Buon tax freedom day a tutti!
Gli italiani festeggiano oggi il tax freedom day: da oggi, secondo i calcoli della CGIA, iniziano a lavorare per se stessi e non per lo Stato. Per meglio dire, dall’inizio dell’anno fino al 4 giugno hanno lavorato per pagare le imposte; dal 5 giugno fino alla fine dell’anno lavoreranno finalmente per sé e le proprie famiglie.Se ci sia da festeggiare o meno, dipende un po’ anche dalle nostre inclinazioni, dalla tendenza a guardare, se siamo ottimisti, al portafoglio mezzo pieno della metà dell’anno che ci attende, o, se siamo più disincantati, al portafoglio mezzo vuoto della metà dell’anno trascorso.
Per parte nostra, vogliamo celebrare il tax freedom day mantenendo la promessa di continuare a parlare non solo del gravoso peso fiscale, ma ancor più del rapporto asimmetrico tra il fisco e il contribuente, a dispetto di ogni concezione di Stato di diritto.
Parliamo dunque di accertamenti bancari.
L’art. 32, comma 1, n. 2 del d.P.R. n. 600/1973 prevede che i prelevamenti effettuati nell’ambito di rapporti bancari (ad esempio, i prelevamenti da conto corrente) possono essere imputati come ricavi, a base delle rettifiche o degli accertamenti dell’amministrazione finanziaria, a meno che il contribuente non indichi il beneficiario del prelevamento o queste operazioni non risultino da scritture contabili.
La disposizione, che resiste da anni a critiche e eccezioni di incostituzionalità, è una di quelle che più rimarcano il rapporto di disparità tra il fisco e il contribuente, introdotto dal legislatore e avallato dalla giurisprudenza (cfr. ad esempio Corte costituzionale n. 225/2005).
Essa capovolge, sia sotto il profilo logico che giuridico, il significato economico della nozione di uscita (ossia: addebitamento in conto corrente) che è evidentemente un costo, mentre, in campo tributario, si trasforma, oltre che in ricavo lordo, persino in reddito.
In altre parole, l’assottigliamento del proprio conto in banca viene imputato dal fisco a ricavo lordo (prima sanzione), per poi essere tassato come reddito (seconda sanzione), a cui possono applicarsi le ulteriori sanzioni per la minor imposta dichiarata.
Questo perché, con un sistema di doppia presunzione, al fisco è dato di addurre, senza fornire prova, che un costo non giustificato sia corrispondente a un ricavo o compenso (prima presunzione) non dichiarato (seconda presunzione).
Ci sembra che questa doppia presunzione a caduta e le relative sanzioni (dal costo al ricavo, dal ricavo al reddito e conseguente tassazione) sia contraria a qualsiasi canone di logica e ragionevolezza, che dovrebbe presiedere invece ogni scelta del legislatore. Essa è oltretutto contraria al principio di capacità contributiva, poiché, se si considera imponibile quello che è a tutti gli effetti un costo e non un ricavo, si spezza il nesso tra quel che si guadagna e quel che si deve al fisco.
Tutto questo l’amministrazione fiscale può fare senza darsi nemmeno la briga di dover dare fondamento certo alla doppia presunzione, tramite, ad esempio, il rinvenimento di versamenti o accrediti non giustificati di entità superiore o quantomeno corrispondente alle uscite. Per come è formulata, anzi, la norma potrebbe applicarsi anche in assenza di versamenti e in presenza di soli prelevamenti!
Spetterà al contribuente, nella ormai accettata tradizione dell’inversione dell’onere probatorio che connota il diritto tributario, dimostrare il contrario. E cosa può fare il contribuente di fronte a questa pre-potenza del fisco di trasformare il costo in ricavo, un’operazione finanziaria riduttrice di patrimonio a un’operazione incrementativa?
Deve assoggettarsi a faticose corvées, come obblighi di documentazione nominativa dei beneficiari delle proprie spese, di annotazione, registrazione, rendicontazione e conservazione per anni di quant’altro possa dimostrare a chi e dove sono finiti quei prelevamenti, fossero anche una semplice liberalità o una spesa per un consumo di famiglia. Al carico fiscale, dunque, ecco sommarsi gli oneri procedurali che rappresentano, oltre che un costo in termini di tempo e energie, un’invasione alla propria sfera personale, poiché la vita privata può essere denudata davanti a un’amministrazione che può agire senza obblighi di verifica concreta e di motivazione.
