Altroconsumo, Altrasanità?
Questa indagine di Altroconsumo rivela come le cure sanitarie private ormai costino come quelle pubbliche.
In particolare, l’associazione si concentra su un campione di otto città (Bari, Firenze, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Roma, Torino), in cui vengono prese in esame 160 strutture tra case di cura, poliambulatori e strutture pubbliche, con l’obiettivo di verificare e comparare costi e tempi d’attesa su quattro esami e visite specialistiche tra i più richiesti (qui i dettagli).
Dall’indagine emerge che:
a) I prezzi variano molto tra regioni e tra città, ma anche all’interno della medesima città: mentre a Milano quattro visite ed esami specialistici costano in media 891 euro, a Napoli si paga per le stesse prestazioni 500 euro in meno; a Roma per una gastroscopia si possono spendere tra i 100 e i 1000 euro.
b) I prezzi pagati nelle strutture private sono ormai a un livello competitivo rispetto al ticket del servizio sanitario, per cui, considerati anche i minori tempi d’attesa, conviene scegliere le cure private.
Giustamente nell’indagine si denuncia come “La riduzione dei servizi sociali e delle coperture per far quadrare i bilanci sta colpendo indiscriminatamente sacche d’inefficienza e progetti validi, costruiti con cura negli anni da professionisti e storie di eccellenza”. Su questo siamo perfettamente d’accordo (come avevo già sostenuto qui e qui, con riferimento al caso dei posti letto e, prima ancora, anche Alberto Mingardi, qui e qui): i tagli indiscriminati, decisi a tavolino dalla mano politica, sono solo dannosi.
Tuttavia, sebbene Altroconsumo consideri il maggior ruolo giocato dal privato in senso positivo in quanto, giustamente, rappresenta un’ulteriore offerta per i cittadini che devono curarsi, teme che questa sorta di “privatizzazione” possa causare un aumento dei prezzi. Si rischierebbe, così, di andare verso un sistema sanitario sempre più di elite, per cui i cittadini più deboli rischierebbero di non riuscire a curarsi.
Eppure, considerato che il servizio sanitario nazionale è, ad oggi, prevalentemente pubblico, questi risultati dovrebbero far pensare proprio il contrario, ossia che è stata la gestione pubblica a far lievitare i prezzi. In ogni caso, l’incremento non è un male o un bene in sé: è un male, se a un certo prezzo non corrisponde un adeguato livello di servizio; è un bene, se il maggior prezzo è utilizzato per coprire i costi evitando di finanziare il servizio a debito, come accade nella maggior parte delle regioni.
È invece un peccato che non si approfitti di tali numeri per riflettere sull’opportunità che gli aumenti consentono, ossia di mettere sullo stesso piano l’offerta pubblica con quella privata favorendo la nascita di un contesto competitivo a tutti gli effetti, che dovrebbe incentivare i fornitori di cure a dare un servizio il più efficiente possibile al minor costo. Considerata la concorrenza tra i diversi modelli sanitari nelle varie regioni, le differenze in termini di efficienza sono dimostrate dal fenomeno della mobilità interregionale, per cui i cittadini vanno a farsi curare dove ritengono che possano trovare cure migliori, piuttosto che dove risiedono. Questo, ovviamente, a condizione che tutte le strutture siano messe nella condizione di fallire se non rispettano il vincolo di bilancio, e che le prestazioni siano remunerate con le stesse modalità di pagamento (in particolare, le tariffe uniformi per “raggruppamenti omogenei di diagnosi”).
Inoltre, alla luce delle considerazioni sulle classi più disagiate, si potrebbe riflettere sull’opportunità di riprendere quella che fu la proposta del ministro Amato, legge delega 421 del 1992, dove si introduceva la possibilità di escludere le famiglie con un certo reddito, modulato in base al numero di componenti, da alcune forme di assistenza (medicina di base, specialistica e diagnostica), le stesse che ormai costano quanto quelle private. Così facendo, si eviterebbe che chi opta per le cure private si trovi a dover pagare per un servizio di cui non usufruisce, ma soprattutto si renderebbero disponibili più risorse per chi invece non si può permettere le cure neanche al prezzo delle strutture pubbliche.
