le riforme necessarie al Paese? Può ancora la politica intervenire in economia? Vorrei far notare che la stessa situazione affligge anche altri paesi europei, dove il welfare viene tagliato per mancanza di risorse nei territori dei rispettivi paesi. Dappertutto si diffondono cupi sentimenti di rassegnazione, di rabbia e di sdegno. Per affrontare questa situazione di crisi ci sono due strade. La prima imbocca la direzione della violenza, attraverso la disgregazione del tessuto sociale e politico del Paese, con l’esplosione dei micronazionalismi delle aree più ricche del paese nei confronti di quelle più povere e arretrate. La seconda via è la strada della pace che è stata percorsa “solo in parte” in Europa: è la via dell’integrazione e dell’unificazione di Stati prima sovrani e indipendenti verso uno Stato federale. Quando le forze dell’economia sono troppo grandi per essere controllate dai singoli Stati sono necessari nuovi poteri e nuove istituzioni per reindirizzare l’economia verso quei beni pubblici fondamentali che sono l’istruzione, la sanità e le pensioni. Ho scritto “solo in parte” perché l’Unione Europea come uscita dal Trattato di Lisbona, non è una istituzione sovrana vera e propria dotata di poteri nei fondamentali campi del governo economico, della politica fiscale e della politica estera europea. L’Europa, affrontando divisa i propri problemi, è condannata all’impotenza: le società europee stanno perdendo le proprie conquiste sociali; l’economia si sta trasformando in uno strumento di violenza e di sopraffazione sui più deboli; la vita politica sta diventando un teatro desolante. Noi giovani abbiamo la responsabilità di edificare la Federazione europea perché essa sarà l’unica istituzione democratica in grado di emancipare il nostro paese dal declino cui sembra condannato. Solo con la Federazione europea potremo affrontare i nostri problemi interni, fare gli investimenti necessari in ricerca, infrastrutture, ambiente e beni pubblici e aspirare ad una società migliore per la nostra generazione e quella futura.
Alessio, assolutamente si. Tagliare, tagliare e tagliare ancora e poi sfoltire e piallare!
Se i tagli sono collegati ad una diminuzione della Pressione Fiscale effettiva su individui ed imprese, e ad un apertura (leggi liberalizzazione) del mercato, abbandono dei monopoli statali, gli individui privi di occupazione verranno riassorbiti dal mercato ( in una proxy variabile), ma cosa più importante è che il il tasso di occupazione aumenterebbe ( ovviamente la piena occupazione è utopica) soprattutto relativamente alla fascia di età più danneggiata (19-28) dallo stato attuale del Bazar del lavoro ( chiamarlo mercato sarebbe troppo per me) italiano.
Non ci sono riforme pane e miele se si vuole voltare pagina, ma solo “lacrime e sangue”. Ma è un prezzo che bisognerebbe pagare per poter arrivare ad avere un paese in “marcia” sotto tutti i punti di vista.
Se poi per te, Alessio, allo stato attuale delle cose noi siamo in “marcia” dovresti dirmi ,gentilmente, verso dove…
Saluti.
@Alberto
Pensare che una diminuzione della tassazione determini automaticamente un aumento dell’occupazione, anche questa è utopia, Le cito una delle maggiori critiche a riguardo: “L’idea che una minore pressione fiscale faccia aumentare l’offerta di lavoro è stata criticata sostenendo che se è vero che si rende più desiderabile il lavoro rispetto al tempo libero (effetto sostituzione), è anche vero che una minore imposizione fiscale fa aumentare il reddito disponibile a parità di lavoro (effetto reddito). È quindi possibile che, a parità di reddito, la quantità offerta di lavoro diminuisca”.
Come utopico è pensare di poter aumentare la produttività del lavoro e nel contempo precarizzare i lavoratori in un modo a dir poco folle, per aumentare la produttività del lavoro bisogna investire sui lavoratori, sulla loro formazione, quello si che fa aumentare la loro produttività, non il fatto di ridurre le pause o altre becerie.
