Alcune perplessità sulla Sinistra, l’aborto e la libertà
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Fabrizio Ferrari (@Fabriziofer1994)
Il 30 dicembre, l’aborto fino alla quattordicesima settimana di gestazione è diventato legale in Argentina. A questa notizia è seguito—per quel che ho potuto constatare—il consueto giubilo da parte di chi, considerandosi di Sinistra, ritiene l’aborto una grande conquista di civiltà. Pertanto, memore anche di svariati dibattiti sul tema nel nostro Paese, ho provato a pormi una domanda: ha davvero senso, per chi si ritiene di Sinistra, celebrare come un successo la legalizzazione dell’aborto?
Infatti, quali sono le giustificazioni generalmente addotte a favore della legalizzazione dell’aborto? Mi vengono in mente tre possibili risposte.
(A) Perché la donna è completamente sovrana sul proprio corpo—in altre parole, esercita sul proprio corpo un diritto di proprietà assoluto.
In questo caso, naturalmente, la donna ha il diritto di disporre come vuole del proprio utero—anche arrivando ad espellere, in qualità di ospite indesiderato (o parassita, che dir si voglia), il feto. Questa è, in breve, la posizione nota come evictionism (dall’inglese to evict, che significa sfrattare), teorizzata da Rothbard ([1982] 2002: Capitolo 14) ed elaborata ulteriormente—con alcune sfumature e differenze—da Walter Block. È chiaro che una risposta del genere può essere accettabile, per lo meno su un piano di etica razionale (e prescindendo, quindi, da considerazioni morali personali), da chi accetta un’interpretazione dei diritti soggettivi riconducibile unicamente al concetto di proprietà—in questo caso, su sé stessi.
Ma allora mi chiedo: davvero un’interpretazione del genere può essere appetibile per chi si considera di Sinistra? Accettare che ogni diritto—e, quindi, ogni norma che regola le interazioni economiche, sociali e politiche tra gli esseri umani—scaturisca, in ultima analisi, dal concetto di proprietà, è qualcosa che la Sinistra può permettersi? Chiaramente no, perché un’etica razionale di questo tipo ha come unico esito possibile—per lo meno se con “possibile” intendiamo “integrabile in un sistema etico internamente consistente”—una forma di organizzazione sociale, politica ed economica il cui nome è un anatema per ogni persona che si consideri di Sinistra: stiamo parlando, infatti, di anarco-capitalismo.
(B) Perché legalizzare l’aborto, pur essendo qualcosa di eticamente sbagliato, permette alle donne di ricorrere a tale pratica in sicurezza, evitando così i rischi della clandestinità.
Ora, questa argomentazione può sembrare accettabile—e, per certi versi, lo può anche essere. Ma rimane un’argomentazione di compromesso—basata su considerazioni estremamente emotive e soggettive—che non è in grado di prendere una posizione conclusiva sul tema. Infatti, un antiabortista potrebbe rispondere agevolmente come segue: se siamo disposti a legalizzare comportamenti che consideriamo eticamente sbagliati solo per evitare che avvengano ugualmente in clandestinità, perché non legalizzare anche la prostituzione? O la gravidanza surrogata? O il mercato degli organi?
Di nuovo: mentre per un libertario queste posizioni sono accettabili e ovvie, lo possono essere anche per chi si considera di Sinistra? Non è, infatti, un’obiezione tipica degli ambienti di Sinistra quella secondo cui, in tutti e tre i casi, la proibizione della pratica in oggetto è necessaria per tutelare una parte che è più debole di un’altra—una parte che “non ha scelta”, in quanto costretta ad accettare lo scambio a causa di una posizione contrattuale di svantaggio?
In altre parole: se la Sinistra decide di accettare—se non addirittura promuovere—la soluzione “pragmatica” in materia di aborto, perché non sceglie di fare altrettanto quando si tratta delle altre tre casistiche in oggetto (prostituzione, vendita di organi e gravidanza surrogata)? Insomma: le due posizioni—favorevoli all’aborto ma contrari (per dire) alla riapertura delle case di tolleranza—mi paiono decisamente inconciliabili.
(C) Perché il feto non è un essere umano—e, quindi, la donna deve potersene sbarazzare come si sbarazzerebbe di un neo, di un’unghia, di un dente, eccetera.
Anche questa argomentazione, in linea di principio, è percorribile; tuttavia, il grosso problema è proprio nella premessa: come facciamo a stabilire se il feto è, o meno, un essere umano? In generale, che definizione diamo di “essere umano”?
