1
Gen
2016

Alcuni libri che dovreste leggere nel 2016

Il team dell’Istituto Bruno Leoni e di LeoniBlog vi propone alcune letture per l’anno nuovo. Saggi o romanzi per continuare a riflettere, anche nell’anno nuovo, sulla libertà individuale. Buon anno e buona lettura.

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Michele Ainis – La legge oscura. Come e perché non funziona (Laterza, 1997, nuova ed. 2010)

Un libro sempre attuale, pubblicato per la prima volta nel 1997 e successivamente riveduto e aggiornato. Già due decenni fa circa Ainis rilevava come l’eccessiva complessità della regolazione rappresentasse un fenomeno oltremodo rilevante, al punto tale da mettere in crisi il rapporto fra istituzioni e cittadini e indurre questi ultimi a un atteggiamento di sfiducia nei riguardi dello Stato. Varie sono le cause – di carattere storico, linguistico, giuridico – che, secondo l’autore, determinano la “crisi” della legislazione nazionale, rendendola un monstrum normativo ipertrofico e caotico: non solo moltiplicazione delle prescrizioni e disciplina di dettaglio, nella convinzione che il diritto debba regolare tutte le azioni umane, ma altresì compromessi politici, vocazione a linguaggi autoreferenziali, talora astuzie e incompetenza. Nel tempo la legge è divenuta, da un lato, quantitativamente eccessiva e sovrabbondante; dall’altro, qualitativamente più scadente. Modifiche disordinate unitamente a sciatteria redazionale producono stratificazioni normative e complicazioni interpretative che minano la certezza del diritto. Nonostante quest’ultima non possa essere annoverata tra i principi costituzionali, rappresenta comunque una delle “regole di funzionamento preliminari ed essenziali” alla formazione della legge.
La soluzione non è una semplificazione attuata mediante la produzione di nuove norme e organismi appositi che, paradossalmente, aumentano la complicazione. Se si continuano a emanare regole per risolvere ogni problema; se il particolare viene reso generale; se nuove disposizioni vengono immesse nell’ordinamento senza un preventiva analisi della loro incidenza concreta; se la tecnica redazionale non viene utilizzata a dovere, ogni soluzione è destinata a risultare inefficace. “Se una legge ben redatta può anche essere cattiva per i propri contenuti, una legge infelicemente formulata non potrà mai considerarsi buona, quand’anche le soluzioni dettate nel caso di specie fossero le migliori possibili”. Questo è il messaggio che Ainis consegna al legislatore: chissà se con il nuovo anno potrà essere tradotto in concreto.

Vitalba Azzollini, Collaboratrice LeoniBlog

Julian Le Grand – The Other Invisible Hand. Delivering Public Services through Choice and Competition (Princeton University Press, 2007)

Muovendo dalla considerazione che in cambio delle tasse sarebbe almeno opportuno ricevere servizi di qualità, in questo libretto (circa 200 pagine) il consigliere di Tony Blair passa in rassegna 4 sistemi di offerta dei servizi pubblici: trust, in cui ci si affida al buon senso e alla motivazione dei dirigenti pubblici; mistrust, in cui si incentivano e talvolta obbligano i dipendenti e dirigenti pubblici a raggiungere determinati obiettivi di performance; voice, in cui viene dato molto peso ai feedback degli utenti dei servizi; choice, in cui ci si affida alla mano invisibile della competizione e gli utenti sono liberi di scegliere tra diversi fornitori in concorrenza tra loro.
Nessuna sorpresa che quest’ultimo risulta essere il sistema più efficace per garantire servizi di qualità, efficienti, equi e adattabili alle esigenze in mutamento. Oltre che una buona lettura, è un buon regalo che potreste fare (tra i tanti che già gli facciamo quotidianamente con le tasse) a un politico, locale o nazionale che sia.