Si guarda tanto al mito tedesco della produttività del lavoro, ma perchè nessuno in Italia dice che in Germania lo STATO investe su un sistema duale di formazione scuola-lavoro?
@davide
Davide dammi del tu! questo “le cito” mi ha fatto diventare vecchissimo!
L’osservazione che tu proponi è giustissima,ma credo fortemente che per il sistema Italia, un abbattimento delle imposte sia sulle persone fisiche che su quelle giuridiche, sommate ad una serie di incentivi atti ad invogliare l’arrivo di player stranieri all’interno del nostro mercato, porti ad un aumento dell’offerta di lavoro; dato che il mercato si arricchirebbe di nuovi attori, ma anche di attori “nostrani”,diciamo, “in sonno”, che magari vorrebbero avviare un discorso imprenditoriale ma non lo fanno perchè scoraggiati, per motivazioni soggettive ed oggettive.
Io stesso ( abitante dell’estrema periferia nord dell’Africa, Calabria) avrei un motivo in più ad avviare una qualsiasi attività imprenditoriale (ed anche a rimanere in Italia), ma allo stato attuale la via per le Americhe mi sembra l’unica praticabile.
Grazie mille per l’osservazione, la terrò comunque presente “ad vitam”.
Ciao Davide!
@Alberto
la mia frase non era per sminuire la tua affermazione che l’Italia necessiti di una riduzione della tassazione , anzi concordo, ma non è così facile come dirlo.
Con i vincoli Ue da rispettare pensare di ridurre la spesa pubblica e la tassazione contemporaneamente è impossibile, anche perchè esiste una seconda critica alla tua affermazione precedente: non ci sono evidenze empiriche che sostengono la tesi secondo la quale una diminuzione delle imposte, stimolando l’offerta, può far crescere l’attività economica al punto tale da compensare il minor introito fiscale.
Detto questo ripeto che l’italia ha bisogno di una diminuzione della pressione fiscale, in special modo sul reddito da lavoro dipendente, non su profitti di impresa, perchè a mio avviso ( pare sia anche quello del fondo monetario) questa è una crisi da domanda, e se la domanda è scarsa, le aspettative di profitto delle imprese sono negative e non investono.
Grazie a te per la discussione, la calabria è un bel posto, come tutto il meridione d’italia e senza la fatica di tanti meridionali arrivati qui al nord, il nord non sarebbe mai stato quello che è dal punto di vista economico. Se mi permetti poi un’ultima osservazione, non credo che investimenti diretti stranieri facciano bene al sud, sarebbero investimenti capital intensive e labour saving e andrebbero a distruggere il tessuto economico del sud, ci vorrebbero invece politiche industriali volte a stimolare la formazione di cluster o distretti industriali formati da piccole e medie imprese italiane che nel tempo hanno dimostrato di saper competere nel mondo molto meglio che la grande impresa, dando molta più stabilità occupazionale e offrendo prodotti e servizi molto migliori.
Ciao Alberto!
@Davide, Gioventù federalista europea
Bel commento, purtroppo l’europa è soltanto vincoli di maastricht, vincoli contabili, come se l’economia fosse contabilità e questa concezione è ormai diffusa, tralasciando invece il fatto che l’economia è un insieme di processi che devono creare opportunità e che fornisce dati contabili da analizzare, ma ormai la fobia dei dati contabili ha preso il sopravvento.
Esatto, ottima visione d’insieme. Purtroppo l’Europa, come noi la conosciamo, è piuttosto la piazzetta d’incontro delle grandi lobby rispetto all’incontro di cittadini dei diversi paesi membri. Seguendo in linea gli avvenimenti ci rendiamo conto come, da un accordo economico (CECA 1951) si sia passati, su una falsa riga e con falsi pretesti, ad un accordo politico (CEE e nel 92 Comunità europea).
L’economia deve essere vista come avvicinamento di tutte le classi sociali di un paese alla soglia minima di sopravvivenza. Con questo non intendo dire “come era in URSS, tutti avevano poco e solo l’elitè aveva tanto”. Assolutamente! Voglio dire, invece, economia diretta a favore delle persone. Bell’utopia eh? =)
Ottimi commenti gli ultimi, sicuramente più interessanti e costruttivi delle risposte al mio primo post.
