28
Gen
2012

Altro che liberalizzazioni! Le mani del governo nei contratti agroalimentari

Abbiamo più volte sottolineato, nei post del chicago blog dedicati al decreto legge “cresci Italia”, che questo sia solo in parte un provvedimento di liberalizzazioni, smentendo le aspettative iniziali e le formule correnti con cui viene chiamato.

Esso contiene, infatti, misure molto diverse tra loro, che vanno da una effettiva liberalizzazione a forme di vera e propria regolazione delle dinamiche contrattuali, che hanno sicuramente un verso opposto rispetto alla regola generale del diritto di libertà economica e di contratto.

L’art. 62, ad esempio, disciplina in maniera estremamente dettagliata le relazioni commerciali attinenti alla cessione di prodotti agricoli e agroalimentari.

Nell’obiettivo di pareggiare il rapporto tra parti contrattuali che il governo presume su posizioni diverse (grandi distributori da un lato, e produttori dall’altro), l’articolo entra nelle dinamiche di negoziazione delle condizioni di vendita dei prodotti agricoli e agroalimentari, ne scardina gli usi commerciali e pone contenuti e condizioni rigidi per la stipulazione dei contratti di vendita, ad eccezione di quelli col consumatore finale.

D’ora in poi, essi dovranno essere conclusi in forma scritta, dovranno contenere alcune indicazioni a pena di nullità (durata, quantità, caratteristiche del prodotto venduto, prezzo e modalità di consegna e pagamento, sottoposti a tempi certi e prestabiliti) e non potranno più accompagnarsi a prassi invalse nel settore.

La finalità, come detto, è quella di imporre in maniera autoritativa l’equilibrio tra parti che potenzialmente potrebbero trovarsi in posizione asimmetrica, evitando ad esempio che il produttore debba accettare condizioni di vendita o altre condizioni contrattuali gravose, o debba attendere troppo tempo per vedersi pagata la merce.

Da questo punto di vista, l’articolo si pone in linea di continuità con altre disposizioni del decreto tese a pretendere di compensare la forza contrattuale della parte che viene ritenuta “debole” (cfr. il potenziamento della cd. class action o le novità in tema di clausole vessatorie).

Che lo Stato assuma la generica debolezza di una parte contrattuale rispetto all’altra è un argomento che richiede troppe pagine, per essere affrontato in questa sede.

Sorprendono, ad ogni modo, due elementi, relativamente a questo punto del decreto.

In primo luogo, sorprende che un provvedimento varato al fine di stimolare la crescita economica tramite la libertà economica, al punto da conferire un senso rinnovato al diritto di libertà di iniziativa economica nel suo articolo iniziale, ospiti una rigida e dettagliata disciplina di un fenomeno contrattuale quale la cessione di prodotti agroalimentari. Stona, in altre parole, con l’impianto generale e presunto del decreto che il governo sia entrato a gamba tesa nelle dinamiche negoziali della filiera agroalimentari, disciplinando elementi tipici di quella normale e quotidiana contrattazione tra operatori che dovrebbe, invece, uscire potenziata e rafforzata dal decreto legge.

O forse meglio, l’articolo in esame conferma quanto sia arduo accettare fino in fondo nella nostra cultura economica e giuridica le conseguenze del principio di libertà negoziale, lasciando che siano le parti, nella libera e certo non semplice contrattazione, a decidere cosa sia meglio per loro.

Sorprende inoltre la ingenuità con cui si può credere che una ferrea previsione d’imperio dei contenuti e dei limiti contrattuali possa davvero giovare alle parti presupposte deboli. Ammesso che esse siano effettivamente tali, non può sfuggire a un regolatore lungimirante che spesso quelle che appaiono come condizioni di iniquità sono l’unico modo per consentire la stipula del contratto, e che pertanto a farne le spese non saranno tanto le parti contrattualmente “forti”, quanto proprio quelle deboli, che non potranno più avvalersi di forme di flessibilità negoziale finora diffuse per poter comunque concludere l’accordo.

Un’ultima annotazione a margine: le sanzioni saranno irrogate dall’autorità garante per la concorrenza e il mercato, la quale poi si vedrà conseguentemente arricchire il proprio fondo derivante dalle sanzioni amministrative, dal momento che gli introiti derivanti saranno riassegnati in parte proprio alla medesima autorità, per finanziare iniziative di informazione e attività di ricerca in materia alimentare. Si confida, dunque, che all’autorità non venga l’appetito mangiando sul piatto delle sanzioni.

