10
Apr
2025

Boom di scorciatoie per diplomi e lauree “facili”. E il merito dov’è?

Riceviamo a volentieri pubblichiamo da Giovanni Cominelli

Secondo “Tuttoscuola”, nel Luglio del 2023 circa 30 mila ragazzi si sono trasferiti dalla scuola statale a quella “paritaria”, dopo il quarto anno superiore, il penultimo, prima del sospirato diploma.

Perché lo fanno? Per sfuggire, nel quinto anno, alla frequenza obbligatoria di tre quarti delle lezioni per poter accedere all’esame di Stato. I 30 mila hanno scelto 92 istituti “paritari”, dei quali 82 stanno in Campania, 6 in Lazio e 4 in Sicilia.

Circa 10 mila diplomi di maturità sospetti sarebbero stati rilasciati nel 2023. Il fatturato di queste vie brevi al diploma ammonterebbe a 50 milioni di Euro.

Letta l’inchiesta, il Ministro Valditara ha promesso di avviare un’ispezione, di assumere 146 ispettori, di riprogettare le procedure di riconoscimento della parità, di intensificare i controlli.

Un universo parallelo e oscuro

Tanto più necessari, perché, sia pure eliminato il fenomeno del “turismo del diploma” dell’ultimo anno, resta comunque un universo parallelo e oscuro di Istituti privati o che hanno ottenuto chissà come il riconoscimento “paritario”, nel quale il sapere e l’educazione sono una semplice copertura di altri interessi. Non da oggi, si intende. Dagli anni ’50 del ‘900.

Il metodo della scorciatoia al diploma sta contagiando anche il sistema dell’istruzione universitaria. Al momento sono 11 le Università telematiche riconosciute dal Ministero dell’Università.

Come denuncia Sabino Cassese, queste Università sono prive di biblioteche, di laboratori e di progetti di ricerca. Quanto ai docenti, “prendono a prestito insegnanti anche molto esperti, salvo che nell’educare”.

Il numero dei loro studenti è in crescita esponenziale, lungo la via facile al diploma di laurea. La stessa che viene percorsa per l’abilitazione degli insegnanti, per l’assunzione dei precari nella Scuola e dei dirigenti nella Pubblica amministrazione.

Il merito, questo sconosciuto

Quali sono gli effetti della crescita dei diplomifici delle Scuole superiori e delle Università sui livelli di sapere degli studenti e sulla qualità del reclutamento degli insegnanti, dei dirigenti e dei quadri dell’Amministrazione pubblica?

L’abbassamento dei livelli, l’analfabetismo di ritorno, la fuga dei migliori cervelli, che non sono riconosciuti e retribuiti come tali. Negli ultimi anni sono emigrati 700 mila giovani – 191 mila solo nel 2024 – la cui formazione è costata complessivamente allo Stato oltre i 100 mila Euro pro-capite.

Il criterio della selezione in base al merito, del quale si è auto-insignito con baldanza persino il vecchio MI e poi MIUR, diventando Ministero dell’Istruzione e del Merito, è il grande assente dalla Scuola, dall’Università, dalla Pubblica amministrazione.

La ragione? Non è un criterio in uso nella società civile e nella politica italiana. Non il merito, non la concorrenza, non il mercato, ma la corporazione, “la famiglia”, “il partito”, il capitalismo relazionale: ecco il baricentro.

Da anni si polemizza contro il “liberismo selvaggio” e contro “la meritocrazia”, nel nome dell’eguaglianza e dell’inclusione, mentre il Paese continua ad essere in mano a corporazioni socio-politiche, tra loro polemicamente consociate, il cui nemico comune è il rischio, la concorrenza, il merito, il cui prodotto è la diseguaglianza, la rabbia, l’emigrazione.

Abolire il valore legale del titolo di studio

Come uscirne, almeno per quanto riguarda il sistema di istruzione e educazione? Sabino Cassese da anni fa appello al farmaco dei concorsi, salvo dover ammettere che lo Stato e i governi sono storicamente incapaci di organizzarli quali strumenti di selezione meritocratica. Nel suo statalismo illuminato rifiuta di prendere atto che l’unica soluzione radicale è quella dell’abolizione del valore legale del titolo di studio.

L’articolo 33, quinto comma della Costituzione, stabilisce che è prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Esso riprende l’art. 172 del Regio Decreto n. 1592 del 31 agosto 1933, intitolato all’ “Approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore”.

Abolire quel quinto comma obbligherebbe a modificare i criteri e le tecniche di valutazione e di certificazione, in base a rigorosi standard di valore definiti nazionalmente e dall’Unione europea. Le esperienze europee non mancano.

Qualcuno obbietta che non sarebbe necessario, ormai, perché nessuno – né Università né azienda – prende più sul serio i risultati degli Esami di maturità, visto che dichiarano maturo il 99% dei partecipanti, o i voti di Laurea.

Tanto che, in alcune Facoltà scientifiche hanno introdotto il numero chiuso e delle prove selettive per accedervi, mentre il Politecnico di Milano seleziona i futuri studenti già dal quarto anno delle Scuole superiori attraverso prove severe. Sicché, converrebbe accontentarsi della svalutazione del titolo.

Tuttavia, per la Pubblica amministrazione la svalutazione non esiste. L’Amministrazione prosegue imperterrita nei suoi vari corpi, dall’Amministrazione civile, alla Finanza, all’Esercito, ai Carabinieri, alla PS con percorsi brevi e privilegiati che dispensano lauree, vuote di sapere amministrativo, ma utili per le carriere burocratiche interne.

Il motore cognitivo dell’Occidente perde colpi

Come documentano i risultati delle indagini internazionali effettuate sia da OCSE PISA che da IEA-TIMSS (International Association for the Evaluation of Educational Achievement), la classifica internazionale del 2023 è la seguente: primi Singapore, Taipei, Cina (che sottopone alle indagini solo le aree più sviluppate come Shanghai), Giappone, Hong Kong… seguono i Paesi europei, poi l’Italia, poi gli Emirati Arabi Uniti, poi gli USA. Complessivamente: i Paesi asiatici corrono, la vecchia Europa è in affanno, ma quella dell’dell’Est corre di più, gli USA in caduta. Questo dato c’entrerà qualcosa con il trumpismo emergente?

Se il Ministro Valditara si occupasse di portare il sistema nazionale dell’istruzione / educazione a navigare nel mare aperto dei saperi e del merito, invece che di tentare di trarlo in salvo con patetica ossessione dal “fiume tossico del ‘68” – sono passati, vivaddio, quasi 60 anni! – riuscirebbe a mantenere le promesse nel nome MIM. Forse.

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