Bielorussia: un’emergenza umanitaria alle porte dell’Europa
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Tommaso Roccuzzo
Non è esagerato affermare che in Bielorussia sia in corso un’emergenza umanitaria. Di quanto sta accadendo in quel paese se n’è parlato mercoledì scorso in un evento online intitolato “La lotta per la democrazia dei giovani bielorussi” e organizzato dalla Società della Taula, la confraternita degli studenti bocconiani. È intervenuta Elisa Serafini, che di recente è stata autrice di un consistente reportage per TPI sulle manifestazioni di massa che negli ultimi mesi hanno agitato il paese. L’incontro si è concentrato in particolar modo sul ruolo decisivo giocato dagli studenti nelle proteste.
Nel corso dell’evento è intervenuto anche Padre Viktar Zhuk, gesuita e parroco della chiesa di San Vladislav in Bielorussia. Zhuk, che come molti altri connazionali e religiosi bielorussi si scontra quotidianamente contro la dittatura di Lukashenko, è stato recentemente arrestato per aver preso parte alle Catene di Solidarietà, manifestazioni a sostegno di coloro che soffrono le violenze e la repressione del regime. Dopo l’arresto, Zhuk ha raccontato di essere stato condotto in un centro di detenzione, dove gli oppositori del governo vengono trattenuti a sottoposti a torture fisiche e psicologiche.
In Bielorussia manifestare contro il governo non comporta solo la perdita della propria libertà personale, ma anche uno stigma che si ripercuote sulla vita lavorativa e universitaria dei cittadini. L’intenso controllo statale al quale è sottoposta l’economia consente al regime bielorusso di reprimere il dissenso dei manifestanti, allontanandoli dal luogo di lavoro. Simile trattamento è riservato agli studenti universitari, che vengono espulsi dagli atenei e vedono sgretolarsi non solo le prospettive di carriera, ma anche la speranza di una Bielorussia democratica, in cui il parlamento e la magistratura non siano meri esecutori della volontà del regime.
Ciò che maggiormente sconvolge della situazione bielorussa è la vicinanza geografica e culturale all’Europa e la reticenza degli stati occidentali a schierarsi contro gli atti del regime. L’UE ha infatti introdotto un embargo sulle armi, il divieto di esportazione di beni utilizzabili a fini di repressione interna e il congelamento dei beni già a partire dal 2004, ma tali misure non hanno sortito gli effetti sperati. In ogni caso, secondo Serafini l’adozione di misure restrittive non sempre favorisce la diminuzione dei crimini dei regimi autoritari, ma piuttosto inasprisce le già difficili condizioni di vita dei cittadini. L’intervento degli stati occidentali dovrebbe concentrarsi piuttosto nel dare sostegno economico alle associazioni a difesa dei diritti civili e dell’imprenditoria in Bielorussia, facilitandone così la transizione a un’economia di libero mercato.
In un paese diviso tra i sostenitori di Lukashenko e i suoi oppositori, i richiami alla pace e alla riconciliazione da parte di paesi stranieri o della stessa chiesa ortodossa non sortiscono alcun effetto. La battaglia per la democrazia continua a infiammare le strade, con manifestazioni che ormai sorgono spontanee a seguito delle incarcerazioni dei principali leader dell’opposizione. Eppure, sarà difficile vedere un cambiamento nel sistema economico e politico bielorusso in breve tempo. L’economia si regge infatti sulla consistente attività di export russa, che garantisce alle casse del regime consistenti entrate economiche.
Per questo è importante mantenere alta la pressione mediatica e internazionale su quanto sta accadendo in Bielorussia e sul regime di Lukashenko.