Magari l’Europa fosse “soltanto i vincoli di Maastricht”! Ora molti paesi delll’Europa non sarebbero a un passo dal default o già falliti senza gli aiuti dell ?IMF e la BCE che monetizza i loro debiti
E’ comunque davvero difficile capire al di là delle solite frasi fatte come “l’economia [deve] creare opportunità” spendendo e tassando senza limite, con conti fallimentari e debiti da bancarotta. Per migliorare il nostro standard di vita purtroppo non c’è altro modo che lavorare
@Gianni Elia
Eh infatti, ti sei risposto da solo, per migliorare il nostro standard di vita non c’è altro modo di lavorare, ma quando si preferisce perseguire solo obiettivi finanziari, i vincoli di maastricht appunto, e si riputa secondari gli obiettivi reali (occupazione, sviluppo etc), c’è poco da lavorare.
Gli stati si sono indebitati non per perseguire obiettivi reali, ma ancora una volta quelli finanziari (stabilità monetaria?).
Come creare opportunità? politiche occupazioni e industriali comunitarie (es. politica energitica comune non creerebbe opportunità?), certo che se la politica industriale comunitaria è in mano al commissario per la concorrenza e che ogni politica industriale viene vista come “interventismo” (questa è una frase fatta) c’è poco da stare allegri.
@Gianni Elia
Vorrei farti delle domande:
1) secondo te come sarebbe stato possibile rispettare il vincolo deficit/pil minore del 3% con una contrazione del pil dovuta alla crisi?
2) non pensa che la solita frase fatta è che per l’economia italiana l’unico problema siano le tasse troppo alte? Premettendo che come scritto prima in Italia a riguardo della pressione fiscale si sta raschiando il barile, mi potrebbe spiegare come è possibile che negli anni 80 quando iniziò ad aumentare pesantemente la pressione fiscale, si registravano i tassi di investimento più alti tra i grandi paesi europei? (periodo 1977-1987 tassi di crescita degli investimenti Ita=5,7%, Ger=3,4%, G.B. della Thatcher 3,1%, Francia=1,7%).
E’ solo la tassazione il grande problema di mancanza di investimenti in Italia, ma è anche un problema europeo, o forse c’è dell’altro? Non può essere che la liberalizzazione dei flussi di capitale abbia permesso una uscita di capitale dall’europa che ha rallentato gli investimenti reali oltre a portare una progressiva finanzializzazione dell’economia?
3) il problema italiano ed europeo di competitività è solo un problema di salari troppo elevati o mancanza di investimenti e quindi mancanza di aumento della produttività?
Se per migliorare il nostro standard di vita bisogna lavorare allora è implicito che stiamo consumando troppo rispetto a quello che produciamo ed è in particolare lo stato a fare la cicala visto il suo debito menttre gli italiani sono tra le persone piu’ parsimoniose del pianeta. Fare debito pubblico su debito pubblico non è quindi la soluzione
Per il resto le risposte sono semplici:
1) è proprio in momenti come questo che la spesa pubblica e quindi il deficit dovrebbe essere ridotto per liberare risorse per gli investimenti privati colpiti duramente dalla crisi, il fatto che nel calcolo del PIL si consideri la spesa pubblica è contabilmente parte di un’identità ma concettualmente un errore visto che sottrae risorse alle spese e agli investimenti privati e il pubblico non spende come il privato
2) c’è molta carne al fuoco in questo punto ma mi sembra che molte considerazioni siano viziate dal non considerare che per investire ci vuole risparmio, oggi gran parte di questo finisce nel finanziamento di un debito pubblico colossale che non produce nulla (altrimenti si sarebbe ripagato o non sarebbe così grande)
3) cio’ che conta per la competitività non è il livello dei salari ma la loro produttività e sfortunatamente c’è solo un modo per aumentarla: investire; sino a quando avremo un debito così elevato, una spesa pubblica così alta e quindi tasse da confisca oltre a una regolamentazione soffocante la competitività è quella che ci meritiamo. L’effetto sarà sempre il solito: colpire e disncentivare chi è produttivo e competitivo e sussidiare chi non lo è moltiplicando l’imprenditoria politica
Il debito pubblico italiano non è colpa della mia generazione ma una cosa è certa: tocca a noi assumerci la responsabilità di abbatterlo.
