Brexit, facciamo ordine – di Nicolò Bragazza
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Nicolò Bragazza.
Sia che vinca il sì che il no, il referendum britannico sulla permanenza nell’Unione Europea sarà destinato ad essere una pietra miliare nella storia europea. Questo referendum costituisce un precedente che, seppur previsto nei trattati, non era considerato politicamente realizzabile per una serie di considerazioni economiche e geopolitiche e che, come tale è destinato ad ispirare altri Paesi nella riconsiderazione del progetto dell’Unione Europea.
Negli ultimi tempi, con alcune eccezioni, molti commentatori si sono concentrati troppo sui costi di Brexit piuttosto che analizzare le ricadute a livello economico, ma soprattutto politico per l’Unione Europea. E questo sulla scia anche degli studi pubblicati che spesso si concentrano sui costi immediati e di lungo periodo per UK e tralasciano invece di considerare questo evento come economicamente rilevante per l’Europa a livello aggregato. Le conseguenze politiche invece sono state riconosciute tra le più pericolose per il processo di integrazione Europea, soprattutto per il fatto che BREXIT potrebbe ispirare atti emulativi da parte di altri Paesi interessati a riconquistare margini di autonomia rispetto all’UE.
QUELLO CHE NON SAPPIAMO E PERCHE’ E’ DIFFICILE STIMARE I COSTI DI BREXIT SIA PER UE CHE PER UK
Ancora non sappiamo quali saranno gli accordi tra UE e UK nel caso di BREXIT e questa è la vera incertezza che aleggia intorno al referendum e che rende molto complessa e incerta qualsiasi previsione sugli effetti macroeconomici dell’uscita della Gran Bretagna. Alcuni studi fanno un’analisi degli effetti sulla base di scenari di rapporti differenti: tra i più utilizzati, possiamo citare il modello di accordo Area Economica Europea (e.g. EU – Norvegia), accordi bilaterali come con la Svizzera, oppure accordi come quelli con la Turchia o la semplice adozione degli standard previsti dal WTO come nei rapporti con la Russia. In generale c’è un vasto consenso intorno all’ipotesi che l’impatto negativo di BREXIT sarà tanto inferiore quanto più gli accordi successivi tra UK e UE saranno simili a quelli attuali di membership effettiva. In questo scenario, l’adesione di UK all’Area Economica Europea è vista come una tra le più probabili e meno costose, poiché verrebbero mantenuti i quattro pilastri della libera circolazione di merci, persone, capitali e servizi. Ancora più difficile si rivela stimare i costi di lungo periodo di BREXIT per l’Europa, poiché è più complesso stimare l’impatto per un’economia che è molto più ampia di quella del Regno Unito e molto eterogenea in termini di struttura economica, tassi di crescita e relazioni commerciali.
La difficoltà di stima dei costi è quindi dovuta a svariate variabili strutturali ma anche e soprattutto sull’incertezza che ancora aleggia sui seguenti punti:
• sostanza e tempistiche per l’adozione del framework entro il quale le relazioni tra UE e UK verranno condotte.
• Incertezza delle risposte macroeconomiche delle banche centrali delle due aree valutarie principali coinvolte e sul lato fiscale da parte del governo britannico: alcuni, tra i quali George Osborne, hanno paventato un aumento delle tasse per ridurre ulteriormente il deficit e contenere eventuali effetti destabilizzanti sulle finanze pubbliche, così come non è ancora chiaro se la BoE reagirà ad una BREXIT alzando i tassi per stabilizzare la sterlina o ridurrà i tassi per sostenere ulteriormente l’attività economica.
• Ammesso e non concesso che i modelli che stimano gli effetti sulle principali variabili macroeconomiche siano ben costruiti, resta il grosso problema che prevedere con ragionevole precisione gli effetti oltre un arco temporale di dodici mesi rimane particolarmente arduo, soprattutto quando si ritiene che uno shock possa avere un impatto pervasivo sulla struttura economica di un Paese. Un’analisi con scenari alternativi può consentire maggiori insights, soprattutto a livello qualitativo, ma la stima puntuale degli effetti diventa sempre più incerta all’aumentare dell’orizzonte di previsione. Per questa ragione, è doveroso assegnare scarsa rilevanza alle proiezioni a dieci anni degli effetti di Brexit. Il risultato finale dipenderà soprattutto dall’attitudine dell’Unione Europea ad accettare che uno Stato membro possa decidere di abbandonare il processo di unificazione senza che questo generi una reazione marcatamente punitiva. L’incognita a livello politico resta e pende principalmente sulla testa dell’Unione Europea: mantenere un rapporto privilegiato con una tra le prime sei economie del pianeta con il rischio che il non punire incentivi altri paesi ad avviare le pratiche per l’EXIT.
• Effetto sulla composizione della burocrazia e dell’elitè politica europea: storicamente, la Gran Bretagna ha spesso offerto un argine contro alcune pretese regolatrici e centraliste dell’Unione Europea, che hanno, invece, visto nella Francia uno sponsor particolarmente zelante. Non è affatto escluso che un’uscita della Gran Bretagna possa velocizzare il processo di armonizzazione fiscale (verso l’alto) all’interno dell’Unione Europea e dare maggiore potere di indirizzo a quei paesi che troppo spesso si sono mostrati poco attenti alla libertà economica e troppo, invece, alle politiche di sussidi e alle sovvenzioni. Senza contare l’effetto sull’adozione di alcuni accordi commerciali di libero scambio che, come il (TTIP), rischiano di essere stravolti per pressioni di paesi come la Francia, storicamente scettici delle virtù del libero scambio.
