Anidride solforosa e politica
Anidride solforosa e politica, questi i due semplici ma insuperabili problemi che caratterizzano la miniera di Nuraxi Figus e la stessa Carbosulcis. Questi i due motivi per cui, pur con rispetto e dispiacere, non riesco a essere troppo solidale con i minatori sardi asserragliati a 373 metri di profondità; ci sarebbero anche le modalità della protesta ma si tratta di un altro discorso.
Quando nel 1975 usciva Anidride solforosa, scritta dal poeta Roberto Roversi per Lucio Dalla, la miniera e l’intero distretto carbonifero del Sulcis-Iglesiente era già in crisi da 35 anni.
La nascita della città di Carbonia, i 18.000 occupati erano una delle tante magie della Fata Autarchia. Il carbone del Sulcis, ricco di zolfo e povero di potere energetico, dopo la guerra, con la riammissione dell’Italia ai traffici commerciali internazionali, non potrà (mai più) reggere il confronto con gli altri, con tutti gli altri carboni fossili del mondo. L’ha ricordato mercoledì lo storico sardo Manlio Brigalia, sul Corriere della Sera, e forse ancor meglio ha fatto, venerdì, GB Zorzoli sulla Staffetta Quotidiana:
è come se fossi stato proiettato indietro agli anni ’80, quando fui coinvolto in discussioni sulla crisi della miniera sarda, dove per tenerla in vita venivano avanzate proposte che, salvo qualche aggiornamento, sono le stesse sul tappeto in questi giorni. E il paradossale, oggi come allora, nasce dal fatto che nei progetti per mantenere aperta la miniera si continua a sorvolare su un dato inoppugnabile: il carbone del Sulcis non è assimilabile a quello normalmente utilizzato come combustibile.
Il carbone del Sulcis, ha, infatti, un contenuto di zolfo superiore al 6%, con un potere calorifico del 20 – 25% inferiore a quello del carbone estratto nelle altre miniere. Per avere un’idea di cosa ciò significhi in termini di inquinamento, Zorzoli ricorda che una legge del 1966, quando la sensibilità in materia era indubbiamente assai inferiore ad oggi, prescriveva un limite dell’1% al contenuto di zolfo nel carbone da utilizzare nelle centrali termoelettriche. La circostanza poi che coloro i quali tifano per i minatori, molto spesso, sono gli stessi che non vogliono le centrali termoelettriche, specie se a carbone, è un’eccellenza italiana, una delle tante, di cui non possiamo che vantarci.
Il discorso potrebbe finire qua. Non hanno infatti senso alcuno le accuse rivolte all’Enel di non valorizzare a sufficienza il carbone autoctono preferendovi quello cinese (che poi sarebbe indonesiano): il carbone sardo deve essere necessariamente miscelato con carboni di normale qualità.
E non hanno senso e sostenibilità i progetti di gassificazione e sequestro dell’anidride carbonica; non ci crede nessuno. A cominciare dalla Regione Sardegna che controlla il 100% della Carbosulcis.
Eccone una dimostrazione, semplice e per nulla tecnica.
Il 23 maggio il presidente Cappellacci ha nominato amministratore unico della Carbosulcis Alessandro Lorefice – ce ne siamo già occupati –; l’11 giugno questi si è dimesso per un’inchiesta giudiziaria a suo carico riguardante i requisiti per l’inserimento in una graduatoria di insegnanti precari. Già perché prima di essere nominato, oltre a fare politica, il ventinovenne Lorefice, fresco di laurea telematica in giurisprudenza, era docente di gestione di portineria in un istituto alberghiero diretto dal padre.
Perché quando è stato nominato Lorefice i minatori e, ancor prima, i loro rappresentanti non hanno protestato? E, ancora peggio, perché hanno permesso, anzi hanno chiesto, a Mauro Pili, presidente della Regione e ora, ovviamente, Onorevole, di occupare la miniera con loro?
