Autorità energia. Se il cane (a sei zampe) non abbaia, morde
Sulla separazione di Snam Rete Gas dall’Eni, si delinea il primo cambiamento di rotta della nuova Autorità per l’energia, se anche la Camera confermerà il “via libera” dato dal Senato alla cinquina. Una presa di distanze dalle posizioni attuali dell’Aeeg, dunque, e un segnale importante di “normalizzazione” del suo ruolo. Dobbiamo dunque attenderci un’Autorità più sensibile alle sollecitazioni del governo e degli incumbent, e meno rigorosa nella difesa delle istituzioni del mercato?
Di fronte a una precisa domanda, secondo il resoconto di Federico Rendina, il presidente designato dell’Autorità, Guido Bortoni, prima ha sottolineato che simili scelte “spettano al governo, l’Autorità non può avere preferenze”, e poi ha anticipato che
si sceglierà con tutta probabilità (ma “stiamo lavorando”) la soluzione morbida della società verticalmente integrata con l’Eni, che sarà però “rigorosamente” chiamato a garantire l’indipendenza decisionale e funzionale. Una formula intermedia tra le altre due (separazione proprietaria secca e gestore separato) offerte in opzione dalla Ue nelle direttive sull’unbundling dell’energia, che impongono comunque – ricorda Bortoni – di procedere anche nel gas entro il 3 marzo prossimo. La separazione proprietaria – spiega Bortoni – di per sé “non sarebbe sufficiente” e anzi “potrebbe creare problemi sugli investimenti in infrastrutture, come ha dimostrato il caso della Gran Bretagna”. Andrebbe corredata in ogni caso da “un insieme di regole” per garantire “la separazione effettiva e gli investimenti adeguati”. Del resto il modello “radicale” lo abbiamo sperimentato “con qualche perplessità” afferma Bortoni senza specificare meglio.
Un ulteriore e concreto segnale viene dalle reazioni all’intervento (qui ricostruite da Luca Pagni). Il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, prendendo atto delle dichiarazioni di Bortoni, ha annunciato che, nel recepimento del terzo pacchetto energia, il governo “convergerà” sulla soluzione scelta dall’Eni (!!!). Il garante della concorrenza, Antonio Catricalà, ha rivendicato che “l’Antitrust non è mai stata una fanatica assertrice della separazione proprietaria di Snam”. Il capo dell’Eni, Paolo Scaroni, ha sinuosamente chiosato che “è la stessa soluzione adottata da Francia e Germania”. Poche e isolate le voci scettiche: in particolare Federico Testa, già responsabile servizi pubblici del Pd che col suo partito è entrato in rotta di collisione proprio sulle nomine dell’Autorità (“mi pare un modo abbastanza formale e francamente ingiusto di criticare l’Autorità uscente, che proprio della separazione reale ed effettiva della rete di trasporto dall’operatore dominante ha fatto una questione, a mio modo di vedere giusta, di aumento della concorrenzialità del settore nel nostro paese e di diminuzione dei prezzi per i consumatori”).
Si intrecciano, nel valutare le parole di Bortoni, una serie di considerazioni di opportunità, di pragmatismo, di interesse generale, di diritto e, non ultimo, di “ruolo” e prerogative dell’Autorità. Parto da queste ultime: pur essendo tecnicamente vero che non spetta all’Autorità decidere sulla separazione della rete, mi sembra troppo comodo rivendicare il diritto all’indifferenza. Tale diritto non esiste non solo perché l’Autorità non può essere indifferente su una scelta che condiziona pesantemente sia il funzionamento del mercato, sia la sua stessa attività (forme deboli di separazione richiedono una regolamentazione molto più aggressiva e di difficile enforcement, date le asimmetrie informative tra il regolatore e il gestore della rete). Ma soprattutto l’Autorità, come non è stata indifferente nel passato, non lo sarà nel futuro e non lo è neppure nel presente: tant’è che lo stesso Bortoni suggerisce quella che secondo lui è la soluzione più appropriata, riscuotendo il consenso, tra gli altri, del governo e del monopolista. (Apro una parentesi: quando Romani dice che intende concordare con l’Eni la soluzione, così come del resto disse a Carmine Fotina di aver fatto con Poste sul recepimento della terza direttiva comunitaria, proclama pubblicamente un tale conflitto di interessi e una tale sudditanza ai monopolisti pubblici che solo un paese come l’Italia può assistere in silenzio, e che conferma tutti i nostri pregiudizi sulla proprietà pubblica delle imprese e sulle soluzioni regolatorie pasticciate).
Non solo, come dicevo, l’Autorità non può essere indifferente alle soluzioni adottate. Essa non deve esserlo. Infatti, a differenza di quanto un marziano potrebbe pensare se assistesse al dibattito attuale, non è che il paese debba compiere una scelta: l’Italia ha già scelto e, colpevolmente, non ha mai applicato tale scelta. Regnante Silvio Berlusconi un’era geologica fa, veniva approvata la legge 290/2003, articolo 1, comma 4, che dice testualmente:
Ciascuna società operante nel settore della produzione, importazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica e del gas naturale, anche attraverso le società controllate, controllanti, o controllate dalla medesima controllante, e comunque ciascuna società a controllo pubblico, non può detenere, direttamente o indirettamente, a decorrere dal 1° luglio 2007, quote superiori al 20 per cento del capitale delle società che sono proprietarie e che gestiscono reti nazionali di trasporto di energia elettrica e di gas naturale.