Paolo Belardinelli, Fellow IBL

Douglass North – Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell’economia (Il Mulino, 1997 [1990])

La recente scomparsa del premio Nobel Douglass North, mi ha dato l’occasione di riprendere in mano un suo piccolo classico: “Institutions, institutional change, and economic performance”. Un mio professore di economia diceva che il mainstream della disciplina spesso perde la sua strada fra equilibri e funzioni, allontanandosi dalla cattedra del suo fondatore, Adam Smith, e serve una grande voce a ricordare di cosa si occupa veramente: di persone che devono trovare un modo per collaborare arricchendosi reciprocamente e generando benessere per la società. North ha riportato nella discussione economica contemporanea il problema delle istituzioni, meccanismi che permettono di ridurre l’incertezza in merito al comportamento degli altri, e quindi a favorire la cooperazione spontanea. In questo libro si occupa di come le istituzioni forgiano le interazioni, creando costi di transazione e opportunità per gli attori economici, e di come cambiano, spinte dalle idee e dalle organizzazioni che sanno portare avanti il cambiamento. Una lettura imprescindibile per capire davvero come funzionano i sistemi economici.

Rosamaria Bitetti, Fellow IBL

Jorge Luis Borges – Il libro di sabbia (Adelphi, 2004 [1975])

Come ebbe modo di dichiarare egli stesso, Borges fu un “innocuo anarchico, cioè un uomo che vorrebbe un minimo di governo e un massimo di individualismo”. Nel 1946 scrisse che “il più urgente dei problemi della nostra epoca […] è la graduale intromissione dello Stato negli atti dell’individuo”. Nutriva un certo scetticismo verso la democrazia e una marcata avversione per i concetti di matrice collettivista: “Le masse sono una entità astratta e irreale. Supporre l’esistenza delle masse è come supporre che tutte le persone il cui nome comincia con la lettera ‘b’ formano una società”.
In un racconto, “Il Parlamento”, contenuto nella raccolta dal titolo “Il libro di sabbia” (1975), Borges mostra in maniera geniale ed ironica l’assurdità del concetto di “rappresentanza”, attraverso la fantasiosa idea di costruire un “Parlamento del Mondo”.
“Twirl, uomo di grande lucidità e acume, osservò che il Parlamento poneva innanzitutto un problema di carattere filosofico. Progettare un’assemblea che rappresentasse tutti gli uomini era come fissare il numero esatto degli archetipi platonici, enigma che ha impegnato per secoli i perplessi pensatori. Suggerì quindi che, senza spingersi oltre, don Alejandro Glencoe rappresentasse non solo i possidenti, ma anche gli uruguaiani, così come i grandi precursori e gli uomini dalla barba rossa e quelli che stanno seduti in poltrona. Nora Erfjord [la segretaria del Parlamento] era norvegese. Avrebbe rappresentato le segretarie, le norvegesi o semplicemente tutte le belle donne? Bastava un ingegnere per rappresentare tutti gli ingegneri, compresi quelli della Nuova Zelanda?”.
“Il libro di sabbia” meriterebbe di stare nella libreria di ogni casa anche solo per “Il Parlamento”, ma contiene altri stupendi racconti – “L’altro” e “Ulrica”, per esempio – caratterizzati da atmosfere trasognate e lontane, e da una scrittura prossima alla perfezione.

P.s. Per approfondire il pensiero politico di Borges, segnalo il breve saggio di Martin Krause (“La filosofia politica di Jorge Luis Borges”) contenuto in Angel Soto (a cura di), Letteratura e libertà: Borges, Paz e Vargas Llosa (IBL Libri, 2015).