Il sostituto di Lorefice è Luigi Zucca: commercialista, già presidente del collegio dei revisori. Il suo compenso onnicomprensivo sarà pari a 50.000 euro, forse un po’ pochi per impegnarsi a tempo pieno in un’azienda con 463 occupati, che perde 30 milioni all’anno e che avrebbe bisogno di investimenti dell’ordine di 1.000.000.000 di euro.
Sono smantellate cattedrali nel deserto più grandi della Mineraria “Monte Sinni” (e l’ILVA ci ricorda ogni giorno rischi e costi nel tenerle aperte). Quanto prima si penserà a portare i turisti nella miniera, tanto più rapidamente si potranno trovare soluzioni industriali per il distretto carbonifero del Sulcis.
Una cosa che si dovrebbe sempre fare è qualche divisione.
30.000.000 all’anno diviso 463 lavoratori fanno 65.000 Euro all’anno per dipendente.
Mandarli a casa con 1500 Euro di pensione al mese costa molto meno che tenere aperta quella attività inutile. Vuol dire anche che quell’attività non starebbe in piedi neanche se lavorassero gratis quindi li c’è gente che letteralmente lavora per scavarsi la fossa economica.
1.000.000.000 diviso 465 sono più di 200.000 Euro a testa. Anche qui si può fare qualche riflessione.
Se si continua a salvare le attività decotte prelevando risorse (tasse) dalle attività sane, un po’ alla volta finiremo di distruggere le attività sane e rimarremo solo con quelle decotte. Manca ormai poco.
Più presto ci convinciamo che è meglio aiutare i minatori a cambiare mestiere sostenendoli per qualche tempo meglio è per tutti noi e anche per loro. Tiriamoli fuori da quel buco nero.
Non credo a chi prospetta facili (?) soluzioni come il presidente dell’associazione del carbone. Il carbone è destinato alla produzione di energia di base, supereconomica. Non sono impianti che accendi e spegni e ci vuole combustibile economico. Partire da una materia prima scadente e doverla trattare pesantemente è un suicidio economico annunciato. 6% di zolfo è una enormità.
Lo ammetto, per tanto tempo ho pensato che il Sulcis fosse la rappresentazione pratica del modo di far politica in Italia dal 1945 ad oggi. Poi ho cominciato a pormi una domanda: cosa insegna ai propri figli un padre di famiglia che continua a lavorare in una azienda che non solo produce veleno, ma che vive solamente grazie ai contributi dello stato e quindi alle spalle dei contribuenti? E poi: in settanta anni quante generazioni sarde sono state educate nell’esempio di persone ignave e incapaci non solo di attuare ma anche di immaginare soluzioni alternative per se stesse e per i propri figli? A quel punto ho capito che la politica c’entrava fino ad un certo punto, perché in fondo si trattava solo di un altro esempio dell’eccellenza italiana assoluta: la costante ricerca di una scorciatoia, costi quel che costi. Per cui… il Sulcis è solo un altro dei motivi per i quali continuo a dire che sono italiano ma che non è colpa mia.
Ma che venga chiusa e basta! I lavoratori s’arrangino come ho dovuto fare io a causa della chiusura dell’azienda in cui lavoravo!
Dai, dopo tutto anche questa miniera può creare dell’indotto anche a chi sta fuori dal sulcis, magari in futuro ci si può “estrarre” qualche voto desolforato a livello regionale:
http://lanuovasardegna.gelocal.it/regione/2012/09/01/news/il-sindaco-zedda-va-in-miniera-sto-al-vostro-fianco-1.5626755
@Lorenzo
Caro omonimo, concordo con Lei. Io non ho cognizioni tecniche specifiche e non sono in grado di fare valutazioni sulle ipotesi di “rilancio” degli impianti, ma ho la sgradevole sensazione che si tratti dell’ennesima operazione populista di assistenzialismo mascherato da pianificazione industriale. Aggiungerei che lo stesso problema della qualità scadente della materia prima vale anche (per quanto mi risulta) per il petrolio italiano: c’è, ma non è un gran che. Emerge, comunque, la necessità di cambiamento culturale. Saluti.
