15
Nov
2019

Bolivia – Tutto, prima o poi, finisce

di Carlos Di Bonifacio Leon

L’America Latina è sempre stata una regione convulsa e caotica. Sin dalla loro nascita quali enti statali indipendenti e autonomi, le nazioni sudamericane sono state vittime delle stesse malattie. Guerre civili, autoritarismi, povertà, miseria e populismi sono solo alcune di esse. Solo di recente le società latinoamericane sono riuscite ad imboccare la strada della stabilità democratica e della crescita economica, anche se, ovviamente, non tutte l’hanno ancora trovata. Infatti, negli ultimi anni non si sono verificati grandi stravolgimenti di carattere politico o economico, ad esclusione del caso venezuelano e di quello argentino. Tenendo in considerazione la storia del continente, il fatto che il tutto stesse proseguendo in maniera relativamente tranquilla e con una crescita economica relativamente importante faceva ben presagire che la regione fosse finalmente riuscita, dopo tante crisi e problemi, ad abbandonare il suo passato caotico.

L’anno 2019 segna però un momento di svolta per le sorti dell’ordine regionale. Si sono presentate delle grandi crisi che ci hanno fatto ricordare le profonde carenze istituzionali e politiche delle società latinoamericane. Le manifestazioni degli indigeni in Ecuador, il caos generato in Cile dall’aumento dei prezzi della metropolitana, il ritorno del Kirchnerismo in Argentina, ed anche la crisi istituzionale in atto tra Presidente e Congresso peruviani sono solo alcuni tra i maggiori eventi che di recente hanno modificato il panorama politico latinoamericano.

Tuttavia, negli ultimi giorni è esplosa quella che potrebbe essere la crisi nazionale più grande e importante degli ultimi anni, e che potrebbe portare a gravi conseguenze: stiamo parlando della crisi boliviana. Gli ultimi avvenimenti nel paese sudamericano, susseguitisi con una velocità incredibile, hanno precipitato il paese in una delle crisi politiche più importanti della sua storia, avendo come protagonista e causa un solo uomo: Evo Morales.

Presidente dal 2006, fino a pochi giorni fa, Evo Morales è stato uno degli uomini più influenti e importanti nella storia della Bolivia, dopo aver fatto il suo ingresso sulla scena politica del paese in qualità di attivista per un sindacato di coltivatori di coca – la cui coltura rappresentava e rappresenta ancora oggi l’unico mezzo di sussistenza per la popolazione indigena e contadina boliviana. Essendo stato il primo indigeno nella storia ad essere eletto presidente della Bolivia (gli indigeni qui rappresentano una categoria storicamente marginalizzata dal potere, sebbene costituiscano una grossa percentuale della popolazione), Morales è stato il simbolo di un cambiamento radicale rispetto al passato. Appoggiato dal Partito MAS (Movimiento al Socialismo) e dalle classi indigene e contadine della Bolivia, il nuovo presidente prometteva di risolvere una volta per tutte i grandi problemi del paese: la povertà, la disuguaglianza, l’emarginazione del mondo rurale, e la stagnazione economica. Col tempo, la Bolivia di Morales è riuscita a ottenere un continuo e importante sviluppo economico e sociale. Dalla sua ascesa al potere, il prodotto interno lordo è cresciuto in media di 4 punti percentuali rispetto al 2006, il PIL pro capite è più che raddoppiato, e la disuguaglianza si è fortemente ridotta, facendo scendere il coefficiente di Gini dal 59,9 nel 2006 al 36,4 nel 2017. Quindi, se il motivo che ha determinato lo scoppio di questa crisi non è dato, come generalmente accade, da un fattore economico…qual è? La risposta è che la crisi boliviana, a differenza delle altre che si sono più recentemente verificate in America Latina, nasce da un motivo politico.

La Costituzione boliviana permette solo un secondo mandato consecutivo alla presidenza della repubblica. Essendo stato rieletto nel 2009 con il 64% dei voti, nel 2013 stava volgendo a termine il secondo mandato di Morales che, stando dalla legge, avrebbe dovuto essere anche l’ultimo. Cionondimeno, riesce a presentarsi alle successive elezioni grazie ad una serie di decisioni controverse del tribunale costituzionale boliviano, il quale ha sentenziò che il primo periodo di Morales alla presidenza fosse da escludere dal calcolo dei mandati, seguendo quanto prescritto da una riforma costituzionale che era stata portata avanti nello stesso periodo, concludendo quindi che, ai fini del conteggio, si sarebbe dovuto considerare il secondo mandato come se fosse il primo. Dopo forti polemiche e accuse d’interferenza da parte dell’opposizione, Morales riesce comunque a candidarsi per un terzo periodo, e vince nel 2014 col 63 per cento dei voti.