Perciò: ben vengano le liberalizzazioni e privatizzazioni proposte da IBL; ben vengano le riforme pro crescita; ben venga la riduzione delle spese. E se non bastano, come temo: ben venga anche la patrimoniale di Amato e contestualmente il licenziamento di almeno 200.000 statali (gli inutili sono di più….). Ben vengano di nuovo gli italiani a lavorare i campi al posto degli africani.
@Gianni Elia
1) la competitività è data dal clup= salari/produttività del lavoro, il livello dei salari conta, come conta per la produttività il livello di investimenti ( non solo fisici ma anche sulla formazione dei lavoratori, vedi sistema duale formazione-lavoro in germania, vedi terzo livello di istruzione professionale in francia e spagna, serve una governance del mercato del lavoro, quello che manca in Italia, dove invece si precarizza e non si investe sulle competenze dei lavoratori, precarizzazione e produttività vanno in direzioni opposte).
2) in una economia aperta risparmio ed investimento non coincidono, da qui la mia affermazione che molti capitali con la liberlizzazione dei flussi sia uscito dall’europa (non solo dall’italia).
3) la riduzione del debito deve essere anticliclica, secondo te investitori privati si assumerebbero il rischio di insuccesso così facilmente? secondo te uno investe in momenti di aspettative negative (crisi)? forse è più facile che il rischio sia assunto dallo stato durante un periodo di aspettative negative? parlare di errore nel calcolare la spesa pubblica nell’identità della domanda aggregata ha senso dopo 30 anni di continua ridistrubuzione del reddito a sfavore del reddito da lavoro in tutti i paesi occidentali?
@Gianni Elia
in più calcolare la spesa pubblica nel pil non è un errore, perchè seppur vero che riduce il reddito disponiblie per i consumi, parte dei consumi viene calcolata sul reddito al netto delle imposte, e gli investimenti dipendono dal reddito atteso non da quello disponibile, in più tu non tieni conto del moltiplicatore della spesa pubblica, se poi vuoi cambiare la teoria macroeconomica ti consiglio di fare un bel paper spiegando bene la relazione investimenti privati- spesa pubblica.
Io ti dico solo che in europa lo stato Italiano è uno tra quelli che investe di meno in R&S, meno dell’1% del Pil, contro 4% della Finlandia, 3% Germania etc, senza contare la Cina che investe in politiche per lo sviluppo (infrastrutture, formazione, R&S) circa il 30% del pil, contro una media europea del 15% ( prova a cercare l’italia quanto spende).
Vedi te quali possono essere gli effetti, io la vedo come Fitoussi nel libro “il dibattito proibito”.
Le politiche di assistenzialismo, sono iniziate proprio quando in Italia si è deciso di non effetturare più politiche per lo sviluppo.
Qui non contesto la necessità di dover ridurre sprechi della spesa pubblica, contesto come si sta riducendo la spesa pubblica, la struttura economica italiana ( ti ricordo che siamo il secondo paese più industrializzato d’europa) consentirebbe di avere un rientro dal debito più morbido, senza irresponsabilità in stile FMI nella crisi finanziaria asiatica di fine anni 90.
Ti ricordo che la struttura economica di un paese per capire la sua “consistenza economica” conta, altrimenti si rischia di fare come quelli che negli ultimi 20 anni gridavano al miracolo irlandese in nome del liberismo, la grande tigre irlandese, abbiamo visto com’ è andata.
Ti ricordo che gli stati che sono intervenuti a salvare le banche erano quelli più “liberisti” (USA, GB, Irlanda), mentre i così tanto bistrattati sistemi di capitalismo sociale, non hanno dovuto spendere per salvare le banche.
