Altro che contrasto alla ludopatia: il decreto dignità è una tassa sulla malattia
Come chiamereste una politica che produrrà risultati esattamente opposti a quelli dichiarati? Le norme sul gioco d’azzardo contenute nel Decreto Dignità sono un caso da manuale di applicazione del modello superfisso. All’interno di tale schema mentale, ogni variabile è esogena a ogni altra, e dunque qualunque cambiamento autoritativo nelle condizioni al contorno non determinerà nessun mutamento nel comportamento degli agenti economici.
Il decreto interviene con due misure, finalizzate al “contrasto alla ludopatia”. La prima riguarda il divieto di pubblicità diretta e indiretta a giochi e scommesse, attraverso qualunque tipo di piattaforma (carta stampata, televisione, internet, affissioni e persino sponsorizzazioni). Ne sono esclusi solo i giochi di Stato. Al di là di questa incomprensibile discriminazione, le nuove norme avranno impatti diversi nel breve e nel lungo termine. Nell’immediato, assesteranno un colpo micidiale a tutte quelle attività (come il calcio) che fino a oggi hanno beneficiato degli investimenti pubblicitari dell’industria del gioco. Più importante, però, è capire la funzione economica dell’advertising, cioè veicolare informazione, non solo cercando di invogliare i cittadini a usufruire dei servizi propagandati, ma soprattutto creando awareness riguardo agli strumenti per farlo legalmente. Il gioco online coinvolge perlopiù individui consapevoli che, liberamente e senza nuocere a sé o al prossimo, intendono sfidare la fortuna. Date le sue peculiarità e il rischio di dipendenze, esso è strettamente regolamentato: ma la rete mette a disposizione numerosi canali illegali. La pubblicità aiuta i giocatori a individuare quelli leciti; la sua assenza renderà più labile il confine. Forse qualcuno rinuncerà a giocare perché verrà meno la tentazione, ma altri finiranno semplicemente sui siti sbagliati (con annessa perdita di gettito per l’erario, en passant, come spiega Michele Arnese).
Tuttavia, la maggior parte dei giocatori incalliti non si rovinano online. I ludopatici – che rappresentano comunque una minoranza – li si trova più spesso davanti alle macchinette nei bar o nelle apposite sale. A differenza delle piattaforme su internet, i concessionari delle vlt non investono grandi risorse in pubblicità, per la semplice ragione che non ne hanno bisogno. La loro attrattività risiede nella prossimità. Su queste macchinette, il decreto incrementa il prelievo fiscale: cioè, a parità di giocate, caleranno le vincite. Come reagiranno i giocatori? Quelli occasionali, la cui domanda è elastica, forse giocheranno meno. Ma i malati veri e propri esprimono, per definizione, una domanda rigida: non sarà la minore probabilità di vittoria a dissuaderli, perché non agiscono razionalmente. E, qualora lo facessero, anche loro finirebbero per trovare più conveniente il gioco illegale, che promette premi più ricchi ma implica maggiori rischi.
La conclusione è paradossale: un pacchetto di norme che dice di voler estendere le tutele per le persone affette da dipendenze, finirà invece per spingere molti – malati e no – verso il gioco illegale; forse ridurrà la propensione al gioco da parte di coloro che non soffrono di alcuna patologia ma esercitano semplicemente la loro libertà; e agirà come una tassa sulla ludopatia. Era difficile immaginare una combinazione di misure più controproducenti di queste. Ci voleva il governo del cambiamento per riuscire a promuovere l’illegalità, disincentivare il gioco responsabile e colpire la malattia, e fare tutto questo sotto la bandiera dei buoni sentimenti.