Un altro aspetto critico sta nel fatto che la norma sembra colpire soltanto gli imprenditori e i liberi professionisti, così da rientrare nel clima di vessazione fiscale che deprime l’economia del nostro paese. Che si rivolga solo a queste due categorie lo si desume dal riferimento alle “scritture contabili”, alla cui tenuta, come noto, sono vincolati imprenditori e liberi professionisti, e ai “ricavi e compensi”, che, nel linguaggio delle scienze economiche e aziendali, sono il frutto proprio di attività di impresa o di lavoro autonomo.
Sotto il profilo della conformità alla Costituzione, il restringimento dell’area degli accertabili appare in contrasto con il sempre più frequentemente richiamato “principio di uguaglianza”. Ma, quel che è più grave, economicamente parlando esso contribuisce a creare quel senso di angoscia da accertamento fiscale che rappresenta di per sé un obiettivo e ormai incontestato freno all’economia.
egregia Serena,
non conosco molto bene nè la legge nè la finanza, quindi cerco di interpretare le sue parole – se ho capito male, La invito a correggermi senza pietà.
Lei lamenta che un’uscita dal c/c bancario *senza beneficiario* venga tassata – meglio, mi pare di capire che scatti una sanzione amministrativa, giusto?
di rimando io Le domando: quali uscite bancarie di importo rilevante possono essere prive di un beneficiario, se non le operazioni in nero? in altre parole, se il signor X preleva 15.000 euro in contanti, il sospetto che essi siano destinati ad un’operazione poco chiara è ovvio. oggigiorno fare un bonifico (elettronico o allo sportello) è molto più semplice e meno costoso che in passato, quindi non capisco proprio cosa significhi una operazione di grossa entità senza un beneficiario, se non una precisa volontà di nascondere lo scopo di tale operazione.
detto questo, in un caso simile non vedo come possa *non* scattare un sanzione amministrativa, per tacer delle possibili implicazioni penali. mi pare un atto simile, per esempio, alla sanzione quasi automatica che scatta dinanzi a una transazione immobiliare per valore manifestamente inferiore al valor di catasto.
uno Stato che voglia far rispettare la legge tributaria deve avere questi mezzi a disposizione, io credo.
saluti,
Castellini
@claudio castellini
caro castellini lei purtroppo confonde le cose e non ha capito quello che vuol dire la Signora .
Rilegga l’articolo e si sforzi di comprendere quello che dice !!!!
Cazzo centra il NERO ??????
Secondo lei e’ giusto che una spesa diventi un ricavo ???
Ma che panzane vuole sostenere ????
Fateci una cortesia prima di scrivere riflettete se abete capito quello che avete letto , che e’ ora !!!!
E’ a causa di presone come lei che l’Itali si trova nella condizione di stallo attuale !!!!!!
Invece lei non ha capito nulla Sig. Melloni: la presunzione di prelievo=ricavo serve proprio a creare nuova presunta base imponibile in capo a chi utilizza i contanti per pagare (questo è l’assunto del legislatore) operazioni in nero che quindi sfugirebbero alla tassazione da parte di chi riceve quel denaro…adesso è chiaro?
E pensare che ci raccontano che siamo uno Stato liberale ….
A mio parere non cambierà nulla, abbiamo due opzioni:
1 – o trasferire l’impresa in un altro Stato, cosa per me fattibile perchè a 50 km c’è il confine con l’Austria,
2 – utilizzare le scarpe della Domenica per ‘lustrare’ il fondo schiena a quei signori (volutamente con la esse minuscola) che ci raccontano un’infinità di stupidaggini e noi li stiamo ANCORA ad ascoltare.
Il POPOLO è sovrano, mandiamoli a casa tutti e 930 e con loro tutti i direttori di tutte quelle agenzie e società che hanno il compito di distruggere tutto il bene e il buono che gli Italiani fanno, lavoratori dipendenti, lavoratori pubblici e imprenditori.
E che il Buon Dio ci aiuti!
Se non ricordo male, la presunzione opera solo riguardo ai conti che devono essere tenuti per registrare i movimenti bancari inerenti all’attività di impresa o professionale.
