Avvocati: perché certificare la specializzazione è inutile—di Edoardo Garibaldi
Avvocati di tutta Italia attenzione: se avete pensato di aggiungere al vostro lunghissimo cursus honorum l’ultima stelletta, quella di avvocato specialista, smettetela di valutare quali cause patrocinare e quali no. Prendete tutto ciò che vi capita, ne avrete bisogno. Per diventare avvocato specializzato in una disciplina giuridica dovrete dimostrare, al cospetto del Consiglio nazionale forense (Cnf), di aver avuto affidamenti di cinquanta incarichi professionali per cinque anni consecutivi. Un obiettivo che non sembra di facile raggiungimento visto l’alto numero di avvocati abilitati alla professione (247.020 nel 2012) e che può risultare ancora più difficile per chi si occupi di diritto amministrativo rispetto a chi si occupa di sinistri stradali. Queste almeno sono le norme contenute nella bozza di regolamento “per il conseguimento o il mantenimento del titolo di avvocato specialista”, divulgata dal Ministero della Giustizia di concerto con il Cnf.
E se pensaste proprio di non farcela con il numero di affidamenti, ma voleste fregiarvi del titolo sul biglietto da visita o nelle pubblicità, programmate di rimanere distanti dall’attività professionale per duecento ore in un biennio. Questa è la durata prevista dei corsi per il raggiungimento della specializzazione che, si stabilisce, siano tenuti da università che abbiano sottoscritto una convenzione con l’ordine e da docenti scelti fra professori ordinari, ricercatori, avvocati specializzati. Già, ma a quale costo?, sarebbero sicuramente significativi e graveranno alternativamente sulla tassa di conservazione o sul singolo avvocato che voglia frequentarlo (costo del corso al quale bisogna aggiungere il costo del tempo che alternativamente sarebbe stato utilizzato per lavorare). Un modo in più per rendere ancora più vischioso e poco concorrenziale il mondo delle professioni liberali.
Nihil sub sole novum. Quando il governo Monti poteva finalmente mettere ordine nel caos delle professioni fu persa occasione per dare, come scriveva Silvio Boccalatte per l’Ibl, “a centinaia di migliaia, se non milioni, di lavoratori, di godere di un trattamento finalmente unitario” e dare un segnale di equità. Non furono abolite le tariffe minime, anche se il governo proclamava il contrario, e gli ordini non furono trasformati in libere associazioni poste in concorrenza tra loro. Oggi osserviamo le conseguenze di quella scelta politica.
Anche nell’ultima intervista rilasciata dal ministro della giustizia, Andrea Orlando, al Corriere della Sera, l’introduzione della specializzazione viene propagandata come un passo avanti, come qualcosa che mancava e di cui si sentiva assolutamente il bisogno. Il bisogno di poter distribuire patenti di ogni sorta, di poter dire chi può fare cosa e in che modo. Ancora una volta si adotta un approccio paternalistico, gli individui e quel luogo astratto di incontro tra offerta e domanda chiamato mercato non sono in grado di raggiungere un optimum, devono metterci il becco lo Stato e le sue propaggini che vanno sotto il nome di “ordini (imposti) professionali”.
La bozza di regolamento non prevede che con l’entrata in vigore delle specializzazioni venga istituita una riserva professionale, ovvero, anche se un avvocato avrà raggiunto la specializzazione in diritto amministrativo sarà libero di patrocinare una causa per omicidio colposo. A che pro dunque dare la possibilità di specializzarsi? O meglio, qual è la necessità di certificare qualcosa che è già nei fatti? Un avvocato che si occupa in maniera quasi esclusiva di determinate questioni giuridiche non ha certo bisogno di un riconoscimento istituzionale. Il riconoscimento lo ha avuto da ogni cliente che ha scelto il suo studio per patrocinare questioni specifiche. Se poi non dovesse raggiungere la quota fatidica di cinquanta affidamenti l’anno per cinque anni, senza sapere quanti quintali di scartoffie dover produrre per giustificare lo stato dei fatti, dovrebbe sacrificare del tempo per frequentare dei corsi che altrimenti potrebbe dedicare al lavoro.
Così come costruita, la bozza di regolamento agevola chi già può vantare una mole di lavoro consistente (grossi studi affidatari di incarichi seriali da amministrazioni e grosse imprese), ma in più potrebbe inaugurare un circolo vizioso: le pubbliche amministrazioni, ad esempio, saranno obbligate a tener conto della specializzazione nel curriculum di un avvocato per affidare delle cause. Gli avvocati che hanno già una posizione consolidata, ma che sono anche gli ultimi ad aver bisogno di protezioni dalla concorrenza, gioiscono.
Parafrasando la legge di Murphy: se un intervento legislativo in Italia può essere lesivo dei meccanismi di libero mercato, state pur certi che lo farà.
@12edoardo
Bravissimo, preciso e convincente.