QUELLO CHE POSSIAMO RAGIONEVOLMENTE PREVEDERE
Quello che sappiamo è ciò che già oggi ci comunicano i mercati finanziari globali che solitamente giocano d’anticipo di solito ai grandi fatti dell’attualità. Il tasso di cambio GBP/EUR si è svalutato di circa il 3,6% da inizio anno, sottolineando come i mercati siano prudenti e scontino un probabile deprezzamento della sterlina a seguito di BREXIT. Verosimilmente, in caso di non uscita, la sterlina dovrebbe riapprezzarsi in fretta.
In caso di BREXIT, è invece doveroso attendersi un periodo di elevata volatilità sui mercati finanziari inglesi e continentali dovuta all’incertezza sulla struttura degli accordi tra UK e UE. Ovviamente, le conseguenze sul sistema finanziario dipenderanno in buona parte anche dalle risposte della BoE, della ECB e della politica fiscale del governo britannico. Senza contare che molto dipenderà anche dalla reazione delle autorità europee rispetto al voto del popolo britannico: qualsiasi dichiarazione che riveli intenzioni punitive potrebbe creare ulteriore incertezza e impattare negativamente sui mercati finanziari generando il panico.
Gli impatti sull’economia “reale” invece sono invece più difficili da prevedere e verosimilmente non si manifesteranno nel breve periodo, anche perché gli accordi tra Regno Unito e UE rimarrebbe in vigore per almeno altri due anni. A questo proposito, riterrei poco verosimile una recessione della Gran Bretagna per effetto di BREXIT nel 2016, per la quale, stando alle ultime stime, ci si attende una crescita del PIL reale vicina al 2%. BREXIT potrebbe comportare una revisione al ribasso di questa stima, ma non è chiaro il meccanismo con cui questo impatto dovrebbe essere molto grande già nei prossimi mesi.
Se il governo britannico manterrà l’intenzione di procedere con tagli delle tasse (prevista riduzione di 3 punti percentuali del corporate tax rate dal 20% attuale al 17% entro il 2020) e di consolidamento del bilancio pubblico tramite decisi tagli alle spese non è escluso che gli effetti di BREXIT sull’economia britannica saranno molto contenuti e che, nonostante l’incertezza, altre imprese decidano di trasferire le proprie attività nel Regno Unito una volta svelati i contorni di massima degli accordi tra UK ed UE.
Mi sembra inoltre che scarsa attenzione da parte della stampa italiana sia stata data alle opportunità che potrebbero aprirsi per UK una volta fuori dall’UE. Non essere parte dell’Unione doganale europea implica la possibilità di stringere ulteriori rapporti commerciali con altre nazioni in maniera indipendente dall’UE e su questo punto è facile immaginare come un bacino naturale di relazioni per UK possa essere costituito dal Commonwealth e dai Paesi che hanno un passato di colonia britannica. Trovo poco verosimile che BREXIT possa rappresentare una chiusura del Regno Unito rispetto al resto del mondo e/o verso l’Europa soprattutto per ragioni storiche e di attitudine delle elitè britanniche rispetto al libero scambio e alla libera circolazione di persone e capitali. Questo, unito alla possibilità di rimanere nell’Area Economica Europea, potrebbero di fatto minimizzare i costi se non aprire a qualche guadagno sul piano economico per il Regno Unito. Inoltre, il Regno Unito riacquisterebbe piena sovranità sul processo legislativo e verrebbero meno gli automatismi per l’adozione dei Regolamenti dell’Unione Europea.
Per concludere, quello che deve essere chiaro è che gli esiti di BREXIT non sono affatto chiari e unidirezionali soprattutto nel lungo periodo e tutto dipenderà dalla volontà delle autorità europee e britanniche di preservare ciò che davvero crea valore per i cittadini: la libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali.
Premetto doverosamente che la decisione sulla brexit spetta solo ai cittadini britannici e ogni interferenza rappresenta esclusivamente una violazione della loro sovranità.
Concordo che quello che succederà dopo il referendum dipende dalla UE più ancora che dallo UK e può avere effetti positivi o negativi per entrambe le parti. Infatti, l’Economia di oltremanica ha bisogno dell’Europa, ma è vero anche il contrario.
Ci sono 4 possibili scenari:
1) Vince “Remain” e l’UE mantiene in vigore gli accordi di febbraio, anzi è disposta a riconoscere la specificità britannica con ulteriori concessioni;
2) Vince “Leave” è l’UE è disposta a raggiungere degli accordi di partnership commerciali come quelli in essere con la Svizzera e la Norvegia;
3) Vince “Remain” e la UE disconosce in tutto o in parte gli accordi di febbraio;
4) Vince “Leave” e la UE reagisce con dazi e vincoli che colpiscono tanto il mercato dei beni e dei servizi quanto il settore finanziario.
Ovviamente gli ultimi due scenari sono penalizzanti per le economie dello UK come per quelle dei membri della UE.
Quando ci si riferisce ai rischi della Brexit, ci si riferisce al quarto scenario che non sarebbe giustificato dal punto di vista pragmatico, ma che corrisponde alla logica di potere espressa da Schäuble (es. http://www.independent.co.uk/news/uk/politics/eu-referendum-brexit-would-see-uk-excluded-from-single-market-german-finance-minister-warns-a7074341.html ). Questo scenario sarebbe dettato una logica di potere volta più a prevenire eventuali di altri Stati membri.
D’altronde, l’Italia è incamminata sulla via del default e la Spagna potrebbe esserlo dopo le elezioni del 26 giugno, in caso di vittoria di Podemos.
Gia fra pochi anni una scelta che oggi appare penalizzante potrebbe rivelarsi un’ancora di salvezza.