Filippo Cavazzoni, Direttore Editoriale IBL

Sandro Antonini – Mare e cannoni. La Liguria nella Grande Guerra 1915-1918 (De Ferrari, 2014)

Allo scadere del centenario della dichiarazione di guerra dell’Italia all’Impero austro-ungarico vale forse la pena di soffermarsi ancora un momento sulla tragedia che – al di là dell’esito vittorioso – ne conseguì, mettendo a fuoco non tanto le vicende belliche avvenute sui diversi campi di battaglia del fronte esterno (ampiamente indagate dalla storiografia) quanto piuttosto le loro implicazioni politico-economiche manifestatesi sul fronte interno (non ancora compiutamente analizzate). In questo frangente, la lettura di “Mare e Cannoni. La Liguria nella Grande Guerra 1915-1918” di Sandro Antonini offre un valido contributo grazie a una documentata analisi dei fatti più importanti avvenuti in Liguria in quegli anni: pervasive forme di interventismo statale nell’industria pesante, prime sperimentazioni di controllo del mercato dei beni di prima necessità, forte ascesa della sindacalizzazione del lavoro subordinato e nuove limitazioni delle libertà civili di stampa e riunione. Ne emerge un quadro sconfortante che pare confermare ancora una volta il convincimento liberista per cui la libertà politica non può essere disgiunta da quella economica. Il primo conflitto mondiale non fu soltanto l’antefatto del fascismo, ma in qualche modo una sua anteprima.

Luigi Ceffalo, Research Fellow IBL

Deepak Lal – Unintended Consequences: The Impact of Factor Endowments, Culture, and Politics on Long-Run Economic Performance (MIT Press, 2001)

L’ho acquistato incuriosito dal titolo, ed è stata una bella sorpresa. Di libri che spieghino perché l’Europa è diventata l’area più ricca del pianeta ce ne sono molti, ma il modo di accostare gli argomenti che spiegano “l’influenza della dotazione dei fattori, della cultura e della politica sulla performance economica di lungo periodo” l’ho trovato nuovo e illuminante. Le cause della “ricchezza delle nazioni” sono molto precedenti alla concettualizzazione di Adam Smith, affondano le radici nell’Alto Medioevo. E’ allora che vengono poste le basi dell’individualismo, il singolo maggior contributo alla crescita capitalistica. Fenomeni come il socialismo europeo, e perfino i tragici esperimenti del comunismo, appaiono come increspature in questo lungo fluire di “conseguenze inintenzionali”.

Franco Debenedetti, Presidente IBL

Luca Nannipieri – Arte e terrorismo. Sulla distruzione islamica del patrimonio storico artistico (Rubbettino, 2015)

La civiltà occidentale – dall’antico Egitto all’arte contemporanea, passando per la Grecia, Roma, il Medioevo e il Rinascimento – da sempre valorizza l’uomo nelle sue molteplici espressioni, inclusa la vocazione per il bello. La distruzione del patrimonio storico artistico da parte dell’estremismo islamista è una minaccia di cui dobbiamo conoscere le ragioni e gli strumenti per contrastarla.

Piercamillo Falasca, Fellow IBL

David Graeber – The Utopia of Rules: On Technology, Stupidity, and the Secret Joys of Bureaucracy (Melville House, 2015)

L’autore è David Graeber, e nel 2011 mi aveva colpito la sua storia dei primi 5000 anni del concetto di “debito”, tradotta poi anche in Italia. Insegnava antropologia a Yale, che 10 anni fa non gli rinnovò il contratto. Tra gli organizzatori di Occupy Wall Street, scrive con la radicalità giacobina dei noveau philosophes francesi post-strutturalisti degli anni ‘80, ma è impregnato di anarco-individualismo anglosassone, e ciò lo rende ai miei occhi molto interessante. Il libro non ha deluso le mie aspettative. Una congerie di argomenti appuntiti contro la burocrazia pubblica, e la resa incondizionata al suo estendersi da parte di intellettuali e opinione pubblica americana e occidentale. Respinge la convinzione liberista che piattaforme blockchain possano rendere la burocrazia superflua o quanto meno aggirabile, convinto com’è purtroppo che le tecnologie siano nelle mani di pochi oligarchi non trasparenti. Ma l’attacco radicale all’idea persino romantica che la burocrazia sia al servizio del “bene comune”, e non di se stessa, è ancor più apprezzabile perché viene da un’anima radicale della sinistra americana.