@Lorenzo
Lorenzo, il suo è puro e semplice buon senso, con un piccolo distinguo: il miliardo diviso per 465 porta a 2.150.537 euro a testa.
In pratica basterebbe che lo stato mettesse tutti i 465 dipendenti in pensione e investisse il miliardo in BTP per guadagnarci un bel 27,5 milioni l’anno (vedi ultima asta).
Ormai è tutto assurdo!
Se una persona normale ritira al bancomat 500 euro, li fa a pezzetti e poi li butta nel water si dice che è scemo; se invece lo Stato getta nel cesso 500 milioni di euro si dice che fa una illuminata politica sociale.
Dalle statistiche di Terna 2011 ( http://www.terna.it/LinkClick.aspx?fileticket=ImcbTJOYuhg%3d&tabid=418&mid=2501 ) si evincono alcuni aspetti:
1) complessivamente l’Italia presenta un deficit nella produzione dell’energia elettrica che colma importando dalle nazioni confinanti;
2) tale deficit si concentra principalmente nelle regioni con maggiore livello di industrializzazione;
3) la Sardegna produce un surplus di elettricità rispetto ai suoi bisogni; essendo le statistiche aggiornate al 2011, con gli impianti Alcoa ancora in funzione, l’eccesso di produzione tenderà a crescere, fermo restando l’attuale livello di utilizzo degli impianti.
Inoltre i consumi sono in calo per conseguenza della ricerca di efficienza energetica da parte delle imprese e delle famiglie e potrebbero ulteriormente calare per l’approfondirsi della crisi economica. L’industria pesante è destinata a morire in Italia perché ormai posta fuori mercato. L’eventuale chiusura di alcuni impianti energivori porterebbe inevitabilmente a un ulteriore significativo calo dei consumi riequilibrando il rapporto fra domanda e produzione.
Purtroppo in Italia si sono fatte politiche sociali e si sono assistite le aziende per evitare problemi occupazionali piuttosto che incentivare fiscalmente l’innovazione ed i progetti a lungo termine per mantenere competitive le nostre aziende. Nel settore delle tecnologie per il trattamento del carbone abbiamo perso il treno. Oggi come oggi non ha senso pensare a costruire e gestire un impianto innovativo per sfruttare il carbone del Sulcis dovendo acquistare le tecnologie e i principali componenti in Germania o negli Stati Uniti.
Le ultime proposte per l’impiego del carbone del Sulcis riguardano un impianto IGCC + CCS, che richiede un impegno di capitale enorme, non troppo distante da quello di una centrale nucleare. In compenso questi impianti riescono a “digerire” carboni di pessima qualità e scisti bituminosi garantendo al tempo stesso una resa superiore al 50% ed elevatissimi standard ambientali. Poiché in questi impianti l’energia elettrica viene ottenuta bruciando il gas di sintesi, hanno anche il vantaggio di una maggiore elasticità rispetto agli impianti a polverizzazione.
Mentre queste tecnologie sono già state ampiamente validate a livello sperimentale, non si conoscono ancora gli eventuali problemi di gestione a lungo termine degli impianti (guasti, corrosione, ecc.) che possono accrescere i costi di gestione. Un conto è accollarsi dei rischi se si vuole essere presenti nel mercato (impianti pilota a fronte di una strategia industriale di medio/lungo termine), altro è accollarsi dei rischi per pagare costosissimi impianti ad imprese estere che ci utilizzerebbero come cavie.
I costi per Kw/h sono stimati superiori a quelli del nucleare e delle altre fonti termiche senza CCS. Se invece si paragonano i costi degli impianti termici tradizionali + CCS la situazione s’inverte a favore degli impianti IGCC.