La spiegazione starebbe nell’esigenza di prevenire pagamenti in nero. Il paradosso è che il saldo sul conto è la somma algebrica di ricavi e spese, che costituiscono il reddito d’impresa o professionale, soggetto ad imposte. Se il titolare del conto – ipotizziamo si tratti di persona fisica – preleva quello che gli resta dopo avere pagato le imposte, ha conseguito un nuovo ricavo, da includere nella prossima dichiarazione dei redditi? Urge il commento di un tributarista!
@claudio castellini
Facciamo il caso che lei sia un libero professionista che preleva una modica cifra al bancomat e poi la dona a suo nipote.
Perché deve essere lei a provare la destinazione di quella cifra, di cui probabilmetne, trattandosi di una donazione di modico valore a un familiare non conserva certo scrittura privata, e non chi le contesta che quell’operazione è evasiva a provare quanto apoditticamente sostiene?
@Luciano Pontiroli
La presunzione opera per liberi professionisti e imprenditori, ma non per i loro conti inerenti l’attività professionale o imprenditoriale, allargandosi, ad esempio, anche ai conti intestati ai familiari
Qundi non opera SOLO sui conti professionali ma si estende a tutti i rapporti che a discrezione del finanziere di turno, a seconda dell’ansia di promozione aggiungo io, sono riferibili al malcapitato!!!
P.S. Visto il periodo pre-referendario, secondo voi queste norme potranno mai formare oggetto di referendum? anche se ritenute dalla maggioranza contrarie a qualsiasi logica? Vi anticipo la risposta: NO!!!
@serena sileoni
il caso che lei fa è corretto – sono d’accordo, ma ciò è dovuto al modico importo non reiterato nel tempo. del resto io stesso prelevo mediamente 600 EUR/mese al bancomat per le mie piccole spese. (non sono un LP ma un paradipendente, ma tanto per l’argomento)
del resto mi dico: ma quanti LP sono stati sanzionati dalla AE per avere prelevato una tantum 500 euro al bancomat? spero pochi, anzi spero nessuno. (sto confondendo un c/c intestato a una ditta, a paragone di uno intestato a un privato? o stiamo parlando di qualsiasi c/c bancario?)
invece, le faccio una domanda di rimando: io, LP o quant’altro, faccio 5 prelievi di contante (non al bancomat, ovvio) da 12.499 EUR nell’arco di, diciamo, tre mesi. ha ragione il fisco a venirmi a rovistare nel conto, oppure no? credo di avere letto che questa è una tecnica molto usata per il riciclaggio. 12.500 è il minimo antimafia o qualcosa del genere, giusto?
da ultimo: sono d’accordo con lei, il principio è iniquo – sta all’accusatore, in generale, dimostrare la colpa. in questo caso però io mi sento molto più possibilista. se una violazione al principio consente allo Stato di recuperare una frazione significativa dell’evasione fiscale, può valerne la pena.
sempre mia opinione, chiaramente.
saluti e grazie per la risposta,
Castellini
Che sia ingiusto lavorare per il fisco nei primi sei mesi dell’anno solare mi pare ovvio, così come è ingiusto che sia il cittadino a provare quello che invece spetterebbe allo Stato. Io trovo che sia ancora più ingiusto che tutto questo avvenga per compensare quella parte di mancate entrate che sono dipendenti dall’evasione fiscale. Avere cittadini che fanno fatica a pagare le tasse, o perchè i soldi non li hannno o perchè le tasse sono troppe è un conto avere chi sottrae deliberatamente le proprie entrate allo Stato è altra cosa. Leggo tutti i giorni, anche su questo blog, le lamentele del tutto giustificate sulla pressione fiscale, su quello che al fisco è permesso ma spesso non leggo di lamentele nei confronti di coloro che si sottraggono illecitamente ai propri doveri nei confronti del fisco. Mi riferisco a chi esporta illecitamente capitali all’estero e poi viene ricompesato, a chi si fà la barca portando parte dei propri incassi giornalieri in quel di San Marino, cosa provata e del tutto lecita. Provate a non pagare i contributi INPS o l’IRPEF e vedrete che tasso da usura verrà applicato, ma a quelli hanno portato capitali all’estero è stato dato una sorta di premio se non ricordo male, ma qualcuno potrebbe dirmi che mi sbaglio dimostarndomi il contrario con dati alla mano. Se prima non risolviamo questi problemi credo che il rapporto tra il cittadino italiano e il fisco si manterrà conflittuale per molto tempo.
