28
Ott
2010

Basta con gli sregolati. Rimettere le regole al centro

Tutti siamo servi della legge perché possiamo essere liberi, scriveva Cicerone nell’ Oratio pro Cluentio. Proprio per questo il magistrato romano si rivolgeva all’assemblea con una formula di rito, per la quale se nella legge si fosse successivamente scoperto che qualcosa vi era di illegittimo, l’approvazione sarebbe stata nulla. Può sembrare anticaglia, ricordarlo. Invece, è essenziale. In un Paese come l’Italia, dove si stima che il mancato rispetto della rule of law e l’incertezza del diritto ci costino l’equivalente di 400 miliardi di mancato Pil ogni anno cioè quasi un terzo della ricchezza prodotta, riporre le regole al centro della vita pubblica è una strategia di successo sicuro per la crescita. Ed è questo, ciò che propone Roger Abravanel con il suo nuovo libro, intitolato proprio “Regole”, dopo il grande successo della sua precedente opera, dedicata alla meritocrazia, e che tanto ha fatto discutere politica ed economia. Viene facile immaginare il contrasto immediato, tra chi vuole mettere buone regole al centro di un tentativo di ripresa dell’Italia, e il panorama di sregolatezza assoluta – privata e pubblica – che ci propone la politica da qualche tempo a questa parte. Ma su questo non mi soffermo, lascio a ciascuno tutta la riprovazione del caso per una politica ridotta a budoir, dossier, inchieste, appartamentini, amanti e serietà consimili. Preferisco restare al punto, e parlare delle regole nuove.

Solo che per “regole” bisogna intendersi: per noi antistatalisti haykyani, l’ipernormativismo dirigista è un errore altrettanto se non più grave che avre poche regole sbagliate.  Dal nostro punto di vista, isogna tornare cioè alla saggezza antica e a quella della vera civiltà liberale. Non alla prevalenza della legge positiva su quella efficace perché espressione del convergere della società e dei suoi corpi intermedi. Non alla prevalenza dello Stato sulla società, della macro sulla microeconomia, l’unica fa crescere davvero perché si fonda sull’effetto che incentivi e disincentivi esercitano nelle scelte di lavoro, consumo, risparmio e investimento di milioni e milioni di individui.

Dal disordinato prevalere dell’iperproduzione legislativa nata dall’errore socialista e kelseniano, che identificava legge e decisione dello Stato, bisogna tornare alla legge come processo di scoperta invece che come puro atto decretato. Per chi volesse approfondire la fondamentale distinzione, qui un dialogo di Hayek assolutamente illuminante. In questo processo, giocoforza non è più tanto o solo il politico – lontano e spesso ignorante dei processi produttivi e dei veri mali che ritardano la crescita italiana – ma l’uomo d’impresa e chi ha cognizione di economia e sviluppo, a proporre “dal basso” in un processo di ordine spontaneo le nuove regole più efficaci per la crescita.

Analogamente – anche se fino a un certo punto, perché in realtà su questo anch’egli cede a qualche forma di dirigismo –  Abravanel nel suo libro lancia una sorta di appello, perché proprio nel mondo economico e nella società civile anche in Italia si trovi l’equivalente dei 25 baroni che nel 1215 imposero al Re d’Inghilterra la Magna Charta Libertatum. Abravanel non si limita alla dimostrazione di come e quanto perdiamo per la trasgressione e l’illegalità diffuse in tutta la società italiana, figlie non di un DNA deviato ma di un circolo vizioso di cattiva regolazione ed eccessiva invadenza pubblica. L’autore avanza cinque proposte concrete.

Ma, prima dell’analisi, due premesse. La prima è che il passaggio in corso da anni dalle regole per lo sviluppo industriale a quello sempre più basato sui servizi non si risolvono solo in deregulation e semplificazione, ma in una vera e propria riregolazione, cioè in norme nuove che devono presiedere ai cambiamenti che nel mondo nuovo attendono settori come sanità, ambiente e finanza. E’ la grande lezione della crisi mondiale.

La seconda premessa è che sono assai meno categorico di Abravanel nell’identificare come una delle cause essenziali delle cattive regole la piccola impresa italiana. Anzi, sono in pieno dissenso. Quando Abravanel scrive “piccolo è brutto, anzi bruttissimo”, identifica tout court nel più della piccola impresa l’evasione di massa, la bassa produttività e l’alto tasso di concorrenza sleale con le aziende che competono invece grazie a legalità e innovazione. Ma così si rischia di cadere nello stesso errore di decenni fa, quando s’immaginò che anche l’Italia dovesse incamminarsi obbligatoriamente verso crescite dimensionali delle aziende del tipo americano e tedesco.