Intanto i soldi gettati nel cesso, pardon spesi in illuminate politiche sociali, non tornano più.
Intervento perfetto, concordo al 100%. Altro che sequestro del CO2.
E quel che e’ ancora piu’ assurdo che in tutta questa storia – passi per Napolitano che al Quirinale non ha abbastanza collaboratori per spiegargli la questione – non un sentito un solo media nazionale spiegare agli Italiani il totale nonsenso economico del tenere in vita la miniera. Un po’ come il nonsenso economico del buco di Bardonecchia/Valdisusa esaltato da mesi da tutte le forze politiche.
il 70% (sono stato basso la verità è il 99%) delle aziende dove lo stato è proprietario o tramite regioni-province-comuni le cosidette partecipate sono dei buchi neri.. certo a livello economico sarebbero tutte da chiudere o da riformare eliminando il 70 % dei dipendenti ed i primi sarebbero i “MANAGER” con stipendi assurdi e risultati orribili..
….GUERRA CIVILE!!!… ecco il risultato!!
il problema è che vie d’uscita non ne vedo, si vendita di asset statali,aziende non strategiche,quote e beni immobiliari ma è tutto da azzerare e ricominciare facendo una vera pulizia!! E’ POSSIBILE FARLO IN ITALIA???
Il miglior banco di prova per la convenienza economica di u sito del genere e’ il settore privato: c’e’ qualche impresa disponibile a comprare le miniere, aggiornarle tecnologicamente e continuare la produzione? Se non c’e’ (come immagino) non ha senso fare un investimento per mantenere al lavoro poco meno di 400 persone. Se non si vogliono fare licenziamenti per ragioni di opportunita’, non si potrebbero spostare questi 400 operai facendoli lavorare a servizi primari che sono ridotti all’osso? Considerate le loro competenze, non potrebbe essere piu’ produttivo per la regione Sardegna farli lavorare alla protezione del territorio ed alla prevenzione incendi?
Articolo molto realistico quanto triste! Non fraintendiamo, triste per l’Italia e per i minatori! Questo “grattacapo” non sarebbe successo se l’opportunismo dei “big” fosse cieco a tal punto! Sappiamo tutti che la storia non si fa con i se e con i ma, si fa con i fatti! Questa è un’urgenza: piano di liquidazione, recupero (del recuperabile), e tanta pazienza! Si è sempre troppo lenti, mentre l’economia ed il mondo va avanti, noi italiani amiamo vivere con lentezza! Svegliarsi e darsi una mossa! Il carbone non è utile, è un costo assurdo, cosa stiamo aspettando?.. C’è sempre qualcuno che ne fa le spese, ma forse non avrebbero avuto più ragione a lamentarsi a tempo dovuto? ora è tardi!
@Jack Monnezza
Battuta da incorniciare: passi per Napolitano che al Quirinale non ha abbastanza collaboratori per spiegargli la questione
Quanti sono i manager foraggiati dal denaro pubblico (noi)? Quale è il loro illuminato parere circa il bilancio della società? Mi sembra che utilizzare gli attuali lavoratori (esclusa la dirigenza) per incrementare la prevenzione incendi e la protezione del territorio sempre magnificati e mai realizzati? Chi mi sa illuminare circa il conto economico di questa trasformazione. Ricordo ai sindacati che loro compito è difendere il reddito dei lavoratori e non il posto di lavoro quando questo è improduttivo e fa spendere inutilmente denaro pubblico. Ovviamente non mi aspetto pareri e commenti dai nostri saputelli (ottimamente foraggiati dal denaro pubblico (nostro).
Sono convinto che un museo dell’imbecillità oltre che molto visitato ed economicamente sostenibile con un modesto investimento iniziale potrebbe anche rappresentare una piccola ssicurazione sull’ insegnamento ai visitatori per una maggiore cautela sulle banalità dichiarate dai politici.
