Autostrade: per fare chiarezza sugli aumenti, serve trasparenza sui contratti
L’infuocato dibattito sui più recenti aumenti dei pedaggi autostradali è figlio di un quadro regolatorio incerto e inconoscibile. Il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, ha concesso questa mattina un’intervista, nella quale fa un passo verso la chiarezza, tre verso la confusione e una capriola nel populismo.
Il problema principale è di approccio: Lupi si concentra sui pedaggi, senza comprendere che la loro determinazione è il punto d’arrivo, non di partenza; o, se c’è una malattia, che questi ne sono i sintomi. Muoversi su quel fronte, insomma, rischia di fare più male che bene: perché al beneficio transitorio di aver messo un calmiere si giustappone il costo permanente dell’ennesima violazione dei patti sottoscritti dallo Stato italiano con le sue controparti. In questo senso, hanno ragione coloro che mettono in guardia contro interventi a gamba tesa.
Lupi, invece, mette tutta l’enfasi su una questione che non è solo marginale rispetto alla big picture, ma che è anche di assai discutibile concezione: vale a dire l’ormai famigerato “sconto per i pendolari”, che si spinge a descrivere con estremo dettaglio evitando, però, il punto centrale. Ossia: se lo sconto determina – fatalmente – minori ricavi per il concessionario, chi deve sborsare la differenza? Il concessionario stesso? Gli altri utenti dell’autostrada attraverso maggiorazioni dei pedaggi? I contribuenti? Oltre tutto, Lupi non si accontenta del colpo al cerchio, ma aggiunge un colpo alla botte, affrettandosi a rassicurare i concessionari sull’importanza del loro lavoro e sulla certezza delle remunerazioni. Sicché, una caramella a destra e una carezza a sinistra, una questione seria finisce come spesso buttata in caciara.
A dire la verità, almeno per quel che riguarda il futuro la situazione è più rosea che nel passato. Le competenze relative sia alla politica tariffaria, sia alla redazione dei bandi e all’organizzazione delle procedure per siglare nuove convenzioni sono passate alla neonata Autorità dei trasporti, il cui presidente, Andrea Camanzi, intervistato da Giorgio Santilli per il Sole 24 Ore, ha chiaramente fatto intendere di voler dare piena attuazione all’obbligo di legge di armonizzare tutte le convenzioni sotto la regola del price cap.
Per il passato, però, la situazione è assai complessa. Parte dei problemi derivano dal modo in cui vennero impostate le privatizzazioni, alla fine degli anni Novanta: in quel momento l’obiettivo era massimizzare il gettito, e a tal fine vennero accordate concessioni di durata sproporzionata (40 anni) in presenza, oltre tutto, di una chiara sovrastima degli attivi da remunerare, come spiega Giorgio Ragazzi ad Antonio Vannuzzo sull’Inkiesta.
La verità è che ci sono pochi margini di manovra, ma qualche margine rimane sotto almeno due profili. Il primo è la coerenza istituzionale della regolazione: è necessario superare l’attuale dualismo tra vecche e nuove convenzioni, attribuento all’Autorità dei trasporti pieni poteri anche di monitoraggio e applicazione delle vecchie concessioni (lo aveva chiesto, in tempi non sospetti, Andrea Boitani). Un conto è prestare la dovuta cautela a come si muove; altro non muoversi affatto. E ciò è particolarmente vero se si considera che quasi tutti gli ultimi ministri dei Trasporti hanno voluto dire la loro, contribuendo a creare quel clima di confusione e incertezza che spiega perché gli investitori infrastrutturali italiani pretendono rendimenti stellari.
L’altro provvedimento, ancora più urgente e potenzialmente attuabile in tempo reale e a costo zero è quello della trasparenza, alla quale Lupi fa cenno: parte dell’incertezza deriva dal fatto che i testi delle convenzioni sono “segreti” (e il contenuto delle metodologie tariffarie non è noto se non quando viene rivelato dal concessionario stesso, come ha evidenziato Vannuzzo). Se l’obiettivo deve essere quello di armonizzare le metodologie tariffarie riconducendole a unità, come avviene per esempio nel settore energetico, il primo passo deve necessariamente essere quello di fornire al pubblico tutte le informazioni; anche per capire quanto i concessionari vengano premiati (o, magari, abbiano da perdere) rispetto a uno scenario controfattuale in cui vengano adottati criteri “standard”. Non si capisce, d’altronde, perché in altri settori infrastrutturati – come energia e telecomunicazioni – chiunque possa sapere, in tempo reale, come vengono determinate le tariffe di accesso alle reti, e per le autostrade no. Per giunta, finché è coperta dalla più spessa opacità ogni decisione tariffaria assume tono oracolare e si espone per forza di cose a giudizio politico, come è accaduto con gli aumenti appena deliberati dal ministero di Lupi. Più le decisioni vengono ricondotte ad automatismi verificabili, e più si creano le condizioni perché siano accettate. D’altronde, gli aumenti intervengono a fronte di investimenti che, perlopiù, appaiono utili al paese, anche se un altro compito della nuova Authority dovrebbe essere proprio quello di valutarne il rapporto costi-benefici e la congruità.
In sostanza: il settore autostradale, dopo un lungo inter-regno di discrezionalità e confusione, si avvia a trovare un assetto stabile grazie alla nuova Autorità. Nel frattempo, senza necessariamente squadernare i contratti in essere, qualcosa si può fare. Dare visibilità sui testi delle convenzioni e sulle regole che governano le variazioni tariffarie sarebbe un deciso miglioramento.