La decisione sull’unbundling proprietario, insomma, è già presa, sebbene la deadline del 1 luglio 2007 sia stata rimandata prima al 31 dicembre 2008, e poi – con la legge 296/2006 – ai 24 mesi successivi all’adozione di un Dpcm (per l’emanazione del quale però non è prevista alcuna scadenza, sicché si tratta a tutti gli effetti di una proroga sine die, voluta dal governo Prodi per un diktat della sinistra massimalista e duramente criticata, all’epoca, da Enrico Morando). Secondo l’interpretazione dell’Autorità, esplicitata nella segnalazione linkata sopra, questa scelta impegna il governo a procedere, alla luce della direttiva che deve essere recepita. La Commissione europea, infatti, riconosce che la separazione proprietaria è lo strumento migliore, e concede – transitoriamente e trattandolo esplicitamente come un compromesso – forme meno forti di separazione, in base però al principio che non si può “tornare indietro”. Avendo già optato per la separazione proprietaria, dunque, anche se non è mai stata implementata, secondo l’attuale Aeeg non si può abbassare l’asticella. Chissà come il nuovo collegio argomenterà l’inversione di marcia, sempre che ritenga utile argomentarla, esplicitarla in un documento formale, e giustificarla.
Non mi soffermo, ma trovo preoccupante, che addirittura ci si sia spinti a mettere in discussione la bontà della separazione proprietaria della rete di trasmissione elettrica, che invece pone il nostro paese all’avanguardia in Europa e fa del nostro mercato elettrico uno dei più liberalizzati del continente (come documentiamo nel nostro Indice delle liberalizzazioni). Fatto sta che i dubbi, i distinguo e le cautele avanzate durante le audizioni lasciano immaginare un’Autorità che, nella migliore delle ipotesi, sarà silente sul tema, togliendo una spina dal fianco dell’Eni (per paradosso, proprio quando, anche per le pressioni del fondo azionista Knight-Vinke, Piazza Mattei è stata costretta a valutare non solo i costi, ma anche le opportunità insite nella cessione della rete). Di sicuro, l’endorsement delle posizioni Eni da parte di Bortoni, Catricalà e Romani, e l’immediato placet di Scaroni, sono una manifestazione palese della forza e dell’arroganza del monopolista. Una forza e un’arroganza che si riversano direttamente sui consumatori e sui concorrenti, e che sono il principale ostacolo sulla strada della piena apertura del mercato alla concorrenza.
Queste perplessità non mi impediscono di sottolineare, visto che finora è rimasto nel cono d’ombra della questione che più mi sta a cuore, che Bortoni è uomo competente e preparato e che la scelta del suo nome è, senza dubbio, una garanzia. Eppure, nel fare a Guido i migliori auguri per la conferma e per il settennato che lo attende, non posso nascondere e nascondergli il mio disappunto.
Questo articolo mostra chiaramente come il nostro paese fatichi a metabolizzare concetti come le Authority e le Agenzie, anche per colpa delle aziende e dei gruppi industriali di “alto livello” che se da un lato si lamentano dello Stato sprecone, dall’altro invece ne fanno uso per ottenere privilegi e facilitazioni (come sempre a scapito di tutti gli altri).
L’ENI (Unica vera multinazionale d’Italia) non ha ovviamente intenzione di cedere la rete e sicuramente sta lavorando da tempo ad una misura su come evitare lo scorporo e se quanto detto da Bortoni dovesse essere confermato avremmo una di quelle soluzioni astruse che falsano il mercato ed il sistema economico nel suo complesso. Ditemi solo se pensate minimamente che lasciare all’ENI le chiavi della rete elettrica nazionale sotto “promessa” di non favorirsi, sia un progresso? Sarebbe come dare alla Mafia il compito di amministrare la legalità nel meridione, sotto promessa di “tutelare i diritti di tutti”.
@Giovanni Cincinnato: in linea teorica sarei d’accordo con Lei, ma considerando gli impegni assunti da ENI (anche e soprattutto con Gazprom inerenti South Stream), sarei propenso a fidarmi della “manifestazione palese della forza e dell’arroganza del monopolista”.
@michele penzani
Se è così, e non dubito che lo sia, allora perde senso tutto l’impianto di liberalizzazione del mercato dell’energia. Detto questo avrebbe molto senso, secondo me, l’abolizione dell’Authority, dato che non si può vigilare su un monopolista unico, così facendo potremmo risparmiare qualcosina in termini di stipendi e spese e qualcos’altro in termini di dignità nazionale.
@Giovanni: già…Contraddizioni da “conflitti di interesse”.