Da quell’errore nacque per esempio un sistema fiscale che, intendendo favorire la grande impresa finanziarizzata, le fa pagare anche 30 punti di tax rate meno di quanto chiede invece ai piccoli. Ma l’effetto è stata la decrescita verticale dei grandi gruppi italiani nelle graduatorie comparate mondiali. La piccola impresa italiana resta in molti settori capace – malgrado tutti questi ostacoli – di adattarsi ad alta velocità al mutare della domanda, ed è grazie a lei che la quota dell’export manifatturiero nel commercio mondiale è stata difesa anche in questi ultimi due terribili anni. E’ verop che piccola impresa significam meno patrimonio, meno investimenti,l meno ricerca, ostilità al passaggio proprietario gebnerazionale aprendosi al mercato e ai manager. Ma per ovviare a questi difetti bisogna pensare a nuove regole adatte per il tessuto reale dell’impresa italiana e accompagnarla alla crescita per più investimenti e innovazione, bisogna invece evitare di replicare regole inadeguate al nostro caso. Altrimenti, oltretutto,  l’intera rappresentanza d’impresa italiana non potrà sposare questa rivoluzione, visto che i piccoli prevalgono dovunque e si sentono – sono, a mio avviso – assai più vittime che colpevoli.

Veniamo alle proposte di Abravanel. La prima è nell’ambito dei servizi pubblici locali. La frammentazione attuale nelle oltre 7mila società controllate localmente dalle Autonomie italiane impedisce a settori come la raccolta dei rifiuti – vedi il disastro napoletano – e i servizi idrici efficienza e scala d’impresa tale da generare investimenti. E sin qui siamo perfettamente d’accordo. Per questo, la proposta è di riattribuire centralmente allo Stato la concessione, disegnando autorità nazionali indipendenti per nuove regole su ambiti operativi che abbiano più senso della parcellizzazione per singolo Comune. L’obiettivo è quello di gare poi per attribuire le concessioni su più vasta scala a soggetti che abbiano taglia d’impresa paragonabile ai giganti esteri come la francese Veolia, un po’ come si fece con l’energia elettrica ai tempi della riforma Bersani. Stante che la privatizzazione di massa che noi proponiamo non passa in nessun Comune né di destra né di sinistra, forse la proposta di Abravanel ha più chanche. Lo scandalo della monnezza e dell’acqua inefficiente in teoria glòi dà ragione. Ma col federalismo in corso d’attuazione scommetto che tutte le Autonomie griderebbero all’esproprio.

La seconda proposta riguarda il turismo. Realizzare in aree vocate l’accorpamento del frazionamento proprietario offrendo concessioni edilizie a lungo termine su aree di grandi dimensioni, in modo da consentire investimenti per alzare la qualità dell’offerta e preservare insieme il territorio. Come avvenne in Costa Smeralda e come a Ortigia sta provando da anni Ivan Lo bello, il presidente di Confindustrria Sicilia che proprio della legalità e della lotta ai collusi ha fatto la nuova bandiera di Confindustria nazionale. Su questa sono pienamente d’accordo. ma scommetto che media e ambientalisti griderebbero come un col suomo alla cementificazione speculativa, invexce di capire che poli turistici di livello hanno bisogno di economie di scala e investimenti adeguati, che sono collegati alla tutela ambientale invece che al disastro delle nostre coste attuali, disastro che è figlio del fai-da-te.

Terza proposta: estendere a tutti i livelli i test per misurare i risultati di docenti e studenti, rimettere al centro il potere del Ministero con un corpo di veri ispettori per verificare i risultati del sistema. Decentrare alle Regioni l’elaborazione di un vero piano dell’offerta formativa assorbendo i provveditorati, e aprendosi a esperienze come quelle dei voucher alle famiglie, nelle Regioni in cui esiste un mercato vero dell’offerta. Il capitolo è lungo: concordo, ma immagino la reazione dei sindacati e dei docenti.

Quarta proposta, nella giustizia civile, che vale più di quella penale come freno allo sviluppo e che ci vede nelle graduatorie al 156° posto sotto Guinea e Gabon: estendere a tutti i livelli la forma organizzativa della delivery unit già sperimentata con successo da Mario Barbuto, presidente di Tribunale di Torino e oggi di Corte d’Apello, che è riuscito a smaltirne l’arretrato in pochi mesi di anni. D’accordissimo. Immagino però la reazione delle correnti dell’ANM, agli occhi delle quali sin qui ogni criterio oggettivo di verifica di produttività e merito configura un rischio che la politica ne faccia uso per metter toghe alla berlina.