@Antonio Pace
guardi che non e’ per nulla chiaro !!!!!
il prelievo dal c/c non e’ un ricavo ( riguarda risorse incassate a fronte di una fattura )
quindi come si fa a considerare un prelevamento come un ricavo , in base a quale alchimia una uscita di cassa diventa un ricavo , dal punto di vista ragioneristico non trova nessun fondamento ( all’Universita’ non mi hanno mai insegnato che l’uscita di cassa equivale ad un ricavo ) .
Quindi secondo me’ lei non sa’ proprio quel che dice come non lo sa’ chi sostine il contrario .
O siamo tutti impazziti o le regole sono state starvolte , come al solito , a beneficio del NOSTRO INGORDO FISCO , e della sua insaziabile fame di risorse !!!!!
Ritorni a studiare che ne ha BISOGNO !!!!!!!!!!!!!!
Mi sono messo in malattia fino al 4 giugno. Adesso sto bene, comincio a lavorare.
Buongiorno, l’articolo di Serena Sileoni è, come sempre, molto interessante e centra appieno una delle tante ingiustizie che caratterizzano il rapporto tra fisco e contribuente.
Serena mette in luce, giustamente, come le assurde regole fiscali siano in particolare discriminanti per i liberi professionisti e gli imprenditori, che sono chiamati a dover giustificare, con onere della prova a loro carico, qualsiasi prelievo dai propri conti correnti.
Aggiungo però che, in questo quadro di drammatica mancanza di tutela per il contribuente, un ulteriore dettaglio complica ulteriormente le cose per i liberi professionisti che operano in regime di contabilità semplificata. Infatti, per questa tipologia di contabilità, non è prevista la tenuta dei registri contabili e quindi qualsiasi movimento in termini di prelievo o pagamento in contanti, non può essere registrato in alcun mastro. Ne consegue che si determina una ulteriore disfunzione più volte sottolineata da innumerevoli tributaristi e fiscalisti: ovvero che un libero professionista in regime semplificato NON ha alcun modo di dimostrare il motivo di qualsiasi prelievo o pagamento in contanti! In altre parole, il Fisco ti accusa e ti impone l’onere di dimostrare il contrario: e il contribuente è messo con le spalle al muro da una legislazione di contabilità semplificata che gli impedisce di poter, in ogni caso, rendere giustificabili e trasparenti i suoi movimenti. Una ennesima assurdità grande come una casa!
PS: sig.ra Sileoni, un suo post sull’argomento sarebbe il benvenuto, grazie
Io penso che se un libero professionista o impresario debba fare uscire del nero, difficilmente lo fa uscire da una banca… anche perché presumo che quel nero lo abbia incassato prima di spenderlo e non penso proprio che vada a infilarlo in banca nel passaggio intermedio proprio per evitare controlli su entrate e uscite anomale
Io tornerei volentieri a studiare…bei tempi, ma lei credo che debba tornare alle elementari, visto che o non sa leggere, o non ha nemmeno letto l’articolo iniziale da come straparla…
@Antonio Pace
qui quello che straparla e’ lei !!!!
quello che dice , secondo lei l’interpretazione del Fisco a questa norma non e’ assolutamente il VANGELO e’ una CAZZATA PAZZESCA come tutte le direttive fiscali emanate dall’Agenzia delle entrate , tutte interpretate a favore del fisco in barba allo STATUTO DEL CONTRIBUENTE che e’ legge dello Stato .
RIBADISCO , TORNI A STUDIARE , PERCHE’ NE HA BISOGNO !!!!!!
COMUNQUE ABBIAMO CAPITO TUTTI IL SUO MESTIERE !!!!
LEI E’ UN SERVO DI EQUITALIA , L’AZIENDA CHE STA’ AFFAMANDO GLI ITALIANI !!!
COMPLIMENTI ! CONTINUI SU’ QUESTA STRADA , CI PORTERA’ SICURAMENTE ALLO SFASCIO !
MA COMINCI A LAVORARE ANZICHE’ FARE IL SERVO DEI SIGNORI E SI VERGOGNI !!!!