Arbitrato: una firma per un po’ di libertà in più
Lo scorso 31 marzo il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rinviato alle Camere il testo del disegno di legge n. 1441-Quater-D (c.d. collegato lavoro), che si caratterizzava soprattutto per l’introduzione dell’arbitrato quale strumento alternativo per la risoluzione delle controversie in materia di lavoro.
Dopo lo stop imposto dal Presidente, la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati ha modificato il testo, così da soddisfare i rilievi avanzati dalla più alta carica dello Stato. A questo punto, è però necessario che le nuove norme – volte ad aprire qualche spazio di libertà all’interno del mondo del lavoro, oggi tanto rigido e ingessato – vengano approvate al più presto. Ed è esattamente a questo fine che un gruppo di professori universitari e altri esperti della materia ha lanciato un appello “A favore dell’arbitrato nelle controversie del lavoro”.
L’iniziativa si deve ad Adapt (Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del Lavoro e sulle Relazioni Industriali) e ha come primo firmatario il professor Michele Tiraboschi, noto giuslavorista e già allievo di Marco Biagi. Nel sito di questa associazione è possibile leggere l’appello e c’è pure l’opportunità di consultare una lunga serie di pareri sulla questione, formulati da alcuni tra i giuristi italiani più prestigiosi.
E così Giuseppe de Vergottini rileva come il rinvio presidenziale vada “sdrammatizzato”, tanto più che “il Presidente non contesta al Parlamento di potere l’arbitrato come alternativa alla composizione delle controversie di lavoro”. Altri eminenti costituzionalisti sottolineano che l’arbitrato “è un istituto che esalta l’autonomia e la libertà dei singoli consentendo una decisione rapida sul conflitto” (Tommaso Frosini), che l’arbitrato “è uno strumento snello e agile per la soluzione delle controversie, ed è ormai impiegato in tutti i settori” (Nicolò Zanon) e che, infine, “ha il pregio indiscusso di assicurare una soluzione tempestiva alle controversie di lavoro” (Ida Nicotra). Più specificamente, Luca Antonini sottolinea come “l’arbitrato di equità nella legge rinviata fosse stato circoscritto dal rispetto dei principi generali dell’ordinamento e come il Governo si fosse impegnato a intenderlo come rinvio ai principi regolatori della materia”.
In difesa dell’arbitrato – la cui introduzione è stata contrastata solo dalla Cgil – scendono in campo anche prestigiosi giuslavoristi, i quali affermano che “per un giovane precario che vuol far valere i suoi diritti è sicuramente preferibile un arbitrato per equità, che si concluda rapidamente e con costi legali certi, ad una causa dinanzi al giudice ordinario che dura almeno tre anni e che ha costi sicuramente maggiori” (Michel Martone); che “l’arbitrato irrituale costituisce un ottimo sistema di risoluzione delle controversie e non tocca affatto il diritto sostanziale, come si dice erroneamente” (Antonio Vallebona); che “il giudizio equitativo non è, né potrà mai essere, un giudizio contro le norme inderogabili di legge, ma, al più, come insegna la dottrina più accreditata, un giudizio volto a modellare tali norme al concreto caso da decidere” (Giampiero Proia).
Si tratta di voci molto ragionevoli e pacate, provenienti da studiosi che hanno ben presente quanto sia lenta, inefficace, farraginosa e quindi alla fine davvero iniqua la nostra giustizia ordinaria, e come sia dunque urgente dare spazio a strumenti alternativi di risoluzione delle controversie che, in altre culture, hanno da tempo ottenuto un considerevole spazio.
Quanti vogliano sottoscrivere l’appello possono inviare una mail di adesione a tiraboschi@unimore.it.