Quinta proposta di Abravanel: spezzare la logica della cattiva informazione iperpoliticizzata a partire da dove essa è più parossistica, cioè la Rai, abolendo commissione di vigilanza e governance di partuiti, e frapponendo una fondazione indipendente – con nominati con incarichi a scadenze diverse per limitare lo spoil system – tra proprietà pubblica e reti e testate, sul modello di Trust BBC. Io qui sono per la privatizzazione netta, invece: non credo possibile che la politica italian per come essa è non aggirerebbe anche il filtro di una fondazione di cui essa disegnerebbe le regole.

Come si vede, sono comunque proposte molto diverse dal tono generale della politica odierna e da ciò che propone. C’è da augurarsi che almeno qualcuna di queste venga posta al centro di una seria agenda italiana.  Ne dispero profondamente, però.

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7 Responses

  1. Marina

    Rimettere le regole al centro! Eh si ma come è fattibile in Italia una simile rivoluzione!. Non so se è corretto, ma io vedo l’Italia come la casa di un hoarder, dovrebbe essere accaparratori. Sono persone com problemi mentali che tengono in casa tutto, ma prorio tutto tutto, senza buttare via mai nulla e ovviamnete in modo totalmente disordinato. In poco tempo ammucchiano talmente tante cose che in effetti per andare da una stanza all’altra si formano dei piccoli sentieri. Senza contare la sporcizia che regna ovunque. Negli USA è diventato uno show televisivo. Pochi di loro si rendono conto dell’effettivo stato in cui si trovano, alla fine devono sempre intervenire psicologi che con l’ausilio di tecnici preparati ripuliscono casa e li supportano psicologicamente. Non è come magari nelle case di ognuno di noi, che per cause varie, puo crearsi un po di disordine, e quindi con un po di lavoro rimettiamo tutto ia posto, qui le pentole, li i piatti , in quel’armadio le maglie. Quando entri in casa di un hoarder, non puoi fare lo stesso discorso, devi prendere e buttare via tutto.
    Ecco è cosi che io vedo l’Italia. Un paese subissato da leggi e leggine, dove non c’è la certezza del diritto sia esso penale o civile. I politici incommentabili, destra, centro o sinistra. L’informazione, lo sappiamo tutti, non è informazione legata com’è mani e piedi alla politica.
    Ecco in un paese cosi, come si fanno a rimettere a posto piatti e pentole senza buttare via e ripulire prima tutto?

  2. Marcello

    Ho letto con interesse la sua recensione e il suo giudizio su di essa. Concordo in molti punti mentre in altri sono critico sul giudizio della situazione. Non è mia intenzione, adesso, entrare nel merito di uno o più punti. Vorrei solo comunicarle l’amaro in bocca che mi ha lasciato la sua ultima affermazione, così come sono in netto disaccordo con il commento che mi ha preceduto che, pur essendo abbastanza diffuso, è evidente che la signora ha perso tanti anni della sua vita rimando qui in Italia. Come calatino sono onorato di mostrare come, malgrado lo stazionamento, fin dall’antichità, nella nostra collina, di tutti i popoli allora conosciuti, non solo non abbiamo perso la nostra soggettività ma abbiamo creato le nostre eccellenze come nella ceramica, conosciuta in tutto il mondo, nei prodotti agro alimentari e nell’aver dato i natali a uomini, come Don Sturzo e Scelba (per citare solo i più recenti) che hanno dato il loro importante contributo alla crescita della nostra Nazione. Certo che non abbiamo potuto fare tutto quello che potevamo fare, imbavagliati e menomati, dalla politica che, da Cammillo Benso e i suoi successori politici, hanno perpetrato trattandoci come colonie. Dopo aver tolto questo sassolino, non voglio certo fare l’analisi dal mio punto di vista su quello che è stato detto ma, oltre a riconfermare il mio italico ottimismo sul popolo più inventore del mondo, vorrei comunicare una modalità che nell’esperienza mia e di chi mi circonda, ha doto sempre frutti positivi: fare un po’ di più di quello che bisognerebbe fare, gratuitamente e senza un ritorno personale. Basta pochissimo.
    Ovviamente questa non può essere una regola ma un esempio che gli adulti dovrebbero mostrare ai giovani.
    Con rispetto.

  3. Piero

    le regole sono solo il vestito.. conta molto di più la sostanza cioè il senso civico..
    è questo quello che manca… l’amico Silviuccio è solo un acceleratore della disgregazione.. a parole vuole la libertà in pratica lo sanno pure gli sciocchi che vuole libera volpe in libero pollaio.. l’iperburocratizzazione italiota è un pernicioso rimedio allo scarso senso civico.. parametri italiani disastrosi come pil produttività innovazione flessibilità debito saldo primario eccetera sono solo CONSEGUENZE della mancanza di senso civico…

    PROPOSTA IRONICOPARADOSSALE : unica regola da introdurre=> reintrodurre 5 ore alla settimana di educazione civica in tutte le scuole .. nei cinema.. nella formazione continua in azienda e fuori.. due pagine/programmi OBBLIGATORIE nei mass media…
    ma anche questa ennesima regola fallirebbe.. come quelli che erano “costretti” dal contesto ad andare a messa ma poi non ci credono..