Proprio la crescente presenza di strutture e capitali privati consentirebbe di assicurare effettivamente a tutti l’accesso al servizio, facendo in modo che l’offerta incontri la domanda – secondo il Censis, quella per il privato è aumentata del 25% negli ultimi 10 anni, ovviamente proprio per quelle cure, come l’odontoiatria, da sempre giudicate inadeguate nel pubblico – seppur evitando che, in presenza di una finanza pubblica sempre più precaria, la spesa sanitaria pubblica aumenti. Questo permetterebbe, quindi, di ridurre la spesa pubblica senza diminuire i servizi e le prestazioni sanitarie e senza venir meno al principio dell’universalità dell’accesso alle cure.
Sig.Lucia Quaglino,
Lei stigmatizza i tagli indiscriminati, io chiuderei tutte le ASL.
Chiedo venia, ma non mi è chiaro:
“Inoltre, … si introduceva la possibilità di escludere le famiglie con un certo reddito, … da alcune forme di assistenza (medicina di base, specialistica e diagnostica), le stesse che ormai costano quanto quelle private. Così facendo, si eviterebbe che chi opta per le cure private si trovi a dover pagare per un servizio di cui non usufruisce, ma soprattutto si renderebbero disponibili più risorse per chi invece non si può permettere le cure neanche al prezzo delle strutture pubbliche.”
Come sarebbe possibile non “pagare per un servizio di cui non si usufruisce” se non eliminando o almeno abbassando i contributi al SSN da parte di quella famiglia?
Ed ancora, come è possibile che si rendano disponibili più risorse se chi si rivolge al privato paga di meno?
Grazie in anticipo per il chiarimento
Sig.ra Lucia Quaglino,
sono per chiudere tutte le ASL.
Ho portato mio padre in un centro privato specializzato nella vendita di apparecchi acustici. Siamo stati accolti senza appuntamento, abbiamo parlato del problema con uno specialista seduti su un divano davanti ad un caffè, ci è stato dato l’appuntamento il giorno successivo per una visita accurata, gli è stato messo appunto un apparecchio acustico ad hoc nel giro di 5-6 giorni e gli è stato consegnato GRATUITAMENTE per sei mesi, se si troverà bene lo acquisterà.
Mi chiedo: da dove nasce tanta cortesia e tanta efficienza? Risposta. Dal fatto che quello degli apparecchi acustici è un mercato libero.
Dell’idea che debba essere lo Stato a produrre e “distribuire” i servizi sanitari ci si può anche liberare.
Pensiamoci un attimo. Produrre e distribuire servizi sanitari efficienti è importante tanto quanto produrre e distribuire cibo sano… Chi è disposto ad affidare la produzione e la distribuzione di cibo allo Stato?
@ Claudio P:
forse tanta cortesia dipende anche dal fatto che l’oggetto proposto costa probabilmente più di 2000 eur (esperienza personale), e che ben difficilmente chi lo prova poi non lo acquista. Il pubblico propone solitamente protesi funzionalmente adatte ma esteticamente meno soddisfacenti, per cui molti pazienti si rivolgono ai privati.
Se vogliamo parlare di mercato, si informi prima su quanto faranno pagare le pile: lo stesso blister può essere venduto a più di 5-6 euro o, in altro negozio, a meno di 3. E tenga conto che ciascuna batteria, una volta tolto il sigillo, dura circa una settimana a prescindere dall’utilizzo effettivo…
Si può avere uno Stato meno costoso con più privato al servizio di tutti soprattutto per l’universalità delle cure, senza rinnunciare al welfare non assistenziale
http://commentiquotidiani.com/2013/01/22/uno-stato-che-costa-meno-non-significa-uno-stato-per-il-cittadino/
Sicuramente prima che di malasanità bisognerebbe parlare di mala-politica.Avendo il sottoscritto trascorso quasi 40 anni come specialista negli O.Civili di Genova,ho le idee
ben chiare,sopratutto l’esperienza recente mi ha dimostrato che non si vuole eliminare
ciò che non produce ma costa molto.E’ sicuramente preferibile per i 3/4 d’Italia lasciare tutto come sta,perchè sanificare costerebbe una serietà che non è patrimonio della nostra classe politica.Cordialmente Angelo E.D’Elia