26
Feb
2015

Basta rodei: c’è un interesse nazionale di mercato sulle torri RaiWay, Mediaset e Telecom Italia

Ci sono due modi per guardare all’offerta a sorpresa di acquisto pubblico e scambio lanciata da Mediaset su Rai Way, la società quotata in borsa recentemente in cui sono concentrate le torri di illuminazione del segnale televisivo delle reti RAI. Il primo è quello in cui si butta a pesce la politica italiana, immediatamente riproponendo – il patto del Nazareno, si sa, è finito – il classico schema Berlusconi sì-Berlusconi no. Il secondo è guardare alla vicenda con il punto di vista degli interessi del paese e del mercato. Le due ottiche non sono affatto coincidenti, anzi la prima elide la seconda. Avremmo dovuto impararlo, in vent’anni. Ma si sa, ci sono lezioni dure da assimilare quando l’istinto prevale sulla logica.

Cerchiamo, in maniera non tecnica, di capire i dati del problema. Nella seconda metà del 2014, la Rai in fretta e furia ha deciso di quotare le sue torri in Rai Way, mantenendone oltre il 60% in capo all’azienda pubblica radiotelevisiva. L’ha fatto per tirar su cassa, visto che il governo a sorpresa aveva tagliato 150 milioni dal bilancio corrente 2014 dell’azienda. Autorizzando la quotazione, il governo emanò un decreto della presidenza del Consiglio nel quale si affermava che il 51% dell’azienda doveva restare pubblico. Attenzione, un DPCM non è una legge. Al mercato non si è affatto detto che Rai Way sarà pubblica per sempre. In realtà una quotazione di tal fatta è stata una classica italianata: si è fatto appello a capitali privati per quote minoritarie di un’azienda che ricava il 90% del suo fatturato dalla RAI. Come a dire: caro mercato dacci i soldi, così anche tu ti unirai ai partiti che vogliono la Rai resti com’è oggi.

In realtà, il mercato sa che in Italia esistono due problemi concorrenti, su questa materia. Ruiguarda sia le aziende tv, sia quelle telefoniche. Mediaset ha le sue torri in EI Towers, di cui in aprile 2014 ha ceduto sul mercato il 25% per 300 milioni. La Rai ha le sue in Rai Way. Ogni società telefonica ha le sue. Telecom Italia da 2 anni rinvia la quotazione delle sue sul mercato. Wind, controllata dai russi di VimpelCom, quando Rai Way accelerò la quotazione decise di cederne 6mila su 10mila, e un mese fa ha chiuso l’affare con gli spagnoli di Abertis che ne stanno facendo incetta nel mondo, e hanno offerto ben un miliardo a Wind portandosene a casa 1200 più del previsto (nota successiva del 2 marzo: il closing dell’operazione emerso solo oggi fissa la cifra in 693 milioni per 7377 torri, con una valutazione significativamente inferiore alle indiscrezioni circolanti quando ho scritto).

Il mercato sa che le aziende televisive e le telefoniche se la passano maluccio, sul mercato domestico italiano. E sa che mantenere, per ognuna di esse, le proprie infrastrutture di trasmissione è economicamente un non senso. Non lo è per ciascun proprietario separato, perché ha molti debiti e poco da investire. E non lo è per il mercato italiano in generale: perché un tale sistema impedisce che, mettendo insieme gli impianti nelle mani di uno o due soggetti al massimo ma ben capitalizzati, si realizzi finalmente un’architettura di rete infrastrutturale capace di coniugare lo sviluppo dell’intera offerta di tv e tlc insieme. E’ esattamente lo stesso problema che ci blocca da anni per l’infrastruttura su rete fissa telefonica, con Telecom Italia protesa a difendere allo stremo il doppino in rame, e dunque una banda larga aperta ai concorrenti in fibra ma solo fino all’armadio di Telecom fuori dalle abitazioni – si chiama FTTC – rispetto alla cablatura in fibra fino alle case – in gergo: FTTH. Da anni – vedi l’ultimo scontro la settimana scorsa su quali quote Telecom possa o voglia acquisire salendo in Metroweb rispetto alle telcos sue concorrenti, a F2I e a Cdp – siamo bloccati su questo punto. Cadendo sempre più indietro nelle graduatorie europee del digital divide, altro che chiacchiere continue sull’Agenda Digitale.

Di conseguenza, ecco perché grandi fondi d’investimento internazionali come Blackrock hanno assunto un 10% di EI quando Mediaset ne ha ceduto una quota sul mercato, e un 5% di Rai Way quando la Rai ha fatto la stessa cosa. Anche i fondi esteri sanno bene che il Dpcm di Renzi fissava nel 51% il controllo delle torri pubbliche che deve restare in mani RAI. Ma sanno altrettanto bene che, se e quando l’Italia vorrà darsi soluzioni efficienti in materia di infrastrutture di tlc, siano esse televisive o telefoniche, ebbene quel giorno per forza di cose bisognerà imboccare la via di un’ottimizzazione proprietaria e di gestione degli impianti di illuminazione e trasmissione. Se fosse un soggetto privato a poterlo fare acquisendoli, avremmo tempi più rapidi di ottimizzazione di reti e servizi, ed è ovvio che il sottoscritto sia a favore di tale soluzione. Se invece fosse il pubblico – come pensano alcuni, che da anni invocano una rete pubblica fissa che copra di miliardi Telecom Italia risolvendole il debito e acquisendone la rete fissa (sarebbe la morte di TI) attraverso CDP – ci metteremmo invece se va bene 10 anni, tra infinite decisioni e conrodecisioni dei partiti. Non è un caso che la stssa Mediaset ieri, di fronte al governo che diceva “Rai Way resta a controllo pubblico”, abbia detto “allora fateci voi una proposta per le nostre torri”.  Ma in nessun caso la proprietà e gestione delle infrastrutture “accentrate” impedirebbe o influenzerebbe l’evoluzione dei prodotti e servizi di ciascun player di settore, televisivo e di tlc. Visto che, com’è ovvio, l’accesso agli impianti sarebbe paritario e invigilato dalle autorità di mercato e di settore.

L’Opas lanciata da Mediaset consentirà di imboccare la strada dell’interesse nazionale e di mercato, rispetto all’ennesimo scontro tra ex duopolisti della tv (ex, perché intanto Sky con una logica di puro mercato li fa sempre più neri..) e della politica? C’è da scommeterci: no. Troppo forte è il richiamo della giungla, della coazione a ripetere Berlusconi sì-Berlusconi no che è la sintesi dell’intera Seconda Repubblica. E probabilmente in Mediaset hanno lanciato l’offerta proprio perché con il no si torni a quella vecchia logica. Però l’hanno pensata bene: perché offrendo Mediaset per Rai Way più del 50% più del prezzo di collocazione sul mercato, a dirle no si rischia pure un bel danno erariale…

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1 Response

  1. Roberto

    Lanciare un’OPAS, in piena notte e senza un contatto preventivo, pur sapendo che il Governo ha già deliberato che la RAI non scenderà sotto il 51%, si tratta di una vera e propria provocazione politica. Niente di serio dal punto di vista industriale.
    Poi possiamo parlare, e concordo, sul piano strettamente economico-finanziario, ma il punto non è quello e chi ha avuto l’idea dell’OPAS è un “politico” e non
    un AD.
    Personalmente, se l’OPAS passi o meno, non mi crea alcun problema e non tifo per nessuno, ma non mi piacciono i “furbetti del quartierino” che continuano ad ammorbare la politica italiana.
    Punti di vista ovvio.
    Cordialmente.

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