 

Andrea Carandini – Paesaggio di idee. Tre anni con Isaiah Berlin (Rubbettino, 2015)

Andrea Carandini è il più grande archeologo italiano vivente, che in decenni di scavi a Roma ha confermato in maniera inoppugnabile la storia e non la leggenda della Roma protourbana del IX e VIII secolo a.C., e l’ha raccontata in libri meravigliosi che consiglio a tutti. E’ stato presidente del Consiglio superiore dei Beni Culturali, ma si è sempre opposto allo statalismo “forsennato nemico”, sue parole, del miglior utilizzo e fruizione del patrimonio culturale italiano coinvolgendo i privati, invece di combatterli ideologicamente come pensa il più della burocrazia MIBACT italiana, con vasta scorta di intellettuali di sinistra al seguito. Ma questo libro è su altro: parla dei tre anni di studio che Carandini ha dedicato, innamorandosene, a Isaiah Berlin e alle sue tesi. L’attacco portato da Herder e romantici all’idea dei Lumi, insieme a quello di conservatori come De Maistre, reazionari come Hamann e all’idealismo di Hegel, finì per sostituire all’idea del bene kantiano quella dell’“unico bene”: fosse esso la Nazione, la Classe, o lo Stato. Mentre il liberale autentico che noi difendiamo con Berlin è quello scettico, pluralista, irriducibile ai pensieri unici, fuori dai canoni trionfanti. E irrimediabilmente spregiudicato perché individualista, agli occhi dei conformisti intruppati in ogni idea di “bene comune”. E’ un libro pieno di passione, ancor più prezioso perché Carandini viene da una tradizione marxista e comunista, ed è lui stesso a riconoscere che in Berlin c’è l’approdo della sua parabola di intellettuale. Ce ne fossero, a sinistra, capaci di simili percorsi e di altrettanta limpidezza di pensiero.

 

Jon Ronson – So You’ve Been Publicly Shamed (Riverhead Books, 2015)

Jon Ronson è un singolare giornalista gallese – lui stesso si definisce gonzo journalist – che da anni seguo. I suoi libri-racconti sugli “estremisti” e sull’unità speciale segreta dell’US Army dedicata a identificare i rischi della New Age sono al confine tra l’iper-realismo e la ridicolizzazione del mistero, e in questa chiave si è occupato ovviamente anche del famigerato Bilderberg. Consiglio questo libro non solo a tutti i colleghi giornalisti, ma soprattutto a chiunque scriva sui social. E’ una buona ricostruzione storica dei precedenti culturali in base ai quali scatta oggi tanto automaticamente la distruzione pubblica immediata di chiunque si veda attribuiti atti o comportamenti o parole improprie, politicamente scorrette, o false ma senza alcuna verifica. E’ la nuova lettera scarlatta dei nostri tempi: non è solo mediatico-giudiziaria tramite i brogliacci delle intercettazioni, vi indulgono con dovizia milioni di persone che insultano a ondate su Facebook e Twitter. Quasi sempre solo per sentito dire. Comunicatori e politici lo sanno benissimo, e l’industria del consenso alla messa alla gogna illiberale ha ottimi profitti con bassi investimenti.