    PS: inoltre… Libero e Liberazione.. CHE DIFFERENZA C’E’ ?

  4. adriano

    La prima regola da cambiare è la costituzione.Finchè non lo si fa,si ragiona sul nulla.Lo spettacolo deprimente che la politica sta offrendo lo dimostra.Quali leggi possono uscire da un parlamento i cui indirizzi cambiano impunemente per le proprie convenienze?Chi cambia idea il giorno dopo del voto lo puo’ fare ,ma per avere la pretesa di ribaltarne il risultato deve avere l’onestà di ripresentarsi agli elettori.Se questo principio elementare di correttezza non viene riconosciuto,anzi piu’ volte viene ridicolizzato,come ci si può illudere che dal cilindro scaturisca qualcosa di positivo?

  5. luigi zoppoli

    Interessanti riflessioni. Relativamente alla sua premessa sui rapporti tra regole e dimensioni aziendali, premettendo che non ho basi di conoscenze sufficientemente solide, non mi è chiara la ragione per cui in una cornice di regole più favorevoli alle imprese grandi, ci sia una straripante maggioranza di imprese piccole e/o micro. E questo mi pare contrastare con la difficoltà alla crescita delle imprese che molte delle noste troppe regole frappongono.

  6. Mariano

    Dott. Oscar Giannino buongiorno,
    a proposito delle regole ho asoltato volentieri la tradmissione su radio24 ed ho anche comprato il libro ‘LE REGOLE’, sono fermamente convinto che quanto analizzato, detto e descritto sia profondamente giusto.
    Esiste solo un problema unico e inamovibile, l’essere umano ed in particolere quello che ha maturato nelle sue abitudini, nella sua cultura più profomda e intima la certezza che prima di ogni cose viene il proprio diritto, interesse, comodo, gaudio.
    questo esiste sin dal tempo nel quale se abiti una caverna e sei più piccolo di me ti scarico sulla testa una clava e mi insedio nella tua caverna con tutti gli annessi e connessi, oggi siamo solo più raffinati ed abbiamo sostituito la clava con la scenza, la chimica, la politica, il denaro.
    Qualsiasi becero che possiede in abbondanza uno di questi elementi domina e qualsiasi becero che non li possiede cerca di fare di tutto per conquistarli.
    Mi dispiace molto che 350 e più pagine di un bel libro siano solo un esercizio letterario, Le garantisco che al momento attuale l’unica cosa che non siamo, intimamente, in grado di rispettare sono le regole.
    Un esempio banalissimo, entri in uno spogliatoio di un golf club, e pieno di cartelli del tipo ‘vietato utilizzare due teli da bagno’ ‘vietato lasciare preziosi negli stipetti’ ‘vietato entrare con le scarpe sporche’, ecc. lo si dice a persone selezionate che frequentano un ambiente selezionato dove vigono regole selezionate. Non esiste.
    Continuo con lo sport, per parlare di un argomento molto superficiale (figuriamoci nel resto) abbiamo più controlli ed arbitri che attori sportivi e la dove mancano le regole saltano come birilli, e siamo in un ambito ricreativo, autonomo, al quale nessuno ci obbliga.
    Ora le faccio un esempio pratico di come funzionano le regole in Itialia, ad esempio.
    Il ministero deve emanare una legge fiscale riguardante i tributi che tutti i cittadini di un certo settore devono versare. Per un anno intero circa i titolari delle tre maggiori aziende che operano in questo settore sono in continuo contatto con il ministero fino a quando la legge che verrà approvata conterrà tutte le regole (griglie) che permetteranno loro di lavorare senza temere che nuovi soggetti entrino in competizione con loro o almeno se ci entrano non hanno assolutamente la possibilità di vincere il confronto. In questo momento la legge viene approvata e diventa un insieme di ‘regole’ che tutti dobbiamo rispettare. Anche questo è un esempio reale di cosa sono le regole e del motivo per cui successivamente si tende a non rispettarle, perchè già al momento della loro definizione c’è qualcuno che non rispetta le regole. Chiaro no?
    La ringrazio comunque per il suo continuo sforzo nel cercare obbiettività e raziocigno in un mondo nel quale l’immagine risolve tutto, i valori servono solo per costituire associazioni di volontariato il cui incasso va al 99% a chi le costituisce ed ai suoi sostenitori e 1% a coloro che ne hanno bisogno.
    La ringrazio del solo fatto che sia arrivato a leggere questo mio commento fino al termiene.

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