Gli investimenti sono ex-post necessariamente identici ai risparmi.
La spiegazione del perchè in Italia si investa così poco te l’ho data ed è incotrovertibile: a parte una regolamentazione asfissiante esiste un debito pubblico spaventoso che assorbe gran parte dei risparmi degli italiani.
Per il resto continui a credere che lo stato investa come i privati. Ma non è così: investire è un’attività imprenditoriale per prova ed errore e lo stato non puo’ nemmeno sapere dove investire cioè quali siano i bisogni da soddisfare prima di altri. La nostra bancarotta dovrebbe esserne la riprova empirica
L’Irlanda è stato veramente un miracolo distrutto (parzialmente) dalla folle politica di tassi manipolati al ribasso e di abbondante liquidità della BCE il cui unico effetto è stato ed è quello di generare bolle seriali.
Post hoc ergo propter hoc non è ragionare
@gianni
In una economia aperta non si ha necessariamente Risparmi= Investimenti, i cittadini di un paese possono indebitarsi verso l’estero per avere un consumo ed investimento maggiore a quello consentito dai loro redditi. Secondo la tua affermazione non esisterebbe la bilancia dei pagamenti o magari sono io che ho capito male.
Non ho mai detto che lo stato sappia investire meglio dei privati, dico solo che lo stato deve creare le condizioni affinchè si facciano investimenti produttivi, per farlo ci sono davvero moltissime vie, starle ad elencare, scusa tanto non ho voglia. Dire però che la tassazione eccessiva che c’è in Italia sia l’unica causa di non investimento e palesemente contrastabile dal fatto che negli anni ’80 a fronte di una espansione spaventosa della pressione fiscale in italia, nel nostro paese si registravano tassi di investimento quasi doppi rispetto ad altri paesi europei (vedi commento sopra).
Quale bancarotta? L’Italia ha mai dichiarato bancarotta? Non mi pare, se ti riferivi all’elevato debito pubblico, come già scritto in precedenza, è stato frutto delle politiche assistenzialiste che sono andate a sostituire le politiche di sviluppo nel nostro paese, che non si fanno da più di 30 anni.
Dire po che la BCE pre-crisi seguisse una politica lassista dei tassi di interesse, scusa tanto ma vuol dire essere fuori dal mondo.
Se poi vuoi sostenere che la crisi finanziaria sia solo il frutto della politica monetaria espansiva della Fed, perciò sostenere che lo starting point del ciclo economico dipenda solo da fattori esogeni al mercato (la politica monetaria ) e non da fattori endogeni, ti consiglio di cercare qualche critica a questa visione, perchè in tal modo dimostri di essere tu a seguire una logica Post hoc ergo propter hoc.
A proposito dell’esplosione del debito pubblico, volevo segnalare che, nel corso delle mie attività giornaliere, mi sono imbattuto in un bando di gara per servizi del Ministero dell’Istruzione che ha un importo abnorme: 236 milioni di euro, divisi in 2 lotti. Mi preme sottolineare che, purtroppo, il mercato dell’ICT in questo periodo prevede tariffe medie giornaliere intorno ai 250 euro a persona. Tanto per dare un’idea, a questa tariffa si potrebbero comprare più di 945.000 giorni/persona, ovvero circa 4.300 anni/persona. Verrebbe di pensare ad un errore, ma dopo aver sentito da Giannino che per l’informatica in dieci anni Il Ministero della Giustizia ha speso 1,5 miliardi di euro e che senza l’ulteriore contributo di diverse decine di milioni nel 2011 i tribunali non avrebbero potuto lavorare. Ma dove vanno tutti questi soldi?
Caro Oscar Giannino, sarebbe carino e intelligente da parte sua, iniziare ogni mattina la sua trasmissione su RADIO24, “la versione di OSCAR”, con l’ammontare del debito aggiornato, in modo da non poter addurre scuse, quando fra qualche mese, ci saranno delle MAXI TASSE per tutti.
La ringrazio
Maurizio