Infine un quesito imbarazzante: come mai tanto rilievo all’indifendibile per 400 persone e nessun rumore per decine di migliaia di precari ed operai di micro o piccole imprese? Carne di porco?
Qualche domanda:
Quanto carbone viene estratto?
Chi lo acquista?
Come lo utilizza chi lo acquista?
Quanti sono i veri minatori di Carbosulcis?
Quanti sono gli impiegati e quanti i dirigenti?
Qual’è l’anzianità media dei dipendenti?
Qual’è il rapporto tra dipendenti e quantità estratta confrontato con altre miniere?
@Lorenzo ,
mi congratulo per il buon senso che lo pregna.
Simpaticamente.
Non potrebbe essere una possibile alternativa?
http://www.minerva.unito.it/Storia/Articoli/Bergius.htm
Benzina sintetica dal carbone. Una soluzione più compatibile?
Qualche Chimico o Ingegnere Chimico che ne sa qualcosa?
Per esser più chiaro ed evidenziarlo, riporto un estratto del link citato:
Ma è proprio davvero chiusa la tecnologia della trasformazione del carbone ? La combustione diretta del carbone comporta l’inquinamento dell’atmosfera a causa dei derivati dello zolfo, delle polveri, delle sostanze cancerogene, dei metalli tossici. Le leggi sempre più rigorose per la lotta all’inquinamento atmosferico hanno perciò indotto gli scienziati a studiare nuovi metodi di trattamento del carbone in modo da ottenere combustibili meno inquinanti. A maggior ragione le norme antinquinamento impediscono di utilizzare i carboni più ricchi di zolfo e di ceneri che sono molto abbondanti sulla Terra. Anche in Italia, nel bacino sardo del Sulcis, si trovano carboni di qualità merceologica scadente, che contengono dal 6 all’8 per cento di zolfo e circa il 20 per cento di ceneri; tali carboni praticamente non possono essere bruciati direttamente, benché le loro riserve siano molto grandi: un miliardo di tonnellate, equivalente, come valore energetico, a 400 milioni di tonnellate di petrolio. Le tecniche di idrogenazione consentirebbero di trasformare in combustibili liquidi o gassosi, non inquinanti, questa risorsa carbonifera sarda, inutilizzata da trenta anni.
Un’osservazione veloce dall'(ex) est Europa, da dove scrivo e dove la riconversione di un’economia basata sull’estrazione e utilizzo del carbone (di bassa qualità) è stato dei punti principali dell’agenda politica dalla caduta del muro ad oggi, per lo più in paesi in cui l’indipendenza energetica (dalla cara vicina Russia), e l’occupazione dei lavoratori sono problemi ancora più stringenti. La lezione è che solo un governo con una sua autorevolezza parlamentare, legittimazione popolare e una visione del medio lungo termine può affrontare la situazione. Cosa che in Italia manca almeno da una ventina d’anni..
Estrarre un kg di carbone di ottima qualità, poche ceneri e pochissimo zolfo, costa esattamente quanto estrarre un kg di carbone pessimo.
Siccome nel carbone del Sulcis c’è 20% di ceneri + 6% di zolfo, occorre perlomeno estrarre un 20% in pià diu carbone rispetto ad altri = maggiore costo iniziale.
Nel carbone del Sulcis c’è il 20% di ceneri = inerti. Anche se uno facesse un impianto perfetto, per ogni 5 treni di carbone utilizzati resta un treno intero di rifiuto da smaltire. Normalmente c’è lo 0,5…4% di ceneri.
Nel carbone del Sulcis poi c’è il 6% di zolfo. Questa volta è solo 1 treno di puro zolfo o più treni di composti solforati da smaltire ogni 15 treni di carbone.
