5
Mar
2015

#buonascuola: il mostro giuridico, il gioco delle 3 carte sui precari e la rivoluzione del merito

Gli incidenti nella predisposizione dei testi di legge stanno diventando troppo frequenti con l’attuale governo per non rappresentare un problema serio. Non abbiamo mai saputo a chi si doveva la soglia depenalizzante delle frodi fiscali, ed esploso il caso a Natale l’attuazione della delega fiscale si è fermata, dunque la delega  scadrà a fine mese e addio semplificazioni. Non abbiamo saputo a chi si doveva la bestiale idea della tassa sul contante e cioè sui depositi bancari oltre i 200 euro quotidiani. E non si è capito nulla di che cosa davvero abbia determinato la doppia decisione di rimettere nel cassetto i due decreti legge che il governo aveva annunciato martedì scorso. Se sia stato il Quirinale, silenziosamente, a far capire che la stagione dei decreti legge a raffica è finita. Se, sulla banda larga il governo abbia capito che rischiava un incidente serissimo visto che, stando al testo delle bozze che giravano tra i giornalisti, vi erano profili di violazione della libertà d’impresa tali da configurare impugnative alla Corte Europea. O ancora se, sulla scuola, il premier non fosse tardivamente soddisfatto del lavoro che pure per 10 mesi era stato fatto al ministero sul testo, con una consultazione pubblica che il governo asserisce aver mobilitato un milione e ottocentomila contatti. Se invece mancassero le coperture finanziarie, dopo tante promesse per 10 mesi. O che altro.

Fatto sta che l’opacità moltiplica l’incertezza e genera mostri giuridici. L’ultimo, oggi, è la nascita dell’inusitato “disegno di legge a tempo”. Il sottosegretario Faraone ha infatti annunciato a Repubblica che il parlamento avrà solo 40 giorni per varare la riforma della scuola (promessa a questo punto per martedì prossimo), altrimenti il testo diventerà decreto legge. Un’altra bestialata. Ma come, la riforma della Rai varata da Gubitosi abbisogna di ben 42 mesi per produrre i suoi risicati risparmi finanziari, e una cosetta come la riforma della scuola va varata in parlamento solo in 1 mese? Dopo 10 mesi dipensamenti e ripensamenti governativi? Viene solo da allargare le braccia, di fronte a tanta creativa disinvoltura istituzionale. E meno male che il premier aveva detto di inchinarsi sulla scuola alla libera dialettica parlamentare, perché “non è un dittatorello”…

Ma fermiamoci sulla scuola. Prima osservazione: è stato il governo, a ripetere per mesi e mesi che la marea di precari della scuola sarebbero stati stabilizzati per il prossimo anno scolastico, mettendoci in regola con i richiami europei (siamo l’unico paese avanzato ad aver concentrato centinaia di migliaia di precari a vario titolo nel sistema della formazione pubblica, per il vecchio vezzo della politica di accendere nuove posizioni a tempo promettendo la messa a ruolo in cambio di voti alle elezioni). Seconda osservazione: anche in questo caso, come per la banda larga, le bozze dei 39 articoli del provvedimento erano ormai pubbliche. Con tutti i particolari di come sarebbero state esaurite – ridefiniti gli organici funzionali per materia, e l’organico d’autonomia per le supplenze dal 2016 – le graduatorie a esaurimento, quelle d’istituto, la riserva per i vincitori del concorso 2012, come pescare dalle graduatorie per gli insegnanti di sostegno , per provincia e con quali limiti di scelta di ciascuno per il distretto. E poi la riforma degli stipendi, su tre fasce stipendiali e con una valutazione triennale. E poi le discusse norme d’incentivo fiscale, il 5 per mille a tutte le scuole, e il voucher di libera scelta per chi sceglie le paritarie. Quelle sui dirigenti scolastici che dovrebbero diventare leader educativi con strumenti e personale adeguati per il miglioramento dell’offerta formativa, quelle sui nuovi organi collegiali, quelle sull’alternanza scuola-lavoro nell’ultimo triennio delle superiori.

Qualche non piccolo indizio che siano le risorse a mancare, c’è eccome. Sarà un caso ma nelle ultime due settimane il numero dei precari da stabilizzare per il 2015-16, dispositivo europeo che giustamente ce li contesta alla mano, da 150mila scendeva secondo indiscrezioni governative di giorno in giorno, per fermarsi a quota 120-110-100mila e ancor meno, escludendo insomma quelli di seconda e terza fascia. Ammettiamolo: dopo decenni in cui la politica ha colpevolmente e cinicamente creato bizzeffe di precari della scuola, illuderli per mesi non è stata una bella trovata.

Continuo a pensare che la stabilizzazione di tutti i precari, com’era prevista nel testo, non distingua sufficientemente il merito reale accumulato perché “dimostrato”, invece che maturato per anzianità. Di conseguenza, il concorso promesso nel 2015 si potrà tenere pure, ma con la stabilizzazione di massa la messa a ruolo iniziale dei vincitori di concorso non comincerà prima del 2020: dunque esiste il forte rischio di creare altri idonei in attesa…

Detto ciò, sta al parlamento pronunciarsi in maniera chiara su alcuni punti che possono essere innovativi sul serio. A cominciare dal merito, dalla valutazione e dal peso che questi due fattori devono avere nelle retribuzioni. Le bozze prevedevano che solo il 30% massimo degli aumenti retributivi sarà determinato dall’anzianità, e il 70% dal merito. Premiando in tre fasce di diversa progressione l’80% dei docenti ed escludendone il 20%. A valutare il merito, secondo un certo peso tra crediti didattici, formativi e professionali, un nucleo di valutazione per ogni istituto, presieduto dal dirigente scolastico. Se gli insegnanti per due volte di fila non riuscissero a rientrare almeno nella terza fascia, rischierebbero un’ispezione. Se la mancata promozione persistesse, si potrebbe arrivare fino a quella che in gergo scolastico si chiama dispensa, cioè la sospensione dal servizio per incapacità, fino al licenziamento per inidoneità.