È esattamente da quel punto in poi che le cose cominciano a complicarsi: a quanto pare nemmeno tre mandati erano riusciti a soddisfare le aspirazioni di Evo Morales, che quindi inizia a cercare un modo per scavalcare nuovamente il divieto dei due mandati, e finisce col trovare una possibile soluzione nella modifica della Costituzione. Nel 2016 viene indetto un referendum per approvare o rifiutare l’emendamento che avrebbe permesso un quarto mandato, ma che in caso di esito negativo, come da lui stesso ripetutamente affermato nei mesi precedenti l’appuntamento elettorale, avrebbe determinato il ritiro del presidente dalla vita politica. Il “No” alla modifica vince, ma l’ambizione di Morales non scompare. Nel 2017, il tribunale costituzionale boliviano, i cui membri erano magistrati eletti dal parlamento controllato dal partito di Morales, detta una sentenza in cui si definisce che l’eventuale divieto di candidarsi per la quarta volta avrebbe comportato una violazione dei diritti umani e politici di Evo Morales: si apre così la strada ad una delle crisi politiche più intense della storia boliviana.

Il 20 dello scorso mese, giorno in cui si svolsero le elezioni in Bolivia, Evo Morales riesce a imporsi come nuovo presidente eletto con più di 10 punti percentuali di differenza rispetto al secondo candidato, eliminando così la possibilità di ballottaggio nonché una possibile sconfitta per Morales, giacché la somma delle preferenze raccolte tra tutti i candidati oppositori ammontava ad oltre il 50 per cento dei voti totali. Col passare delle ore, però, le denunce di brogli elettorali aumentano. Il candidato oppositore più forte, Carlos Mesa, non riconosce i risultati e incita il paese a scendere in piazza a manifestare per chiedere nuove elezioni. Così, le proteste e le accuse di brogli e si fanno sempre più pesanti, fino ad esplodere nei fatti degli ultimi giorni.

Il 10 di novembre la OEA (l’Organizzazione degli Stati Americani) pubblica un documento che dichiara denuncia le elezioni boliviane come truccate, e sottolinea le irregolarità nel sistema informatico che avrebbero potuto, attraverso una manipolazione, aver alterato i numeri reali. Dopo i risultati del rapporto, e visto il crescere delle proteste e delle pressioni interne, anche l’esercito si rivolta contro il governo: Morales chiama a nuove elezioni e, sulla base delle prove emerse circa i brogli che avevano caratterizzato le ultime, cerca di dare segnali di rinnovamento e convoca un nuovo tribunale elettorale affinché ne garantisca la trasparenza, ma dopo aver ricevuto una lettera dal capo delle forze armate in cui lo si invitava ad uscire di scena, Morales rinuncia e fugge dal paese.

La polarizzazione politica e sociale provocata dall’ambizione di Morales verso l’ottenimento di un quarto mandato ha distrutto la stabilità del paese. Mentre l’ex presidente scappa in aereo alla volta del Messico, la Bolivia si ritrova in un vuoto costituzionale. Anche se il presidente del senato, Jeanine Áñez, è riuscita a prestare giuramento come presidente, non esiste in questo momento una figura chiaramente indicata dalla legge che possa detenere e di fatto esercitare il potere. Altri settori, come le forze armate, iniziano a giocare un ruolo ulteriormente destabilizzante in mezzo al disordine sociale e politico attuale, mentre i gruppi che appoggiano Morales e quelli dei suoi oppositori si incontrano e si scontrano per le strade.

Il mondo e la società boliviana non possono che assistere da spettatori a questa conflagrazione politica che ha lasciato al paese in un limbo. La Bolivia si trova in punto d’inizio che può portarla o ad un rafforzamento del sistema democratico e istituzionale, o alla deriva verso una crisi d’autorità che porterà al caos e alla successiva comparsa di un regime autoritario.

Con un po’ d’ottimismo, però, possiamo comunque sperare che si svolgeranno delle elezioni libere in un periodo relativamente breve, che si insedierà un governo legittimo attraverso metodi democratici, e che nel paese ritornerà la calma, dopo la scomparsa di un uomo che ha rappresentato un pericolo per la democrazia e la società boliviana.

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