Aiuti di stato, quando l’eccezione diventa la regola
Newsletter IBL, 4 febbraio 2023
Se nulla è più definitivo del transitorio, allora il quadro temporaneo per gli aiuti di stato introdotto per far fronte al Covid e poi prorogato per contrastare gli effetti della crisi energetica è qui per restare. Mercoledì scorso la Commissione europea ha annunciato una comunicazione sul Green Deal Industrial Plan che, nella sostanza, punta a rilassare strutturalmente i vincoli alle agevolazioni pubbliche concesse dagli Stati, quanto meno nel contesto delle politiche ambientali.
La disciplina degli aiuti di Stato è stata per lungo tempo un unicum europeo e uno degli aspetti più originali dell’architettura dell’Ue. L’idea di fondo era che, per costruire il mercato interno, bisognava evitare che i governi nazionali usassero le finanze pubbliche a favore dei “loro” campioni, distorcendo la concorrenza. Questo approccio è entrato in crisi – su richiesta pressoché unanime degli Stati membri – quando si è trattato di velocizzare l’erogazione dei sostegni durante la pandemia. E chi poteva essere contrario? Quando le restrizioni emergenziali sono finite, e si trattava di tornare allo status quo ante, è scoppiata la guerra in Ucraina e i prezzi dell’energia sono andati alle stelle. E chi poteva opporsi a lasciare ai governi briglia sciolta per aiutare le imprese in difficoltà? Solo che ora se ne vedono i risultati: la “libertà di sussidio” ha determinato una situazione di forte disuguaglianza in cui gli Stati più floridi, come la Germania, hanno potuto erogare aiuti assai più copiosi, con buona pace del “level playing field”.
Non era difficile immaginare che saremmo arrivati qui, ma solo adesso i governi se ne stanno rendendo conto. Così, con una clamorosa inversione a U, diversi paesi – tra cui l’Italia – si sono riscoperti difensori delle regole europee. Troppo tardi, purtroppo: perché contemporaneamente la Casa Bianca, con la carrellata di sussidi dell’Inflation Reduction Act, ha servito su un piatto d’argento l’ennesimo pretesto per rinviare – anzi, abbandonare – il ritorno al rigore pre-Covid. La comunicazione illustrata da Ursula von der Leyen elimina molti vincoli all’erogazione di aiuti alle tecnologie verdi, alza le soglie per l’obbligo di notifica e concede agli Stati “poveri” la promessa di un fondo sovrano europeo. Su questo fronte è già partito il fuoco di fila dei paesi “frugali”, che si oppongono a nuove emissioni di debito comune e giustamente sottolineano che ci sono ancora risorse inoptate, legate sia al bilancio pluriennale dell’Unione, sia al programma Next Generation EU.
Paesi come l’Italia dovrebbero cercare un dialogo con i frugali per contrastare questa evoluzione, della quale purtroppo l’Italia stessa è stata protagonista nel passato: è difficile, oggi, schierarsi contro qualcosa che per anni Roma ha chiesto con insistenza. Purtroppo il genio è ormai uscito dalla lampada. Questo rischia di avere due conseguenze: da un lato ampliare lo svantaggio competitivo delle imprese provenienti dai paesi con finanze pubbliche fragili; dall’altro indirizzare la spesa pubblica europea verso politiche nazionalistiche con potenziale pregiudizio della crescita.