Boicottando le aziende israeliane si condannano i territori al sottosviluppo
La polemica nata in questi giorni attorno all’ipotesi, comunicata con toni trionfalistici da alcune associazioni pacifiste, che Coop e Conad avessero aderito ad una campagna di boicottaggio dei prodotti di aziende israeliane con impianti nei territori occupati, ipotesi che pare essere finora smentita solo da Conad, suggerisce alcune riflessioni.
Lo sviluppo e le opportunità di crescita dei territori occupati, così come di qualsiasi altra zona disagiata del mondo, deriva dagli investimenti che le imprese decidono di fare in quelle zone. Solo questo può creare posti di lavoro, maggior reddito procapite, sviluppo ed emancipazione. Per i territori occupati è una straordinaria fortuna la presenza delle imprese israeliane, una fortuna che in genere non hanno le altre zone non ancora pacificate del pianeta, dove in genere nessuno va a rischiare i propri soldi. Certo, le imprese israeliane possono investire in Cisgiordania, al di qua e al di là della green line, grazie allo stato di relativa sicurezza garantito dall’esercito israeliano.
E non potrebbe essere altrimenti: quando, nel 2006, gli israeliani abbandonarono la striscia di Gaza, lasciarono a disposizione dei palestinesi serre ed impianti all’avanguardia, che avrebbero fatto la fortuna di chiunque. Ebbene, questi impianti furono distrutti da Hamas nel giro di pochi giorni, e questo più di ogni altra cosa ha condannato gli abitanti di Gaza all’indigenza. Il fatto che sui siti delle associazioni pacifiste che sostengono il boicottaggio si parli di sfruttamento dei palestinesi da parte delle aziende israeliane in cerca di profitti, la dice lunga sul senso della realtà e sulla matrice ideologica di queste campagne che purtroppo stanno avendo successo un po’ in tutta Europa, in questo caso sospinte anche dal vento dell’antisemitismo arabo: lo stesso terzomondismo marxista che individua negli investimenti stranieri la causa del sottosviluppo e non la sua più efficace medicina.
Chi oggi vorrebbe che le aziende israeliane abbandonassero i territori occupati, vorrebbe in realtà condannare i palestinesi della Cisgiordania allo stesso destino di quelli di Gaza: senza opportunità, senza lavoro, e con la magra soddisfazione di poter strumentalmente additare Israele come capro espiatorio per le loro disgrazie. Un bel risultato. Dovremmo rifletterci quando sentiamo i dirigenti della Coop parlare di modalità di tracciabilità commerciale che risolvano
l’esigenza di un consumatore che voglia esercitare un legittimo diritto di non acquistare prodotti di determinate provenienze.
Chi ha a cuore l’emancipazione dei palestinesi e lo sviluppo della loro terra dovrebbe acquistare proprio quei prodotti, piuttosto che boicottarli.
Per conto mio d’ora in poi boicotteró Coop e Conad. “Amor con amor si paga”
…”””gli israeliani abbandonarono la striscia di Gaza, lasciarono a disposizione dei palestinesi serre ed impianti all’avanguardia, che avrebbero fatto la fortuna di chiunque. Ebbene, questi impianti furono distrutti da Hamas nel giro di pochi giorni, e questo più di ogni altra cosa ha condannato gli abitanti di Gaza all’indigenza””” …
Ritengo che nell’articolo ci sia un errore di battitura !
Leggo infatti che gli impianti furono distrutti da Hamas ma credo che la parola giusta (da sostituire) sia Mossad !
…E’ quantomeno singolare che decisioni del genere siano intraprese da aziende che non brillano certo per competizione leale (pagamenti a 180 gg; agevolazioni tariffarie negli acquisti; corsie politiche preferenziali, o addirittura autoreferenziali nell’apertura di nuovi punti vendita; posizione predominante, se non monopolio, in alcuni territori; aliquote fiscali e controlli considerabili “paradisi fiscali” in confronto ad una normale partita IVA…Etc.).
…Credo che un commerciante qualsiasi, ascoltando il celebre slogan “la Coop sei tu” si senta preso in giro…E forse si irriti pure quando ex dirigenti, cambiando porta scorrevole ed uscendo coll’abito da politico o da amministratore locale, riescano solo ad elaborare ricette di appianamento del debito pubblico o raccolta delle imposte con lotte all’evasione o sacrifici…Degli altri.