Oscar Giannino, Senior Fellow IBL

Steven Pinker, Il declino della violenza. Perché quella che stiamo vivendo è probabilmente l’epoca più pacifica della storia (Mondadori, 2013 [2011])

Sono molti gli studi di storia economica che raccontano il miglioramento delle condizioni materiali di vita dell’umanità (almeno di una sua parte, sempre più consistente) in età moderna. Il libro dello psicologo canadese della Harvard University Steven Pinker si occupa di un altro aspetto, non meno fondamentale: la costante diminuzione del ricorso alla violenza fisica sia nei rapporti tra comunità politiche organizzate, sia all’interno delle società.
Chiariamo subito che Pinker parla di declino “relativo” della violenza, ovvero del calo delle morti violente – in guerra, in genocidi, a causa di omicidi – in rapporto alla popolazione. Da questo punto di vista, anche il Novecento, con il suo carico di cadaveri provocati dalle due Guerre mondiali e dai “democidi” (per usare un termine di Rudolph Rummel, autore citato da Pinker) del totalitarismo, appare come un secolo relativamente meno violento di quelli che lo hanno preceduto.
Se le cause della violenza sono spesso insondabili ma anche autoevidenti, quelle della pacificazione in corso da alcuni secoli a questa parte sono più difficili da afferrare. Pinker assegna un ruolo decisivo alla nascita degli Stati nazionali nell’Europa postfeudale, con il monopolio dell’uso della forza, e al commercio, gioco a somma positiva che permette di cessare di concepire l’arricchimento solo come predazione.
Nella descrizione del processo di civilizzazione, lo psicologo canadese impiega un vasto apparato di statistiche e grafici. Ma al di là dell’aspetto “quantitativo”, emerge il fatto che nella nostra cultura si è prodotta una rivoluzione nella valutazione della vita umana: oggi ogni uomo o donna è infinitamente più prezioso di quanto sia mai stato nel corso della storia. È forse questo cambiamento culturale il “migliore angelo” (per riprendere il titolo originale del libro) che ci assiste nella nostra vita.

Nicola Iannello, Fellow IBL

Guglielmo Ferrero – Potere. I Geni invisibili della Città (Marco, 2005 [1942])

Quella di Guglielmo Ferrero è stata una carriera intellettuale assai peculiare, ma forse è proprio con il suo ultimo volume – apparso postumo – che questo studioso piemontese nato nel 1871 a Portici è riuscito a lasciare il proprio testamento più rilevante. Partito da una prospettiva assai positivista, in seguito approderà a una forma personale di spiritualismo, rimanendo però sempre estraneo alle correnti neoidealistiche che dominavano l’Italia del tempo (grazie all’influenza di Croce e Gentile), pagando per questo un prezzo anche rilevante.
Per anni collaboratore di Cesare Lombroso (di cui sposò la figlia, Gina), Ferrero fu infatti uno studioso del tutto anomalo, che restò per quasi tutta la sua vita lontano dall’accademia e prese le mosse dall’antropologia criminale per poi occuparsi di politica internazionale, di storia romana, della Rivoluzione francese e dell’età napoleonica. Proprio questi ultimi studi lo condurranno a riflettere sugli arcani del dominio politico e, in particolare, sul rapporto tra potere e ideologia.
In Potere – un testo che egli scrisse in francese, nella fase conclusiva della sua esistenza, a Ginevra – Ferrero sottolinea come ogni sistema politico sia delimitato da regole culturali ben precise, ma che tutto questo possa venir meno in occasione di una fase rivoluzionaria. Quando qualcuno s’impadronisce della società (che si tratti di Robespierre come di Napoleone, di Lenin come di Mussolini), i nuovi valori sono ancora fragili e non pienamente accettati. Per questa ragione, il potere è in qualche misura fragile e deve creare attorno a sé un clima di terrore, se non vuole essere spazzato via da un’altra rivoluzione.
Il tempo ha la capacità di legittimare (quasi) ogni potere, ci dice Ferrero, mentre i cambiamenti politici troppo repentini approdano quasi sempre a esiti illiberali.
Una curiosità. Quando prese commiato dall’esistenza Ferrero insegnava a Ginevra, ma viveva in un piccolo borgo non troppo distante: Mont Pèlerin. Solo cinque anni dopo per iniziativa di Friedrich von Hayek e di altri proprio lì verrà creata una società internazionale impegnata a difendere i valori della libertà individuale e del libero mercato.