La questione è chiaramente complessa—sia sul piano filosofico (identificare una lista di attributi sufficienti a soddisfare il criterio di umanità), sia su quello biologico-scientifico (capire, ad esempio, se—e in che misura—il sistema nervoso del feto è comparabile a quello di un essere umano, se il feto prova dolore, ecc.). Prendiamo due argomentazioni—direi le più frequenti—che vengono addotte dalla Sinistra abortista: (1) sul piano filosofico, il feto non è un essere umano perché non è in grado di condurre un’esistenza autonoma da quella della madre; (2) sul piano biologico, il feto non è un essere umano perché non è un organismo la cui complessità biologica sia comparabile a quella dell’essere umano.
Tuttavia, entrambe le possibili argomentazioni si prestano a facili contro-argomentazioni.
La prima argomentazione, infatti, porterebbe a non considerare umano chiunque non fosse in grado di condurre un’esistenza autonoma; come dovremmo considerare, quindi, non solo i feti, ma anche i lattanti, i bambini fino a una certa età, alcuni disabili, alcuni anziani, eccetera? È chiaro che nessuno di questi è in grado di condurre un’esistenza autonoma; siamo quindi disponibili a considerarli non-umani? Mi pare una strada pericolosa da percorrere.
La seconda argomentazione, analogamente, ci porterebbe ad escludere dal novero degli esseri umani tutte quelle persone con patologie tali da alterarne il funzionamento biologico dell’organismo—rendendolo, pertanto, “aberrante” rispetto a quello della maggioranza degli esseri umani. Prendiamo, ad esempio, il criterio della capacità di percepire del dolore: significherebbe, quindi, che chi è affetto da CIPA (una malattia che rende insensibili al dolore) non sarebbe classificabile come essere umano? Certamente no—sarebbe, anche questa, una strada molto pericolosa da imboccare.
In definiva, non riesco a capire da dove venga questa dogmatica infatuazione della Sinistra per una battaglia ideologica che mi sembra contraddire molti altri (legittimi) valori e posizioni da questa propugnati.
Detto tutto questo, aggiungo due considerazioni finali.
La prima: per chi abbraccia una visione dei diritti e delle libertà riconducibile al libertarismo di Mises e Rothbard, la spinosa questione dell’aborto presenta una soluzione abbastanza semplice e diretta—per lo meno sul piano dell’etica razionale, e prescindendo, quindi, dalla visione personale (irrazionale, intuitiva e soggettiva) che ognuno può avere in materia di valori morali. Infatti, sia Mises sia Rothbard identificano quale attributo essenziale dell’essere umano quello della capacità di agire—cioè, di impiegare intenzionalmente dei mezzi per il conseguimento di alcuni fini (Rothbard, [1962, 1970] 2004, p. 1 e pp. 7-8; Rothbard, [1982] 2002, p. 7; Mises, [1949] 1998, p. 16).
In altre parole, Mises e Rothbard identificano l’essere umano come l’essere che agisce—homo agens—concludendo così che ciò che non agisce (nel senso sopra specificato del termine) non è umano (Rothbard, [1982] 2002, p. 97; Rothbard, [1962, 1970] 2004, p. 2 e p. 93, nota 12; Mises, [1949] 1998, p. 14). Pertanto, da un punto di vista strettamente libertario, l’aborto è legittimo—almeno razionalmente—per due motivi: in primo luogo, è un’espressione del diritto di proprietà che la donna esercita sul proprio corpo (vedi argomentazione (A)); in secondo luogo, perché non rappresenta un omicidio—dal momento che il feto, non essendo capace di agire, non è un essere umano.
La seconda: pur essendo io un libertario, e trovandomi perciò in generale molto a mio agio nella cornice filosofica delineata da Mises e Rothbard, non riesco a considerare definitivamente chiusa la questione. Infatti, pur riconoscendo la perfetta razionalità sia della teoria dell’evictionism sia della definizione (assiomatica) di essere umano adottata da Mises e Rothbard, non riesco ad accettare—sul piano dei miei valori morali personali (quindi anche irrazionali), di ciò che intimamente ritengo essere giusto e sbagliato—l’idea che si possa congedare così facilmente la questione. Ma questa è—forse—una mia debolezza personale, che poco può interessare a chi ha avuto la pazienza di leggermi fin qui.
Bibliografia
Ludwig von Mises, Human Action, [1949] 1998
Murray N. Rothbard, Man, Economy, and State, with Power and Market, [1962, 1970] 2004
Murray N. Rothbard, The Ethics of Liberty, NYU Press, [1982] 2002