Normalmente c’è lo 0,5…2% di zolfo
Il carbone è un prodotto economico per fare produzione elettrica di base, dove conta il centesimo. Siccome ce n’è già abbondante di ottima qualità passeranno diversi decenni prima che sia economicamente conveniente ricorrere alle riserve meno pregiate, più costose da estrarre e da lavorare. Il Sulcis, quindi, è in fondo ad una lista lunga qualche secolo.
Idrogenazione?! E dove lo prende l’idrogeno di grazia? Vorrebbe per caso inquinare combustibile pregiato giusto per il gusto di usare un po’ di carbone sporco?
E’ inutile gridare al complotto o alla mancata ricerca di presunti miracoli dietro l’angolo. Cominciamo col ricordare i fondamentali.
Se davvero convenisse usare carboni poveri qualcuno nel mondo avrebbe trovato il modo e lo si farebbe senza tante storie.
La validità di una tecnologia è inversamente proporzionale al numero di obblighi di legge e di incentivi statali necessari per imporla.
@Lorenzo
Ho delle competenze tecniche,ma non specifiche nel settore.
Mi pare di ricordare che l’idrogenazione si ottenga spruzzando semplicemente del vapore sul carbone rovente. Ma ci sono sicuramente tecnologie più avanzate,che io non conosco. Per questo chiedevo il parere di un Chimico. La mia domanda poi non voleva suscitare la solita guerra ideologica, della quale non mi importa un fico secco. C’è una Regione, la Sardegna. alla fame. E ci sarebbero margini per rendere possibile una produzione semplicemente defiscalizzando. Minori introiti che potrebbero essere in parte compenzati da un saldo positivo dell’iport-export.
L’Eni sicuramente sarebbe in grado di sviluppare una industrializzazione del prodotto. Che porterebbe addirittura a nuove assunzioni nel processo industriale. E poi, l’alternativa, eventualmente, sarebbe quella di bruciare il carbone in modo meno pulito. Perché lo faranno.
Ripeto. Volevo solo stimolare riflessioni di natura tecnica, alla possibile ricerca di soluzioni migliori. Ripeto a Lei quello che ho detto a Giordano rispetto ai commercianti. Questa gente la portiamo a mangiare a casa Sua.
Oppure un certo liberalismo non si cura degli effetti collaterali sulle Persone? Se è così, è una teoria monca. Gli mancano braccia e gambe.
Quanto ho scritto non è ideologia ma tecnica e chimica, utilizzando anche qualche numero.
Lei risponde con delle belle parole ma senza mettere alcun numero nelle sue argomentazioni. In questo modo dispensa illusioni che non portano lontano.
Occorre certamente aiutare queste persone. Si rilega il mio primo post: bisogna tirarli fuori da li, il che significa aiutarli a fare altro. Svenarci per continuare a mandarli in fondo ad un buco nero non mi sembra un aiuto ma una condanna per noi e per loro.
Anch’io cominciai a lavorare in un ettore che poi è sparito: impianti di combustione ad olio combustibile. Ho cambiato settore, amen.
Purtroppo di gente che mangia a casa mia con gli F24 che pago ce n’è già troppa e non vorrei che continuando a sperperare le poche risorse disponibili correndo dietro a delle illusioni la coda aumenti.
@Lorenzo
Caro Lorenzo ha tutta la mia solidarietà e comprensione.
Sottoscrivo tutto quanto lei ha ben sintetizzato nella analisi tecnica sui costi derivanti dalla scellerata e folle scelta di utilizzare il carbone sardo per produrre energia.
L’utilizzo del carbone del Sulcis era una barzelletta 40 anni fa quando ero studente di ingegneria mineraria e purtroppo il tempo è passato invano.
Forse se le risorse finanziarie spese per tenere in vita la miniera fossero state impiegate per una sana e migliore politica energetica, oggi non vedremmo chiudere l’impianto per la produzione di alluminio che si trova a poca distanza.
Abbiamo sprecato due fave per non prendere alcun piccione.