Carlo Lottieri, Direttore Dipartimento “Teoria Politica” IBL

Hunter Lewis – Tutti gli errori di Keynes. Perché gli Stati continuano a creare inflazione, bolle speculative e crisi finanziarie (IBL Libri, 2010 [2009])

La prima volta che lessi Keynes lo feci con la precisa intenzione di confutarne le idee: proposito non certo originale, né di facile attuazione. E infatti non solo non ci riuscii, ma faticai a capire quello che leggevo. Il vero motivo per cui dovreste leggere il libro di Lewis è questo: prima di ogni altra cosa, è una guida magistrale – e sensibile ai non economisti – al pensiero e alla personalità di Keynes, che volenti o nolenti condiziona il nostro mondo e non poco. Certo, ci trovate anche un formidabile armamentario di ragioni per confutarne le teorie: ma la missione di Lewis è prima di tutto quella di riportare Keynes dall’olimpo degli economisti alla terra. Un libro, insomma, che è per l’economia quello che The Daily Duty è per la fotografia; anche se, bisogna dirlo, è difficile restare ottimisti dopo averlo chiuso.

Giacomo Lev Mannheimer, Fellow IBL

Aldo Mazzini Sandulli – Un giurista per la democrazia. Interventi sulla stampa (Jovene, 1987)

Si può ordinare on line dal sito della casa editrice perché non è mai stato ripubblicato. E questo fatto meriterebbe di per sé una riflessione. Si tratta delle lettere di A.M. Sandulli pubblicate dal Corriere della Sera e dal Tempo tra il 1970 e il 1983. Sandulli scrive del sistema politico italiano, di giustizia, democrazia, economia, sciopero, informazione, RAI, riforme, con lo stile chiaro, preciso e dannatamente attuale di chi parla delle “cose pensate”, come scriveva Piero Ostellino nella prefazione alla raccolta.
Con semplicità e profondità al tempo stesso, arriva a tutti i lettori forte e chiaro il suo alto richiamo alla Costituzione, sia nei confronti delle istituzioni sia dei singoli cittadini, i cui principi sono per lui le basi per la realizzazione di un sistema di regole moderno, a garanzia del buon funzionamento dell’ordinamento per assicurare al paese innanzitutto una democrazia libera e pluralista.
Dai suoi scritti emerge l’insistente battaglia contro “gli equivoci giuridici che alimentano abusi e tolleranze”, sempre spinto dal dovere di denunciare i pericoli per la società “se la politica entra nel palazzo di giustizia”. Per usare le parole di Ostellino: “Una lezione di tipico stampo liberale valida ancora oggi per quanti, come noi, continuano a respingere le false ricette di troppi cattivi maestri, per tenere fede all’esattezza di quest’altra sua lucida convinzione: che la democrazia vive del confronto, della ricerca del vero”.

Gemma Mantovani, Collaboratrice LeoniBlog

Charles Moore – Margaret Thatcher: The Authorized Biography: Volume One: Not For Turning (Knopf, 2013)

Charles Moore – Margaret Thatcher: The Authorized Biography, Volume Two: Everything She Wants (Allen Lane, 2015)

Il soggetto, come dire, si prestava a un ritratto di una certa importanza. Però non era scontato che al pittore non tremasse la mano.
E invece leggendo la biografia autorizzata di Margaret Thatcher scritta da Charles Moore si diventa, pagina dopo pagina, ammiratori pure del biografo.
Sapevamo già della straordinaria determinazione della Thatcher, quella che l’ha portata a Downing Street, che le ha fatto vincere la guerra delle Falklands e piegare i sindacati. Moore ci racconta delle debolezze e dei timori, delle molte gentilezze verso fiorai e segretarie, dell’ammirazione per chi svolge con competenza lavori semplici, e soprattutto di una vita politica fatta di “paper”. Documenti d’impianto quasi accademico e veloci memorandum, tutti puntigliosamente annotati e sottolineati: linea retta approvazione, arzigogolo irritazione. Era un mondo diverso.