Sono un pò stupito da questo vecchio rigurgito antisemita, forse deciso da qualche dirigente anagraficamente o intellettualmente prossimo alla pensione. L’effetto sarà lo stesso di un peto emesso in cima all’Everest quando tira vento…Forse questa gente si illude di ottenere qualcosa contentando un possibile mercato che è poi una minoranza folcloristica e rumorosa, anche se mediaticamente coccolata per connivenze e occasioni che da da scrivere proprio in merito del suo folclore e rumore. Che vadano a vedersi poi risultati elettorali per capire quanti son rimasti i pirla che gli vanno dietro.
Oddio, non si può nemmeno tacciare tutti di antisemitismo ogni volta che si esprime una critica a Israele, stato sovrano governato da uomini che in quanto tali possono sbagliare.
L’Europa in generale e gli stati ex nazisti e fascisti in particolare devono superare il senso di colpa che giustamente gli attanaglia per la scientificità con cui è stato perpetrato il tentativo di genocidio del popolo di Israele perché il momento lo richiede.
Non credo faccia bene a Israele stessa fargliela passare tutte lisce, è un paese ancora in lotta per la propria esistenza ma forse questo continuo stato di guerra mina la loro serenità di giudizio, soprattutto per quel che concerne il rispetto del diritto internazionale.
Si mettessero l’anima in pace e aspettassero di investire in Palestina fino a quando non ci sarà uno stato di diritto anche per i palestinesi.
@ Claudio.
Ho cercato di tenere il giudizio sulle rivendicazioni territoriali tra Israele e palestinesi al di fuori questo post.
Lo 0,4% dei prodotti di Agrexco, la compagnia israeliana in questo caso oggetto del boicottaggio, proviene dai territori occupati (la stima è stata ritenuta attendibile anche da Conad). Se Agrexco dovesse rinunciare a questa percentuale, chi pensi che dovebbe mettersi il cuore in pace, Agrexco stessa, o le famiglie palestinesi che le forniscono i prodotti o che lavorano presso di essa?
La Coop e la campagna contro i prodotti delle colonie illegali.
Coloro che definiscono “razzista” la campagna che invita a non acquistare merci israeliane prodotte nei Territori Occupati lo sanno che:
– Nei Territori Occupati, cioè in Cisgiordania e Gaza, ci vivono milioni di palestinesi con una disoccupazione che va dal 50% al 70%, esplosa soprattutto dopo la costruzione del Muro?
– Le colonie, cioè delle città israeliane dentro la Cisgiordania, con tanto di terra intorno, sono chiuse da reti metalliche e da un Muro alto fino a 9 metri e che i palestinesi non possono nemmeno avvicinarsi a queste terre e tanto meno lavorarci?
– Le colonie, in Cisgiordania, sono costruite prevalentemente sopra le maggiori falde acquifere e il Muro, che entra in Cisgiordania per parecchi chilometri, include nella parte israeliana del territorio, insieme alle colonie, anche le falde acquifere?
– Ogni abitante delle colonie consuma 1.000 litri di acqua al giorno, mentre nei villaggi palestinesi, vicini alle colonie, il consumo medio è di 30 litri al giorno?
– L’80% dell’acqua che nasce nei Territori Occupati viene convogliata in Israele e nelle sue colonie e che con il contributo di quest’acqua gli israeliani irrigano il 70% delle loro terre coltivabili, mentre con l’acqua che rimane i palestinesi possono irrigare solo il 5% delle loro?
– Nei Territori Occupati, cioè in Palestina, gli occupanti, cioè gli Israeliani, hanno il monopolio dei pozzi d’acqua e possono perforare pozzi fino a 800 metri di profondità per accedere alle falde migliori, mentre i palestinesi, nella loro terra, non possono perforare oltre i 150 metri?
– I palestinesi non possono esportare praticamente niente perché hanno già poco per loro e, comunque, per farlo dovrebbero superare gli impossibili Checkpoint israeliani?
– E se anche potessero esportare l’olio degli ulivi, ancora non sradicati, cosa potrebbero scrivere sull’etichetta: Made in Palestina? Ma lo stato palestinese non esiste, 8 milioni di palestinesi, ( 3 milioni di residenti e 5 milioni di profughi), non hanno nemmeno la terra su cui costruirlo?
– 7 milioni di israeliani vivono sull’89% della Palestina storica, mentre 5 milioni di palestinesi vivono nell’11% rimanente, una delle densità abitative più alte al mondo e una povertà dilagante, con oltre il 70% di palestinesi che vive sotto la soglia di povertà di 2 dollari al giorno?
– Israele è uno stato come gli altri e quindi può essere criticato, come si criticano tutti gli altri stati del mondo e che criticare gli israeliani non significa essere contro gli ebrei e tanto meno antisemiti o antisionisti?
29 maggio 2010
Ruggero Da Ros