Chi qui scrive pensa che la valutazione, per essere efficace, deve unire chi dirige gli istituti a valutatori terzi. Ma in ogni caso anche ciò che proponeva il governo nelle bozze sarebbe una rivoluzione. Speriamo che il parlamento non ingrani la marcia indietro assecondando la contrarietà dei sindacati, visto che va data per scontata la sensibilità “interessata” di ogni forza politica, a questo punto, a non deludere i precari.

Ricordatevi che già oggi, nella scuola, ai dirigenti spetta valutare l’eventuale incapacità e inidoneità dei docenti. Gianni Maddalon, preside reggente dell’istituto superiore Einaudi-Scarpa di Montebelluna nel trevigiano, è finito sui giornali perché è esattamente ciò che ha fatto, nei confronti di un docente che è stato licenziato. Solo che di Maddalon ce ne sono pochissimi, nella scuola italiana attuale. E ieri, a Radio24, ha detto che nella sua esperienza un 3% dei docenti meriterebbe giudizi simili. Pensateci: su un milione e oltre di dipendenti del MIUR, sarebbero 30mila. Ecco perché serve una svolta vera, sul merito e retribuzioni. Per preparare meglio i giovani i voti non bisogna darli solo a loro, ma innanzitutto a chi insegna.

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5 Responses

  1. Giovanni Galluccio

    Non lapiderei nessuno statalista, credo che il problema siano le faraone in fuga… il gioco di promesse pre-elettorali e mancata copertura finanziaria reiterata nella migliore tradizione popolare europea

  2. adriano

    Il merito di una prestazione lo può giudicare solo chi la paga,con soldi suoi.Quando sono pubblici e quindi di nessuno e di tutti,qualsiasi marchingegno si escogiti per stabilire procedure asettiche che consentano giudizi oggettivi sarà sempre lacunoso,complicato ,arbitrario.A leggere le considerazione che lei elenca e il sistema allo studio c’è da piangere.Ci vuole un collegio di avvocati per capirle ed alla fine occorre l’interpretazione autentica.Meglio privatizzare tutto,se si può.Se non si può rassegnamoci al caos permanente e cominciamo a dire che non lo si può evitare.

  3. Alessio Calcagno

    Perche’ non adottare un sistema di vouchers come sosteneva Milton Friedman?

    Uno studente di scuola materna e superiore costa allo Stato Italiano circa 7,000 euro all’anno. Diamo ai genitori una assegno vincolato ad essere speso per l’istruzione di 7,000 euro e lasciamo che siano i genitori a controllare la qualita’ dell’insegnamento. Gli insegnanti sarebbero pagati direttamente dai genitori e il dirigente scolastico avrebbe il diritto a licenziare insegnanti non all’altezza del loro compito.

    Gli esami finali rimarrebbero di prerogativa dello Stato centrale e i dati di performance degli istituti dovrebbero essere pubblicati ufficialmente.

    Le scuole non performanti e con pochi iscritti dovrebbero chiudere.

    Sarebbe una lotta per la liberta’ di scelta.

  4. Matteo

    Come al solito il ragionamento da per scontato troppi assunti. Più che un ragionamento è la presentazione di deduzioni automatiche. Meglio mi paiono le proposte di Adriano e di Alessio Calcagno, sono più schiette e più motivate. Sostanzialmente in modo diverso propongono la privatizzazione dell’insegnamento, la prima come decisione a monte la seconda come sviluppo naturale del mercato. Altrimenti ha ragione Adriano, ci vorrebbe un collegio di avvocati per dirimere l’intreccio; esultare per un preside che ha avuto il coraggio di licenziare è troppo superficiale, il preside è costretto per legge a prendere provvedimenti quando la cosa è arrivata fino ad un certo punto, e dall’altra parte si legge sui giornali che il professore incriminato è stato messo sotto accusa dai genitori che vedevano prendere voti molto bassi ai propri figli. Se si gioisce perché nello stato qualcuno ha licenziato bisognerebbe poi mettere insieme tutti questi cocci, e non può essere il parere di un passante e neanche di un giornalista.
    Per quanto riguarda invece i centocinquantamila precari che si assumono tutti gli anni a inizio anno, mi sa che non è proprio azzeccato dire accade tutto perché fanno da clientela dei politici, a meno che non si voglia vedere le classi passare da trenta studenti per classe a quaranta studenti per classe, in classi costruite negli anni settanta e tarate per una capienza di 20 studenti per classe. Cosa si fa?, li si fa stare su a cavacecio l’uno sull’altro?
    Perciò pare che oramai le cose siano mature almeno per iniziare a riflettere se sia possibile una privatizzazione della formazione che eviti ogni conseguenza negativa sulla tenuta democratica e sull’equilibrio del mercato, perché pensare ad una gogna continua è una roba che può far piacere a molti, e stuzzicare il senso apparente di concretezza di alcuni, ma non serve a nulla.

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