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5 Responses

  1. Luca

    E’ difficile capire in concreto le misure regolatorie di cui si parla qui, ma è utile comunque considerare che tutta la politica agricola europea è improntata su alcuni articoli del Trattato che considerano l’agricoltura un settore che non può essere comunque lasciato completamente alla libera concorrenza, poichè, essa dipende da fattori naturali che sfuggono all’automatismo delle leggi economiche. Quindi l’acquirente si trova sempre e comunque in condizione di vantaggio rispetto al produttore, tanto più se non associato.
    L’associazionismo giustifica l’ammortamento di onerosi costi fissi per impianti di stoccaggio, il problema è in genre che i soldi stanziati ottengano lo scopo.
    Se l’acquirente non ritiene convenienti le condizioni pre-stabilite dal Governo acquisterà altrove e l’offerta dimunuirà: Problema frequente in agricoltura è che vi è gente che si ostina a produrre più di quanto il mercato può assorbire. A mio modo di vedere si creerà così un diverso equilibrio che potrebbe meglio remunerare il lavoro agricolo anche rispetto a clausule contrattuali quasi ‘capestro’ che, ad esempio, si possono rinvenire negli usi locali, particolarmente nei contratti non scritti. Se è così, a mio modo di vedere, è bene che il governo le abbia tagliate.
    L’unica mia preoccupazione è che l’antitrust non sia distratta rispetto alla sua normale ed utilissima attività.

  2. claudio

    Burocrazia su burocrazia, nuovi burocrati su vecchi burocrati, demagogia su demagogia, altro nuovo schifo sul vecchio schifo…

  3. claudio

    Tra i mille paradossi di questa robaccia c’è che contiene nuovi costi che graveranno sulla filiera.
    Cioè la famigerata differenza tra i prezzi alla fonte e i prezzi al consumo, che tanto ossessiona i palinsesti dedicati alle casalinghe della tv generalista, non potrà che aumentare, e con essa, la retorica dei contadini sfruttati dai commercianti che ha stimolato in prima battuta il provvedimento.

  4. Emanuele

    Solitamente mi trovo in pieno accordo con gli articoli di questo blog, ma non in questo caso. Parlo da persona “informata dei fatti”, perchè li vivo tutti i giorni sulla mia pelle. Mi pare corretto, non solo dare dei termini massimi sui pagamenti della Grande Distribuzione, lo troverei più che giusto anche stabilirli per tutte le transazioni. Al momento attuale la GDO paga quando e come vuole, e nessuno ( dico nessuno ) può modificare la situazione. Siamo in uno stato in cui se hai una azienda e vuoi movimentare volumi sufficienti a giustificare i costi fissi che il sistema ti impone, devi per forza rivolgerti a questi carrozzoni inefficienti che si chiamao Catene di Distirbuzione, che fanno il bello ed il cattivo tempo, che possono decidere di sospendere i pagamenti per alcuni mesi, senza che la controparte nulla possa eccepire, che possono con la scusa della “compensazione” trattenersi indebitamente somme dai pagamenti… e poi in bocca al lupo se devi recuperarle perchè non erano dovute! La Grande Distribuzione con i termini di pagamento così lungi costringe le PMI a ricorrere all’utilizzo massiccio delle banche ( che con i tassi attuali… ) oppure a manterenere immobilizzati per liquidità ingenti quantitativi di denaro che potrebbero altrimenti essere utilizzati per nuovi investimenti… quindi evviva pagamenti corti! Purtroppo, come spesso accade in Italia, studieranno quelche stragemma contrattuale che renderà questa legge inapplicabile! Ah.. scordavo… quando si parla di costi di filiera Claudio, dovresti sapere che la parte della filiera appunto che grava di più sul costo finito è proprio la GDO o DO o dettagliate.. che fa pagare al consumatore tutte le sue inefficenze!

  5. giuseppe

    Cosa dire, sinceramente penso che questi signori così detti tecnici di tecnica capiscono ben poco visto che non c’è categoria sociale uscita indenne da queste manovre distruttive, tranne ovviamente una, quella dei politici.
    Oggi abbiamo appreso che i politici si sono ridotti lo stipendio di circa 1300 € lordi al mese, 700€ netti, ma che parte della riduzione si avrà con la prossima legislatura. Come dire, ancora una volta vi abbiamo preso in giro, i debiti che noi abbiamo fatto intanto pagateli voi.
    In quanto al governo ragazzi avete visto enti inutili (Provincie, Comunità Montane, Consorzi di Bonifica ecc.) sopprimere? Io no, ma tante attività commerciali e imprenditoriali SI. Non si può pretentere che le attività private devono pagare gli enormi sprechi del Pubblico. Pur troppo non sevivano i professori ed i banchieri per capire questo loro sono PUBBLICO.

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