Alberto Mingardi, Direttore Generale IBL

Ronald Bailey – The End of Doom. Environmental Renewal in the Twenty-first Century (Thomas Dunne Books, 2015)

Scriveva trenta anni fa Julian Simon: “This is my long-run forecast in brief: the material conditions of life will continue to get better for most people, in most countries, most of the time, indefinitely. Within a century or two, all nations and most of humanity will be at or above today’s Western living standards. I also speculate, however, that many people will continue to think and say that the conditions of life are getting worse.”
La sua previsione si è avverata su ambo i fronti. R. Bailey ci racconta come è andata fino ad oggi e ci spiega perché la tendenza meteo segna “bello stabile” per il futuro.

Francesco Ramella, Fellow IBL

James Carse – Giochi finiti e infiniti. La vita come gioco e possibilità (Mondadori, 1987 [1987])

“Ci sono almeno due tipi di gioco. Uno possiamo chiamarlo finito e l’altro infinito. Un gioco finito è giocato con l’obiettivo di vincere, un gioco infinito con l’obiettivo di continuare a giocare”. Da questa premessa James Carse, professore di storia e letteratura della religioni a New York, descrive due approcci alla vita diversi, quello del giocatore finito e quello del giocatore infinito. Mi ha sempre colpito osservare come questi due approcci esistenziali si traducano anche in due visioni dell’economia radicalmente opposte.
Un’economia – quella che viene insegnata nei telegiornali e che ora è andata in crisi – vissuta come un gioco di vincitori e perdenti, un sistema da guidare verso un(a) fine; oppure un’economia – come quella che abbraccia Adam Smith e gli economisti austriaci – che non ha una fine perché chiede ad ogni uomo di scoprire sempre nuove soluzioni a problemi sempre nuovi.

Emilio Rocca, Research Fellow IBL

Mo Yan – Le rane (Einaudi, 2013 [2009])

Tra gli eventi del 2015 che passeranno alla storia c’è la fine della politica del figlio unico in Cina.
Un obbligo imposto alle famiglie alla fine degli anni Settanta e eliminato per volere del Partito comunista solo al termine di questo anno. Un obbligo disarmante e spietato, una violazione della più adamitica libertà delle persone di costruirsi la propria famiglia, la propria vita e la propria felicità, sacrificata in nome della paura malthusiana che la terra e il cibo non sarebbero bastati per tutti.
Nella politica del figlio unico si rapprese il pericolo, sempre sottostimato dall’intellighenzia occidentale, che la pianificazione economica toccasse anche le corde più intime delle persone. Tale pericolo lo si ritrova tuttavia anche nella fine della politica del figlio unico appena varata, che non vuol dire libertà di avere i figli che si desidera, ma possibilità di averne un secondo. Non libertà, dunque, ma pur sempre coercizione. Sia perché, dal punto di vista della libertà di autodeterminazione della propria vita, la possibilità di avere non più di due figli è pur sempre un limite, sia per i motivi per cui il Partito è passato alla politica dei due figli: ragioni non di libertà, ma – ancora una volta – di controllo demografico e pianificazione economica, legati agli effetti disastrosi anche sul piano socio-economico di una popolazione invecchiata dal mancato ricambio generazionale.
Guido Ceronetti scriveva negli anni Ottanta che “Il socialismo ha avuto due facce: una melensa, incerta, insulsa, traditora (la socialdemocrazia) e una criminale (la comunista leninista). E per questa miserabile chiesa qualche nobile e disgraziato martire ha teso le braccia verso il martirio, e mai potremo essergli grati per aver spruzzato di nobiltà dei crimini”.
Se si vuole avere un’idea del crimine subito dai cinesi dal controllo delle nascite, è questo il momento migliore per leggere “Le Rane”, un romanzo scritto da Mo Yan nel 2009 e tradotto in italiano da Einaudi nel 2013.
Un libro consigliabile in particolare a chi, e sono i più, pensa che le libertà economiche siano distinte e separabili dalle altre libertà, che la limitazione delle prime non si rifletta sulle seconde ma anzi le rafforzi e si giustifichi per il superiore bene comune di un popolo.
Nella vita del protagonista, fanciullo sorpreso dalla maestra a mangiare carbone negli anni della Grande carestia e adulto ai tempi in cui le ostetriche servivano non a far nascere i bambini ma a praticare aborti e vasectomie, si raggruma una vita di perdurante violenza morale e fisica a cui sono state sottoposte migliaia di persone e famiglie sotto la brutale carezza di chi pretende di conoscere il sommo bene collettivo di un popolo.

