Perché il profitto di uno è (ancora) il profitto di un altro. Bastiat 220 anni dopo
La libertà ha avuto tanti campioni. Uno dei più “simpatici” è stato un economista, giornalista e uomo politico francese, vissuto nella prima metà dell’Ottocento. Nato in provincia esattamente 220 anni fa, Frédéric Bastiat ha avuto una vita pubblica breve, appena sette anni, interrotta dalla prematura morte, avvenuta a Roma nel 1850.
Ma in quei sette anni egli ha operato con un’energia e una coerenza davvero encomiabili in difesa della società libera, usando la sua penna affilata e la sua ironia tagliente. È giustamente celebre la Petizione dei fabbricanti di candele, dove si mette alla berlina il protezionismo: i produttori chiedono l’intervento del parlamento per mettere al bando il loro concorrente: il sole.
L’apporto più importante di Bastiat è quello alla causa della libera circolazione di uomini, merci e capitali. Sulla scia del movimento inglese per l’abolizione dei dazi sul grano, Bastiat portò la battaglia in Francia, divenendo il capofila di un liberalismo coerente a favore del libero scambio.
Ed è infatti il concetto di scambio che ci introduce ai contributi fondamentali di Bastiat al pensiero liberale. Come pochi al suo tempo, il polemista francese ha capito l’autentica natura di questo fatto sociale all’apparenza semplice. Lo scambio è un’interazione volontaria, pacifica, reciprocamente vantaggiosa e che prescinde dalla condivisione dei fini (ateleologica sarebbe il termine tecnico). La cooperazione sociale scaturisce da una rete di scambi.
Per vivere, e soprattutto per vivere in modo decente, gli individui hanno bisogno gli uni degli altri; scambiare è uno dei modi più proficui per interagire con gli altri e “approfittare” della loro cooperazione. Certo, nel nostro rapporto con gli altri si potrebbe seguire anche un’altra strada. Potremmo schiavizzarli, oppure rapinarli. E infatti nella storia dell’uomo la schiavitù e il saccheggio occupano una posizione di rilievo. Ma sono giochi a somma zero: qualcuno guadagna a spese di qualcun altro. Non c’è alcuna crescita economica, alcun progresso sociale.
Qui sta una delle intuizioni più geniali di Bastiat: la distinzione tra lavoro e spoliazione. I due principali modi per guadagnarsi da vivere sono lo scambio e la cooperazione pacifica con gli altri oppure l’aggressione agli altri e il furto del prodotto del loro lavoro. Da un lato Bastiat colloca il mercato, dall’altro lo Stato. Tutt’altro che anarchico, il polemista francese vuole fissare chiaramente i limiti dei pubblici poteri. «Lo Stato è e non dovrebbe essere altro che la forza comune istituita, non per essere tra tutti i cittadini uno strumento di oppressione e di spoliazione reciproca, ma, al contrario, una forza comune istituita per garantire a ciascuno il suo e far regnare la giustizia e la sicurezza».
Bastiat ha avuto anche una breve esperienza politica, avendo fatto parte dell’Assemblea Costituente e poi della Legislativa, dopo la rivoluzione del 1848. Questa breve esperienza – ha visto solamente gli albori della democrazia parlamentare – gli è bastata per comprendere quale poteva essere la degenerazione della vita politica nei sistemi parlamentari. Anticipando i temi della Scuola della Public choice, Bastiat vede all’opera nelle assemblee rappresentative tutte quelle pratiche di corsa al bottino che hanno portato all’esplosione della spesa pubblica clientelare. La sua celebre frase – «Lo Stato è la grande finzione per mezzo della quale tutti si sforzano di vivere a spese di tutti» – svela il sistema di incentivi perversi che la politica introduce nella vita sociale.
In democrazia il potere va conquistato con i voti, i voti si ottengono accontentando gli elettori più rumorosi, gli interessi organizzati (unioni di industriali, associazioni di categoria, sindacati, corporazioni, ordini professionali) vincono sempre su quelli disorganizzati (i giovani, i contribuenti). Per chi vuole conquistare e mantenere il potere è politicamente più conveniente orientarsi su vantaggi ben visibili e immediati, celandone i costi nascosti e gli effetti negativi di lungo periodo. Per utilizzare il titolo di uno dei suoi pamphlet più acuti, salvando Alitalia oggi “si vede” un effetto – gli aerei volano, i dipendenti lavorano – ma “non si vede” cos’altro si poteva fare con quei soldi, per non parlare di un fallimento solamente rimandato a domani. Diventa quasi impossibile servire l’interesse generale – il bene comune – nella lotta tra questi interessi particolari.
La ricetta di Bastiat è quella di un liberale (all’epoca si sarebbe detto di un economista, perché gli economisti erano liberali…) del suo tempo: limitazione del potere, tutela dei diritti di proprietà, rimozione degli ostacoli alla cooperazione tra gli individui. Ma il tempo è andato contro Bastiat, portando un aumento senza precedenti dell’intervento pubblico non solo nell’economia, peraltro secondo una dinamica che egli stesso aveva anticipato lucidamente. Non a tutti è dato di essere dei perdenti di così grande successo.
Per questo, Frédéric Bastiat merita di essere ricordato a 220 anni dalla nascita.
Nicola Iannello, senior fellow Istituto Bruno Leoni
Circa Alitalia, tra quello che non si vede aggiungerei chi andrebbe ad occupare gli slot assegnati alla compagnia di bandiera e di quanto abbasserebbe i prezzi per coprire le stesse tratte