Apple, Shazam, e la lezione di Boskov
La Commissione europea ha comunicato che approfondirà l’offerta di Apple a Shazam, a seguito di una richiesta avanzata da diversi Paesi membri. Anche in questo caso, la sensazione è che, come spesso accaduto di recente, la Commissione europea miri selettivamente alcune multinazionali la cui unica colpa è il loro successo.
Nel 1991, al termine di una partita persa contro il Milan, l’allenatore della Sampdoria – Vujadin Boskov – commentò un rigore negato alla sua squadra con una frase rimasta indimenticabile per tutti gli appassionati di calcio: “rigore è quando arbitro fischia”. Una affermazione tautologica, ma che nascondeva una critica tanto sottile quanto profonda: colpevole della decisione sbagliata non era l’arbitro, ma l’eccessiva discrezionalità di cui disponeva, che a sua volta aveva reso possibile la decisione.
Genera molte meno polemiche, ma conseguenze ben più rilevanti l’imprevedibilità delle decisioni delle autorità antitrust. In Europa l’ultimo caso – paradigmatico – è quello relativo all’acquisizione di Shazam da parte di Apple. Shazam è un’applicazione che ‘riconosce’ brani musicali e altri contenuti audio, rilevandone titolo, artista, album, e altre informazioni. Una volta riconosciuta la traccia audio, l’applicazione consente di scaricarla tramite applicazioni terze. E proprio qui nasce l’interesse di Apple. Perché, tra le applicazioni cui Shazam rimanda per il download, è la svedese Spotify a fare la parte del leone, lasciando solo le briciole all’app musicale del colosso di Cupertino. Spotify, infatti, ha il doppio degli abbonati rispetto ad Apple Music, e una parte consistente di traffico viene generato proprio dalle tracce riconosciute con Shazam.
La strategia di Apple, a questo punto, è chiara: indirizzare su Apple Music, e non più su Spotify, gli utenti di Shazam. Come? Facile, per chi come Apple ha finanze solide: comprando quest’ultima, che al contrario è riuscita a generare profitti l’anno scorso per la prima volta in nove anni, e continua ad avere problemi di redditività. La scorsa estate arriva la prima offerta, e a dicembre Apple comunica di aver chiuso l’accordo per una cifra intorno ai 400 milioni. Secondo i parametri definiti dalla Commissione europea, il fatturato generato in Europa dalle due società non dovrebbe presentare problemi di compatibilità con le norme antitrust, rimanendo saldamente sotto le soglie stabilite perché si attivi la procedura di controllo da parte di Bruxelles. Pochi giorni fa, nonostante questo, arriva la doccia fredda: la Commissione comunica che approfondirà l’offerta di Apple a Shazam, a seguito di una richiesta avanzata da diversi Paesi membri. È vero, infatti, che l’acquisizione non raggiunge le soglie di fatturato fissate da Bruxelles, ma raggiunge alcune delle soglie definite autonomamente dai singoli Stati. E pertanto, scrive la Commissione, “potrebbe avere un significativo effetto avverso per la concorrenza nell’area economica europea“.
Secondo una giurisprudenza antitrust ormai piuttosto consolidata in Europa come oltreoceano, i problemi derivanti dalle concentrazioni – come quella contestata ad Apple nell’acquisizione di Shazam – derivano essenzialmente dal fatto che queste possono (i) ridurre la concorrenza, (ii) generare monopoli e (iii) determinare aumenti di prezzo per i consumatori. Per quanto riguarda il primo punto, ci si chiede quale concentrazione, intesa come l’acquisizione o la fusione di imprese, non limiti la concorrenza, per il solo fatto che le imprese attive sul mercato necessariamente diminuiranno. Quindi i casi sono due: o tutte le concentrazioni dovrebbero essere illegali, perché limitano la concorrenza, o non dovrebbe esserlo nessuna. O, e qui veniamo al secondo e al terzo punto, si dovrebbero stabilire dei criteri chiari per determinare a quali condizioni una concentrazione limiti la concorrenza.
Nell’ordinamento euro-unitario, il primo e più importante criterio per determinarlo è la quota di fatturato. Nel caso di Apple e di Shazam, questa quota non viene raggiunta. Se ne dovrebbe dedurre che l’acquisizione rispetta le norme dell’Unione europea, ma “rigore è quando arbitro fischia”: e che volete che sia la certezza del diritto in confronto? Il secondo criterio per valutare la limitazione della concorrenza è il rischio di creazione di un monopolio, rispetto al quale basterebbe considerare come nel mercato della musica digitale esista un’impresa – Spotify – che da sola detiene il doppio degli abbonamenti di Apple Music per escludere l’ipotesi. Infine, una concentrazione potrebbe rivelarsi lesiva della concorrenza nel momento in cui determinasse un aumento dei prezzi ai consumatori. Il che fa sorridere se si pensa che solo qualche mese fa, in alcuni tra gli stessi Paesi che oggi pongono il caso all’attenzione della Commissione europea, Apple Music veniva accusata di praticare “prezzi predatori” ai danni dei concorrenti, cioè di offrire condizioni illecitamente favorevoli ai consumatori. In una parola, l’opposto.
La sensazione è che, come spesso accaduto di recente, la Commissione europea miri selettivamente alcune multinazionali la cui unica colpa è il loro successo. E il problema non è solo il fatto in sé, ma soprattutto che nel farlo la Commissione faccia riferimento alla “normativa” antitrust, come se la sua attività di controllo fosse effettivamente fondata su norme certe e prevedibili. Cosa che, come abbiamo visto, è palesemente falsa, ma utile a mantenere viva la finzione secondo cui tale attività sarebbe non un’immotivata ingerenza nel mercato, ma il modo per far rispettare la legge. Rigore è quando arbitro fischia, diceva Boskov. Ma c’è una differenza sostanziale tra il calcio e l’antitrust, ed è che nel primo, quantomeno, l’arbitro non può decidere durante la partita se fischiare o meno i falli di mano.
Twitter: @glmannheimer
veniva accusata di praticare “prezzi predatori” ai danni dei concorrenti, cioè di offrire condizioni illecitamente?