Serena Sileoni, Vice Direttore Generale IBL

Barbara W. Tuchmann – The March of Folly: From Troy to Vietnam (Knopf, 1984)

Perché l’irrazionalità è tanto diffusa in politica? Perché gli Stati perseguono, con sorprendente costanza in ogni epoca, politiche che sono chiaramente contrarie non solo all’interesse pubblico, ma addirittura agli stessi interessi degli uomini al governo? La storica Barbara Tuchmann affronta questa domanda ricostruendo quattro vicende emblematiche: il cavallo di Troia, le vicende che portarono alla riforma protestante, la rivoluzione americana e il Vietnam. Il problema è che “tutti sappiamo, dalle infinite citazioni del motto di Lord Acton, che il potere corrompe. Siamo meno consapevoli che stimola la follia; che il potere di comandare spesso determina l’incapacità di pensare; che il senso di responsabilità nell’esercizio del potere spesso si affievolisce man mano che la sua estensione aumenta”. La follia consiste in particolare in quella che l’autrice chiama “wooden-headedness”, ossia la “testa dura”: i governanti tendono a rifiutare ogni evidenza sul fallimento delle loro azioni, e anzi “una volta che una politica è stata adottata e messa in atto, ogni attività successiva diviene uno sforzo per giustificarla”. Il volume è di piacevole lettura e rappresenta una importante lezione di realismo. Tra le tante ragioni per limitare il perimetro dell’intervento pubblico, la scarsa efficacia dei sistemi politici nel correggere se stessi non è certamente la meno rilevante: “il genere umano, a quanto pare, ottiene nell’arte del governo risultati inferiori rispetto a qualsiasi altra attività”.

Carlo Stagnaro, Senior Fellow IBL

Edward Peter Stringham – Private Governance. Creating Order in Economic and Social Life (Oxford University Press, 2015)

Il libro è dedicato ai “centralisti giuridici di tutti i partiti” – il riferimento a Hayek e a “La via della schiavitù” è evidente – ma merita di essere letto anche da chi ha superato da tempo la superstizione del necessario ruolo pubblico nella produzione delle regole. Guardando alla nascita delle borse valori, al mercato dell’arte, a internet, Stringham ha raccolto una grande messe d’indicazioni pratiche per dimostrare come individui e imprese siano in grado di regolare da sè i reciproci interessi, rispondendo a una domanda di sicurezza che non giustifica il monopolio dello stato. “Private governance” è un importante contributo allo studio del diritto come ordine spontaneo, una tradizione di ricerca che annovera tra i principali esponenti il nostro Bruno Leoni (che Stringham cita con parsimonia: peccato!).

Massimiliano Trovato, Research Fellow IBL

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1 Response

  1. Grazie per i consigli. Quello di Borges mi interesserebbe davvero molto.
    Se potessi consigliare anch’io, inviterei a leggere Antifragile di Nicolas Nassim Taleb (nulla a che fare con i talebani) Non lo condivido al 100% ma ha molti spunti interessanti.
    Poi ovviamente l’ e-bbok “Il kamasutra per la terza età” che, come dice un commentatore, “delude chi lo leggesse con intento maniacale”

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